Verso un uso strumentale della letteratura: i rischi del colloquio d’Esame

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In questi ultimi due anni l’orario in classe quinta è stato per me sempre piuttosto sfortunato: due quinte e una quarta ora non sono il massimo per affrontare l’ostica letteratura dell’Otto e Novecento e la concentrazione degli studenti nella parte conclusiva della giornata è, si sa, calante. Diversi studi scientifici confermano infatti che l’attenzione media è di 16-20 minuti e, quindi, bisogna cercare di mettere in campo delle strategie per attivare gli studenti, con proposte di lettura, interpretazione autonoma, flipped classroom e altre stregonerie che i lettori del blog, se sono docenti, sicuramente conosceranno già. Uno dei modi più efficaci, però, per svegliare gli studenti dormienti è sicuramente esclamare, nel bel mezzo della spiegazione di letteratura: «Ma se mettessi un passo di questa opera agli Esami, voi cosa colleghereste?». Non è mia intenzione scrivere un articolo-polpettone sull’assurdità del colloquio dell’Esame di Stato, dato che ho già abbondantemente dato con il pezzo su «La letteratura e noi» intitolato L’anguilla e Tesla: riflessioni sul colloquio dell’Esame di Stato (recuperalo qui), quanto ragionare su come spesso la nostra programmazione di italiano (ma lo stesso discorso potrebbe riferirsi a tutte le discipline dell’ultimo anno e, in particolare, a quelle umanistiche) sia condizionata dal punto di arrivo, ovvero un colloquio orale in cui lo studente dovrà “attaccare qualcosa di italiano”, posto che la prima prova si caratterizza spesso per uno scollamento con il percorso letterario e, quindi, mette in campo competenze altre, come quelle espositive e argomentative su tematiche di attualità, che possono essere arricchite dalle conoscenze acquisite in altre discipline del corso degli studi.

Negli ultimi anni, sia in veste di commissario interno sia, soprattutto, da esterno, ho notato, infatti, come i lunghissimi “programmi” di letteratura italiana, in questo colloquio di venti-venticinque minuti, subiscano un processo di scarnificazione riducendosi, alla fine, alla solita tiritera sui cinque-sei concetti che si possono “collegare”: i pessimismi leopardiani, il Naturalismo e il Verismo, l’inetto sveviano, la maschera in Pirandello, la guerra in Ungaretti e il “male di vivere” di Montale. Senonché, il vero “male di vivere” affligge il commissario di italiano che deve sorridere di fronte alla banalizzazione di concetti sicuramente spiegati con profondità intellettuale da lui stesso o dal collega di lettere. Ma, se dall’avvertimento del contrario di come si dovrebbe esporre un argomento letterario, si passa al sentimento del contrario, si comprende come la fatica di Sisifo del quinto anno profusa in lezioni che si cerca di fare sempre più approfondite, sia inutile e che, forse, bisognerebbe fare una riflessione sul modo di lavorare nell’anno terminale.

Ahimé, ci sono autori e opere su cui il docente tende a soffermarsi in maniera approfondita ma che, a conti fatti, vengono ridotti a pochi concetti chiave e, soprattutto, travisati. Il caso emblematico è rappresentato dal pensiero leopardiano, sintetizzato nelle solite formule del pessimismo storico, cosmico e, in alcuni manuali, agonistico; su questa banalizzazione ha scritto un ottimo articolo Antonio Prete sul blog «Le parole e le cose», dal titolo Contro gli stereotipi. Leopardi e il pessimismo (recuperalo qui), sottolineando che la nozione stessa di pessimismo «impedisce, proprio per la sua astrazione e genericità e infondatezza, di cogliere la relazione profonda che c’è in Leopardi tra la teoresi e la poesia, tra l’interrogazione filosofica e l’interrogazione poetica». Continua così Prete, scagliandosi contro lo studio del recanatese a scuola: «È una formula, questa del pessimismo, compendiosa e astratta che finisce con allineare Leopardi a tanti pensatori diversi tra di loro, ed è passata nella critica, anche la più avveduta, via via usata per indicare o la caduta delle illusioni e il passaggio alla scoperta dell’amaro “vero”, o la percezione di un’universale condizione dolorosa. Da qui il divulgato uso scolastico: dal pessimismo soggettivo a quello storico a quello cosmico, l’avventura di un pensiero era fissata con chiarezza, tre momenti progressivi, adattabili benissimo a una scuola d’impianto idealistico-gentiliano». 

Fotogramma di tanti video “salva-maturità” su Leopardi.

Il grande problema, a mio avviso, è che ormai, nella scuola delle Educazioni e dell’Orientamento, tutto dovrà essere incasellato e, ahimé, lo spirito critico e gli affondi su aspetti controversi del pensiero dell’autore (la letteratura è, per definizione, indocile) potranno essere solo illuminazioni pronte a spegnersi nel magma della programmazione di fine anno. E così, a mio avviso, certi autori stanno perdendo sempre più spazio in favore di altri, proprio perché “più collegabili” oppure capaci di essere piegati a una programmazione che non deve creare problemi agli studenti e virare verso criteri di economicità ed efficienza.

Tale “fiumana del colloquio” sta quindi travolgendo autori e opere che prima erano ben spiegati e approfonditi, ma che ora vengono affrontate in modo superficiale proprio perché metterebbero in difficoltà gli studenti e, d’altra parte, vista la riduzione del monte ore annuale, forse è meglio bypassare. Mi sforzerò di fare qualche nome e titolo: il Leopardi delle Operette morali e della Ginestra, il Pascoli di Canti di Castelvecchio, il d’Annunzio di Alcyone, il Canzoniere di Saba, le Occasioni di Montale e altri “grandi” del quinto anno.

Se si fa da un lato una selezione di autori e opere, dall’altro, all’interno di queste ultime, si cerca di individuare un set di “testi” che ne consentano una immediata intellegibilità e che permettano di essere “spendibili” (parola orrenda) in ottica Esame di Stato. Cerchiamo quindi di fare un esempio per capire la dinamica distorta che si viene a creare partendo dalla trattazione di uno dei grandi di inizio Novecento, ovvero Luigi Pirandello. Com’è ovvio, le notizie biografiche devono essere quanto più ridotte e mirate a identificare gli snodi che possono avere influenze sulla sua biografia; di qui si passa alla poetica, leggendo il classico testo della Vecchia imbellettata contenuto nell’Umorismo, arricchito (se presente) da un altro passo del saggio che affronta la contrapposizione tra forma e vita. Se si vuole selezionare nella vastissima produzione dell’autore di Girgenti un corpus di opere e testi significativi, negli ultimi anno sto facendo delle scelte che potranno valorizzare la classe (e il sottoscritto) in sede di Esame di Stato.

Tra le novelle, quindi, largo a Il treno ha fischiato, uno dei testi che può dare vita a una serie di collegamenti potenzialmente infiniti, che qui delineo ad usum magistrorum et discipulorum:

  • Inglese: il concetto di epifania nei Dubliners di Joyce;
  • Storia: l’Italia umbertina e il ceto impiegatizio;
  • Scienze umane: l’evoluzione del concetto di lavoro;
  • Filosofia: Marx e il lavoro alienante;
  • Tedesco: Kafka e la Verwandlung.

Lo stesso avviene, ahimé, nella produzione del mio autore del cuore, Montale, di cui spesso si selezionano quei testi che possono essere riusati nel colloquio, come il celebre osso breve Non chiederci la parola, seguito da Forse un mattino andando e dall’immancabile Primavera hitleriana, a mio avviso uno dei testi più ostici del poeta ligure (recupera, per capire meglio, la spiegazione dell’eccellente Prof. Scaffai qui), ma di cui si identificano quei versi funzionali al collegamento con il Nazismo e il Fascismo e, da qui, a tutto lo scibile del programma di quinta, come si nota dalla tabella sottostante…

https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0000035031/12/hitler-e-mussolini-appena-scesi-dall-automobile-si-accingono-visitare-chiesa-santa-croce.html?startPage=0
DisciplinaCollegamento / testo / autore
Testo stimolo di ItalianoLa primavera hitleriana e il terzo Montale
StoriaIl Fascismo e il Nazismo
TedescoDer Nationalsozialismus und Hitler
IngleseL’età dei totalitarismi e George Orwell, 1984
Filosofia / Scienze umaneH. Arendt, Le origini del totalitarismo
Storia dell’arteHitler e la storia dell’arte: la Mostra d’arte degenerata
Un percorso a partire da alcuni versi de La primavera hitleriana

Così, allo stesso modo, immancabile è nel percorso di apprendimento di quinta Ungaretti, che ormai viene preferito a Saba in quanto, rispetto al poeta triestino (i cui collegamenti si “sovrappongono” a quelli prodotti da Svevo!), la rappresentazione della guerra nel Porto sepolto e ne l’Allegria permette una maggiore spendibilità al colloquio. Si pensi, per esempio, a Veglia:

Cima Quattro il 23 dicembre 1915


Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere d’amore
Non sono mai stato
tanto

Attaccato alla vita

La lirica dà il via a una serie di percorsi che toccano i seguenti argomenti del quinto anno: la produzione dei War poets inglesi, le guerre di trincea in storia, la visione della guerra in Hegel, l’Espressionismo in storia dell’arte, la Neue Sachlichkeit di Otto Dix e, se presente, anche la letteratura tedesca, con la figura di Trakl e la sua Grodek

Una tela di Otto Dix. Immagine reperibile all’url https://ilchaos.com/arte/pittura/otto-dix-la-guerra-trittico-della-guerra-opere/

Fin qui abbiamo ipotizzato un colloquio di ambito liceale, in cui il collegamento a storia, filosofia, letteratura inglese, ma anche a latino (se presente) facilita molto la trattazione pluridisciplinare; tuttavia cerchiamo di guardare oltre, agli Istituti tecnici, commerciali e professionali, in cui, davvero, lo scollamento tra materia umanistiche e scientifiche/tecniche risulta notevolissimo. Da quel poco che ho visto sfogliando i documenti del 15 maggio e le unità di apprendimento presenti, anche lì si fa una programmazione di letteratura italiana cercando autori e opere che possano permettere di “attaccare” italiano alle discipline di indirizzo. E quindi largo al Calvino della Speculazione edilizia per i geometri, alla narrativa di fabbrica di Volponi e Pratolini per i tecnici, alle poesie di Alda Merini sull’internamento in manicomio per gli indirizzi socio-sanitari, cercando di deviare dall’itinerario canonico per spostarsi verso un uso strumentale della letteratura che, forse, ne appiattisce lo spessore.

Una poetessa per gli Istituti professionali: Alda Merini. Immagine reperibile all’url https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a4035/alda-merini-poesie-biografia/

Ma la riflessione alla base è questa: non era forse meglio, in luogo di questo colloquio attaccatutto-attaccaniente, la sequenza esposizione approfondimento materie di indirizzo-analisi testo di italiano- colloquio del candidato sulle discipline dei commissari interni; lo so che il colloquio orale non deve essere l’ennesima interrogazione (ma chi le fa più, ormai?), quanto simulare una conversazione ma, in caso di studenti in difficoltà o materiali interdisciplinari ostici, spesso la domanda è più un salvagente che un accanimento. Ma forse, il grosso problema, è di chi stende le normative e ordinanze e che, perdonatemi la schiettezza, ha poca idea di come si lavori, ormai, in classe, nel 2024.

E voi, cosa ne pensate?

Vi aspetto nei commenti!

3 pensieri riguardo “Verso un uso strumentale della letteratura: i rischi del colloquio d’Esame

  1. Tutto corretto, Matteo, specie su Leopardi (ho apprezzato ilrimando ad Antonio Prete).

    La sequenza esposizione approfondimento materie di indirizzo-analisi testo di italiano- colloquio del candidato sulle discipline dei commissari interni sarebbe la cosa più sensata. Io reintrodurrei pure la tesina. 

    Il punto è che il versante scientifico e quello umanistico non riescono a dialogare, è così da anni ormai.

    Negli istituti tecnici qualche collegamento si fa (non credo con Pratolini e Volponi), sui professionali non saprei. I ragazzi più stressati comunque sono al liceo, in questi giorni vedo quelli di quinta che boccheggiano.

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