Fra misoginia e sessismo: ipotesi per un percorso di Educazione civica

Il 25 novembre è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne: una data importante, che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle piaghe della società moderna, ovvero la violenza contro il genere femminile. Il lockdown, il primo in particolare, ha visto d’altra parte un importante aumento della percentuale di donne vittime di violenza, costrette a convivere forzatamente con i loro aguzzini entro le mura domestiche; come riporta l’Istituto di statistica sulla criminalità e gli omicidi in Italia, nel primo semestre 2020 gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019, e hanno raggiunto il 50% nei mesi di marzo e aprile 2020. Ogni anno cerco sempre di proporre qualche iniziativa all’interno delle mie classi (ovviamente in ragione dell’età) per sensibilizzare su questa emergenza: a volte può essere un semplice approfondimento attraverso una lettura (tra i miei must read Michela Marzano e i suoi editoriali su «La Repubblica» o «La Stampa», come questo dal titolo Perché gli uomini uccidono le donne, consultabile qui), la visione di un video, la creazione di un’infografica volta a sensibilizzare su questo fenomeno, ma quest’anno ho voluto progettare un percorso più strutturato, inserito nel curriculum di Educazione civica.

Il goal 5 di Agenda 2030 riguarda infatti la “Gender equality” e mira a ottenere, tra le altre cose, l’eliminazione di tutte le forme di violenza nei confronti di donne e ragazze (compresa l’abolizione dei matrimoni forzati e precoci) e l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli di partecipazione. Agenda 2030 rientra, è vero, come stabilito dalle Linee guida del 2020, nel secondo nodo concettuale di Educazione civica, quello dello “Sviluppo sostenibile”, ma il problema che si presenta è sempre lo stesso: come inserire questi contenuti nella programmazione disciplinare, senza che vengano percepiti come “corpi estranei”, con il solo obiettivo di contribuire al raggiungimento del monte-ore annuale e delle valutazioni necessarie per avere un voto a fine quadrimestre o anno scolastico?

Lo stimolo del percorso che ho intitolato “Dalla misoginia al sessismo”, rivolto alla classe terza mi è venuto anzitutto da un incontro di formazione che ho seguito lo scorso anno con l’Università di Milano e poi dalla scoperta della linguista Vera Gheno, molto attiva sui social e, in particolare, su Instagram (ecco che a volte i social servono a qualcosa…). Recentemente ho poi seguito un suo ciclo di webinar per Mondadori-Rizzoli, dal titolo Le parole valgono. Inclusione, parità di genere e discorso d’odio fuori e dentro la rete, nel corso dei quali toccava temi come il sessismo e l’hatespeech partendo dalle parole e dall’uso che se ne fa nella comunicazione orale e scritta, specie sui social. Tanto nei suoi saggi o articoli quanto nelle conferenze (recuperabili con una semplice ricerca su Youtube) ricorre spesso questa frase, che mi ha colpito particolarmente e mi ha quasi “chiamato”, come docente di italiano, all’azione: «Succede che ciò che non viene nominato tende a essere meno visibile agli occhi delle persone. In questo senso, chiamare le donne che fanno un certo lavoro con un sostantivo femminile non è un semplice capriccio, ma il riconoscimento della loro esistenza» (V. Gheno, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, Effequ, Firenze 2021, p. 15). Non mi considero un linguista, anzi, ma rimango sempre affascinato dagli esperti del settore che sono capaci di legare i cambiamenti della lingua alla società in cui si sono verificati, sia che si tratti di età medievale o contemporanea. Mi colpisce ancora di più come dietro l’etimologia o la storia di una parola si nascondano delle stratificazioni culturali e sociali che spesso non vengono evidenziate.

Ritornando alle fonti di ispirazione per questo percorso, va sicuramente citata la conferenza dal titolo Parole contro le donne. Temi e testi misogini nel Medioevo, tenuta dal Prof. Roberto Tagliani, inserita in un ciclo di appuntamenti promossi dall’Università Statale di Milano e volti a intrecciare letteratura italiana ed educazione civica. Anche grazie all’invio preliminare di una ricchissima dispensa di testi (in latino, ma anche in lingua d’oïl e italiana) il filologo romanzo ci ha mostrato come, a partire dalla Genesi (o, meglio, da una versione della Genesi) si crei subito una visione del femminile polarizzata su due immagini, quelle di Maria e di Eva, due modelli idealizzati che hanno caratterizzato l’immaginario medievale e non solo. Ma sono i testi che colpiscono maggiormente: le pagine di Paolo di Tarso, dei Padri della Chiesa e anche di poemetti in lingua francese ci mostrano il ricorrere di parole ed espressioni misogine e la rappresentazione stereotipata delle donne come peccatrici (si legga, per esempio, questo passo del De cultu foeminarum di Tertulliano: «Donna, partorisci nel dolore e nell’ansia, e ti rivolti verso tuo marito, e lui di domina: e non sai di essere Eva? Il giudizio di Dio su questo sesso è ancora vivo in tale generazione; è inevitabile che lo sia anche la colpa. Tu sei la porta del diavolo; tu sei colei che dissuggellò quell’albero; tu sei la prima traditrice della legge divina; fosti tu a convincere colui che il diavolo non ebbe forza di aggredire; tu annientasti senza difficoltà l’uomo, immagine di Dio; per tuo merito, che non è altro che la morte, anche il figlio di Dio dovette morire; e hai in animo di adornati sopra le tuniche di pelle?»). Ovviamente analizzare dei brani di questo genere in lingua originale è molto difficile (a meno che non si lavori al classico e si possa fare un lavoro parallelo in latino), ma anche la letteratura italiana medievale (oggetto del terzo anno) contiene a mio avviso altri testi che possono catturare l’attenzione degli studenti e delle studentesse e mostrare come dei pregiudizi, degli stereotipi ancora presenti a caratterizzare le donne abbiano radici molto profonde (su questo aspetto si legga si veda la bella introduzione di Femminili singolari, dal titolo Donne proverbiali, pp. 11-12).

Ho quindi proposto agli studenti un itinerario così strutturato: lettura della definizione di “misoginia” sull’Enciclopedia Treccani e di alcuni brevi passi in traduzione della letteratura patristica, per poi passare a un classico della misoginia di età classica, ovvero la famosa Satira VI di Giovenale, nota anche come Satira contro le donne, in cui l’autore dissuade l’amico Postumo dalle nozze; il testo è, ovviamente, l’archetipo per una serie di topoi che si presenteranno nei testi medievali e che possono entrare nel percorso di apprendimento di letteratura armonizzando dunque Educazione civica e itinerario di Italiano. A questo punto, dopo aver ascoltato in televisione un’intervista di Maria Marazza, autrice del libro La moglie di Dante, in cui si sottolineava la connotazione negativa di questo personaggio nelle biografie dantesche, dove è dipinta come moderna Santippe, ho deciso di inserire nel percorso un breve passo del Trattatello in laude di Dante, nel quale Boccaccio (altro autore di terza) disegna un ritratto assai misogino della consorte di Dante, in cui riprende degli stereotipi sulle donne già presenti nella letteratura medievale in latino. Si legga, solo a titolo di esempio, questo passo in cui riflette sul ruolo delle donne e delle mogli: «Che dirò de’ loro costumi? Se io vorrò mostrare come e quanto essi sieno tutti contrari alla pace e al riposo degli uomini, io tirerò in troppo lungo sermone il mio ragionare; e però uno solo, quasi a tutte generale, basti averne detto. Esse immaginano il bene operare ogni menomo servo ritener nella casa, e il contrario fargli cacciare; per che estimano, se ben fanno, non altra sorte esser la lor che d’un servo: per che allora par solamente loro esser donne, quando, male adoperando, non vengono al fine che’ fanti fanno. Per che voglio io andare dimostrando particularmente quello che gli più sanno? Io giudico che sia meglio il tacersi che dispiacere, parlando, alle vaghe donne». (G. Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, consultato online su LiberLiber).

Il recente romanzo di Marina Marazza, volto a riabilitare la moglie di Dante dalla tradizione di commenti misogini.

Infine, per evitare di trattare la poesia comica-giocosa con le solite due poesie di Cecco Angiolieri, ho deciso di proporre, sempre per quanto concerne la letteratura italiana medievale, un altro testo fortemente misogino, ossia il sonetto di Rustico Filippi Dovunque vai con teco porti il cesso, in cui ha sfogo questa vena della civiltà medievale, in cui non esiste una donna che non sia o Maria o Eva, una santa o una prostituta, un angelo o un demone, un essere da venerare o da disprezzare.

La parte della misoginia è stata trattata ampiamente (e ha scioccato la classe in modo profondo, lasciandola talvolta senza parole), ma come collegarla all’attualità, posto che ormai più che di misoginia si parla ora di sessismo ovvero, secondo la Treccani, «quell’ atteggiamento di chi (uomo o donna) tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile e la conseguente discriminazione operata nei confronti delle donne in campo sociopolitico, culturale, professionale, o semplicemente interpersonale?»

https://www.treccani.it/vocabolario/sessismo/

Ho deciso di puntare tutto sugli scritti di Vera Gheno e, in particolare, sul suo Femminili singolari, un saggio (ampliato nel 2021), che nasce dalle riflessioni/polemiche della linguista scaturite sui social (mondo in cui i ragazzi si sentono a loro agio) e nei diversi dibattiti a cui ha partecipato, in televisione o sui giornali. La ricercatrice di origini ungheresi, poi, utilizza un linguaggio davvero accessibile, spiegando con esemplare chiarezza questioni di una certa complessità, quali l’inclusività linguistica, la difficoltà delle donne a inserirsi in ambiti lavorativi per secoli maschili e la tutela delle minoranze, con uno sguardo anche al mondo LGBTA+.

Il percorso sul sessismo è quindi iniziato dalla lettura di un articolo della “social-linguista” reperito in rete, dal titolo Verso l’inclusività linguistica e oltre, fatto precedere dal celebre monologo di Paola Cortellesi ai David di Donatello del 2018 in cui, partendo dalla famosissima lista di Stefano Bartezzaghi sui nomi che, passando dal maschile al femminile, acquistano un significato dispregiativo (che allude sempre alla professione di prostituta), tratteggiava con amara ironia la situazione di svantaggio dalla quale partono le donne nella società del XXI secolo.

A partire dall’articolo, ricco di suggestioni, ho utilizzato la metodologia della “lettura aumentata”, ancorando dei nuclei informativi del testo a espansioni multimediali, piccole ricerche sul web vincolate, per far dialogare la parola scritta con altre espressioni comunicative. Queste alcune delle domande proposte:

Cosa è il progetto «10 in parità»? Leggi con attenzione questo articolo https://www.repubblica.it/moda-e-beauty/2021/02/18/news/zanichelli_no_disparita_genere_stereotipi_libri_scuola_fossili_da_ripulire-291300235/. Rispetto alla tua esperienza, ti è capitato di notare degli stereotipi di genere nei libri di testo (specie del primo ciclo?)

Leggi l’articolo in rete di Stefano Bartezzaghi sulla lista di parole femminili che portano ad associazioni negative: scegline una che ti ha colpito e approfondiscila: https://www.repubblica.it/2003/g/rubriche/lessicoenuvole/3mag/3mag.html

Sulla formazione del femminile leggi qualche parola contenuta nell’articolo dell’Adnkronos, Vocabolario: lo Zingarelli si tinge di rosa (http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1994/07/13/Altro/VOCABOLARIO-LO-ZINGARELLI-SI-TINGE-DI-ROSA_121900.php)

Insomma, l’obiettivo era che ogni studentə (usiamo lo schwa secondo le indicazioni della Gheno, fatte proprie dall’editore Effequ) potesse approfondire, sulla questione, un aspetto per lui particolarmente significativo e che, soprattutto, comprendesse che la lingua diventa, nell’uso di chi se ne avvale, spesso uno strumento con connotazioni sessiste, anche senza accorgersene. Vera Gheno insiste molto nel suo libro su questo concetto: l’italiano, di per sé, non è una lingua sessista, ma è spesso sessista l’uso che se ne fa; le lingue di cultura hanno strumenti per non essere sessiste, come dimostra l’incremento dei sostantivi a designare professioni femminili (“ministra”, “sindaca”), ma tendono a essere androcentriche, costruite sul maschile, solamente perché gli uomini hanno agito di più nella storia e certe professioni prima non esistevano (celeberrimo è il caso della ministra, termine accettato dalla Crusca, ma che risulta cacofonico e quasi un dileggio).

Anche le grammatiche, ahimé, lette da milioni di ragazzi in età scolare, inciampano in scivoloni sessisti, come dimostra questa pagina del manuale in adozione nella mia scuola…

Grammatiche del 2021…

Il saggio-pop della Gheno, poi, per l’insegnante di italiano è davvero una miniera di stimoli: dalle polemiche in rete con utenti di Facebook che la prendevano di mira (eufemismo, a volte si arriva a veri e propri insulti) per l’uso di parole percepite come “nuove” e “stravaganti”, alle riflessioni sul genere nelle lingue europee, passando per il sessismo “introiettato” da donne che vogliono “essere alla pari dell’uomo”, usando il genere maschile nel nome della professione che esercitano, senza farsi mancare i leoni da tastiera che si credono Accademici della Crusca e provano a zittirla, per arrivare a un interessante capitoletto dal titolo Quando di femminile si muore, molto interessante da usare in occasione del 25 novembre, nell’Italia in cui «la donna è spesso concepita ancora come un oggetto, che se cessa di voler essere ‘mio’ o se ‘rompe’, si può eliminare» (Op. cit., p. 211).

La linguista propone qui un interessante esercizio di analisi di un articolo di giornale, del settembre 2019, che cercava di trovare le motivazioni del femminicidio di Elisa Pomarelli a opera di Massimo Sebastiani (l’articolo di Valerio Varesi, dal titolo Un’ossessione per Elisa, Sebastiani confessa l’omicidio e piange, è consultabile liberamente online qui), ravvisando come spesso nella narrazione (spesso a mo’ di soap opera) di tali efferati delitti, ricorrano espressioni quali raptus d’amore, riferimenti a un abbigliamento troppo provocante della donna, giustificazioni del comportamento omicida dell’uomo, con una distorsione della realtà che racconta molto della società in cui siamo immersi e che penetra anche in quegli strumenti (i giornali e i media) che dovrebbero usare un linguaggio neutro. Una società che, secondo la Gheno, esprime nelle parole una considerazione della donna come ancora subalterna all’uomo, spingendo le stesse donne a “mascolinizzarsi” per avere un posto di rilievo nella società, che accoglie le novità come dei monstra (la negazione del sostantivo ministra perché ricorda minestra è la dimostrazione di ciò), ma che soprattutto discrimina e marginalizza anche nella lingua.

Cosa “porteranno a casa” gli studentə dall’excursus storico sulla misoginia in letteratura e da queste letture su tematiche d’attualità? Spero uno sguardo più critico nel vedere la realtà, la consapevolezza che, come ripeto sempre, le parole hanno un peso e vanno usate pensando sempre a chi sta dall’altra parte nel circuito comunicativo. Sono forse un illuso credendo che i giovani di oggi educati a queste tematiche non ripeteranno comportamenti sessisti o, magari, non saranno gli autori dei femminicidi di domani, ma ritengo che già parlare di un problema sia un primo passo per superarlo e, si spera, sradicarlo da una società futura magari meno sessista.

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