Insegnare latino con eclettismo

Tempo di lettura stimato: 17 minuti

Negli scorsi mesi mi è capitato di riprendere in mano uno dei manuali che ha segnato la mia formazione universitaria: Insegnare latino. Sentieri di ricerca per una didattica ragionevole di Andrea Balbo, professore ordinario di Lingua e letteratura latina a Torino. Ho avuto occasione di approfondirlo (quasi vivisezionarlo) non solo durante la laurea magistrale e il TFA della classe di concorso A011, ma soprattutto in occasione del concorso ordinario del 2016; avendo una predilezione per la prosa chiara e, allo stesso tempo, densa di riferimenti culturali di Balbo, consiglio assolutamente questo volume (ma, in realtà, tutti gli articoli del professore piemontese) a chi vuol intraprendere la carriera di insegnante, ma anche a tutti i docenti in cerca di stimoli e di nuove proposte didattiche.

https://www.ibs.it/insegnare-latino-sentieri-di-ricerca-libro-andrea-balbo/e/9788860081315?lgw_code=1122-B9788860081315&gclid=Cj0KCQjwmdGYBhDRARIsABmSEeO8C-UIMDoJOalMa_KYb5kE3F9PhasSi742U9wepPdb5jftvO2ZpCkaAtEEEALw_wcB

Insegnare latino contiene un capitolo a mio avviso imprescindibile, intitolato La lingua latina: i modelli di insegnamento e le proposte didattiche: qui Balbo passa in rassegna i diversi modelli grammaticali (tradizionale, Tesnière-Happ, Martinet, naturale, Ørberg, della didattica breve) cercando di fare una sintesi di ognuno e di fornire un suo giudizio a riguardo. I 10 capitoletti presentano una struttura simile: un’introduzione generale, la presentazione dei manuali basati su questo modello, i fondamenti concettuali, la struttura del corso, pregi e difetti del metodo. Mi sembra un’articolazione estremamente interessante e funzionale anche alla pratica quotidiana di tutti i giorni: se si è supplenti e si arriva a insegnare in scuola dove è adottato un determinato manuale, grazie a Insegnare latino si può capire qual è il modello grammaticale sotteso, quali sono i punti di forza (su cui lavorare) e quelli di debolezza, da cercare di arginare, magari, come vedremo dopo, avvalendosi di spunti riferibili a un altro metodo.

Nei mese di aprile ho avuto il piacere di tenere una lezione sul metodo valenziale in un corso universitario di “Didattica del latino” e, giustamente, la docente titolare ha invitato ad aprire delle “finestre sulla scuola” non solo il sottoscritto, ma anche altri professori di liceo che si avvalgono di diversi metodi, come l’Ørberg o il tradizionale. Credo che alla base ci sia una convinzione che condivido anch’io: l’insegnante deve essere quanto più eclettico, versatile e dunque non può fossilizzarsi solo sul metodo, magari deduttivo-grammaticale, con cui ha appreso il latino al liceo. Ogni modello, a mio avviso, contiene degli elementi efficaci e di successo in classe, basta dosarli con equilibrio nel proprio percorso di apprendimento. Metto subito le mani avanti: in questo articolo non presenterò vantaggi e svantaggi dei metodi (mi servirebbero pagine e la lettura in rete, come insegna Maryanne Wolf, è impaziente), ma solo elementi che possono essere utili e proficui nella didattica di tutti i giorni.

Uno dei modelli più divisivi è sicuramente quello “natura”, conosciuto per il celeberrimo manuale Lingua latina per se illustrata di Hans Henning Ørberg tanto che, tra gli insegnanti di lettere, si cita il metodo con il solo cognome dell’autore. Ho conosciuto questo modello durante il mio percorso universitario e nel liceo classico “Paolo Sarpi” di Bergamo, tra i migliori in Italia, un docente, Arturo Moretti, ha sperimentato nello scorso decennio il “metodo diretto” applicato al latino e al greco. Il metodo natura prevede, com’è noto, che la lingua latina si apprenda, scusate la ripetizione, naturalmente, senza la mediazione dell’italiano: ogni capitolo si apre con un testo semplice e l’apprendimento delle regole viene indotto dalla lettura e comprensione di brani latini, con il controllo di una sintassi normativa di riferimento, Latine disco. Riconosco che non sarei in grado di usare il metodo (a meno di non frequentare i corsi estivi dell’Accademia Vivarium Novum da 2500 euro) e che mi lascia perplessa l’assenza di una spiegazione grammaticale sistematica e immediata, ma non posso che ammirare la passione con cui i buoni insegnanti (non i fanatici…) applicano questo metodo: sono consapevole si tratti di un argomento debole, ma tutti noi sappiamo quanto la motivazione conti nei processi di apprendimento…

In primo luogo interessante è l’uso dei Pensa, esercizi di riflessione e manipolazione linguistica presenti in ogni capitolo; nel Pensum C, soprattutto, vengono poste domande latine sul testo letto e si richiede la risposta sempre in latino. A mio avviso tale proposta risulta praticabile anche se si fa uso di un modello grammaticale diverso: mi è capitato di chiedere, nella parte di comprensione di verifiche impostate con metodo valenziale, la risposta, in latino, a piccoli quesiti. Ciò consente di applicare il concetto di caso, stare attenti alla morfologia verbale e, a volte, di riformulare delle frasi, consolidando il lessico, vero punctum dolens della didattica delle lingue classiche. Il metodo natura consente anche un approccio non ostile alla materia, dal momento che la storia del patrizio Iulius è immediatamente intellegibile ed eventuali termini non noti (vocabula nova) sono spiegati a lato con disegni (come questo) e sinonimi; di conseguenza si mette in primo piano la comprensione piuttosto che la traduzione, pratica perfettamente in linea con la certificazione linguistica di latino. Gli studenti sono poi sin da subito messi davanti a testi che veicolano un significato, una storia e, specie in indirizzi come il linguistico, risultano “immersi” nel latino come se lo fossero in una lingua straniera; la didattica della lingua classica segue la stessa metodologia di quella delle lingue moderne. In Familia Romana il lessico è potenziato attraverso liste di vocabula a lato; viene quindi scoraggiato l’uso del dizionario latino-italiano, vera OSSESSIONE degli studenti che apprendono col metodo tradizionale e per i quali risulta già imprescindibile nelle prime lezioni della lingua classica.

Inoltre le risorse in rete per questo metodo sono vastissime e si possono far ascoltare in classe diversi video per vedere come il latino fosse un tempo una lingua viva e non un fumoso enigma come è percepito oggi. Ascoltare la pronuncia latina può sicuramente servire da modello per gli studenti, che spesso commettono errori di accentazione.

Va da sé che, come rilevato da Balbo, l’insegnamento effettuato con questo metodo funziona se c’è continuità tra biennio e triennio: Moretti stesso, come scrive nell’articolo Un quinquennio con il “metodo diretto”. Conclusioni provvisorie, chiese al Dirigente Scolastico del Sarpi di poter accompagnare la classe per l’intero quinquennio, dalla quarta ginnasio alla terza liceo; per esperienza personale, infatti, una collega che prese una classe che apprese il latino con tale metodo ebbe notevoli difficoltà nel riallineamento, ma forse alla base il problema non era il modello Ørberg, quanto il docente. I testi dell’Ørberg, d’altra parte, sono inventati e, alla fine della classe seconda, bisogna un po’ sconfessare il metodo, con il ricorso al vocabolario per riuscire a comprendere e tradurre i primi testi d’autore; proseguire infatti con Roma aeterna, a detta di molti colleghi, risulta stucchevole. Inoltre una criticità nell’applicazione di tale metodo si può notare nei percorsi di recupero, che vanno solitamente attivati per classi parallele: gli studenti abituati ad apprendere il latino in modo naturale si troveranno spaesati nel confronto con docenti che, magari, si basano sulla grammatica tradizionale, normativa e traduttiva.

Capitulum duodecimum: Miles Romanus

Veniamo ora al metodo della “didattica breve eclettica”, che è quello più diffuso nelle scuole italiane, con volumi (di titolo diverso, ma dai contenuti spesso identici) che hanno tra i loro autori Nicola Flocchini, Angelo Diotti, Ivano Dionigi e Gian Biagio Conte (e collaboratori). Si tratta di testi semplici, con una struttura modulare, che consente anche di alleggerire lo zaino (aspetto da non sottovalutare). Questi manuali hanno avuto successo perché la riduzione delle ore di latino a seguito della riforma Gelmini ha richiesto un adattamento dei contenuti, ridotti all’essenziale, con l’inserzione di schemi sinottici e mappe, che puntano molto sulla memoria visiva, anche in ottica inclusiva. Tra i vantaggi di questo modello c’è sicuramente l’economicità: si può condensare il percorso di grammatica in due anni, trattando e puntualizzando magari la sintassi dei casi all’inizio della classe terza. La grammatica è inoltre intervallata con elementi di civiltà (richiesti dalla dicitura Lingua e cultura latina), che si ritrovano nei brani di versione collocati nel modulo, ma anche nelle frasi presentate nell’unità. Viene usato del lessico ad altra frequenza, solitamente incluso in tabelle che dovrebbero essere assegnate come studio domestico. Inoltre tale metodo, derivante dalla didattica breve di Ciampolini, risulta, a conti fatti, una editio minor di manuali che abbiamo usato come studenti e quindi, anche se si viene gettati in classe da un giorno all’altro, con questo manuale si può gestire tranquillamente la didattica.

Tra i punti deboli di questi manuali c’è la ripetitività di brani e frasi, che vengono tramandati “di generazione in generazione”. La diffusione massiccia di tali volumi in tutta Italia ha fatto sì che gli studenti si ingegnassero a condividere le traduzioni e le soluzioni degli esercizi su piattaforme online; ne consegue che su siti come Splashlatino, Studentville (a altri) indicando solamente le parole incipitarie del brano da tradurre o il numero con la pagina dell’esercizio, lo studente “sveglio “smanettone” si trovi lo svolgimento già fatto. Nell’immagine sotto una dimostrazione di questi database accessibili a tutti gli studenti.

https://www.studentville.it/appunti/il-nodo-di-gordio/

Un altro elemento di criticità è rappresentato da versioni spesso non graduate che, specie nella seconda parte del volume 2 (quindi durante il secondo quadrimestre del secondo anno), mettono in grave difficoltà gli studenti; questo è dovuto, a mio avviso, al fatto che una spiegazione sintetica di argomenti grammaticali complessi (penso alle interrogative, o alle relative) non trova corrispondenza con i brani proposti, spesso già parzialmente d’autore. Sembra, infatti, di essere di fronte a un’altra lingua, tanto da scoraggiare i discenti che, specie in indirizzi come lo scientifico e le scienze umane, iniziano a covare, dalla classe terza, un odio verso la lingua e una predilezione (chissà perché) per la cultura latina.

Vediamo poi il modello tradizionale, che ha i suoi esponenti nei volumi di Vincenzo Tantucci e di Laura Pepe – Danilo Golin: si tratta di manuali che hanno cambiato spesso titolo, ma che hanno avuto grande successo in passato nella scuola italiana. Ora si trovano nella versione Il Tantucci plus, edito da Mondadori (con diversi collaboratori, tra cui l’ottimo Angelo Roncoroni) e Corso di lingua latina. Dalla grammatica alla traduzione, edito da Einaudi. A mio avviso sono volumi scientificamente autorevoli, ma utilizzabili con efficacia solo al liceo classico, in cui il monte ore è di 5 al biennio e 4 al triennio. Il modello tradizionale è anti-economico e nei suoi esercizi ripetitivi; per gli studenti è demotivante sapere che potranno arrivare a leggere testi in latino “vero” solo dopo un lungo apprendistato grammaticale, spesso noioso. Il costante riferimento all’italiano e al “complemento” espresso dal caso latino (scandito dalla domanda “come si esprime il complemento x in latino?”) mette in secondo piano il concetto di caso come macrofunzione logica; inoltre il modello è destinato alla sola lettura e comprensione dei testi, mentre poco spazio è lasciato alla riflessione sulla lingua. Le lunghe liste di eccezioni da imparare (ma poco diffuse nella lingua, come caelicola che compare solo una volta in Catullo e Virgilio) lo rendono poco amato agli studenti, specie di oggi, poco inclini a uno studio mnemonico. Inoltre la sottolineatura della componente semantica mette in secondo piano la sintassi, dal momento che le categorie logiche vengono viste come predicati dell’essere, con vari fraintendimenti e concetti assunti come dogmi di fede.

https://www.mondadorieducation.it/catalogo/il-tantucci-plus-0044680/

Un modello che potenzia invece molto la sintassi è quello valenziale, di cui sono divulgatore e fervente sostenitore. Come ogni metodo, ha i suoi pregi e difetti, delineati bene da Balbo alle pp. 62-64 del suo Insegnare latino. Tra i vantaggi, sicuramente, c’è il concetto di valenza, che permette di superare la distinzione tra verbi transitivi e intransitivi; la visualizzazione grafica della frase consente un apprendimento iconico, inclusivo anche per studenti con DSA e l’attenzione alla sintassi permette di mettere in luce i cosiddetti “nessi testuali”, importanti per una prima analisi del testo latino. Il difetto maggiore (e l’ostacolo, a mio avviso, alla penetrazione del metodo in Italia), è la manualistica: Ratio, di Laura Azzoni, Benedetta Nanni e Lorenzo Montanari, è un testo molto difficile da usare, quasi universitario, che implica molto lavoro da parte dei docenti e risulta ostico per l’alunno medio. Nel caso un docente voglia sperimentare tale metodo, non avendo un manuale valenziale, è lasciato solo (anche se può spulciare il mio blog e la categoria valenza!); d’altra parte applicare le convenzioni di Sistema e testo di Francesco Sabatini alle frasi latine risulta non sempre agevole e la rappresentazione grafica entra in crisi con quelle complesse.

Semplice schema grafico di una subordinata circostanziale

Va da sé che, nell’ottica della flessibilità, le frasi complesse possono essere rappresentate in modo “sintetico”, senza includere tutti gli elementi della proposizione, ma solo i nodi rappresentati da coordinate, subordinate circostanziali, completive e attributive. Tra le critiche al modello c’è l’assenza di un dizionario valenziale, ma in realtà è possibile recuperare informazioni sulla valenza del verbo nei diversi lemmi, anticipando agli studenti la declinazione di aliquis e aliquid. Poco approfondita è, in questo modello, la componente lessicale, anche se Ratio presenta diverse schede lessicali con le “famiglie di parole”.

Come si può notare dalla disamina, ogni modello didattico presenta vantaggi e svantaggi, elementi di pregio e di criticità: credo che la soluzione migliore per il buon insegnante di latino sia sfruttare le potenzialità insite in ciascuno; vado quindi, in conclusione, a dettagliare gli spunti da altri modelli che uso nella mia didattica del latino con taglio valenziale:

  • dal metodo Ørberg i video attraverso cui ascoltare la corretta pronuncia e le domande in latino che propongo alla fine di brani di esercitazione o di verifica nella parte di comprensione; utile, anche come rompighiaccio, è dedicare brevi momenti all’uso “vivo” del latino, raccontando magari “storielle” avvalendosi di sostantivi immediatamente intellegibili al gruppo classe (pratica vincente, per esperienza)
  • dalla didattica breve, gli schemi a fine capitolo, così come l’intreccio tra lingua e civiltà, messo in secondo piano (solo apparentemente eh…) dalla grammatica valenziale, ma che risulta sempre interessante per gli allievi, specie se i percorsi fanno riferimento a tematiche di Educazione Civica (la donna, la guerra etc.)
  • dal metodo tradizionale la messe di esercizi (mediamente in numero maggiore rispetto ai manuali di altri metodi), che possono essere usati modificando la consegna e adattandola alla propria metodologia.

Quindi la parola chiave è, per riprendere il titolo, eclettismo, ma aggiungerei anche voglia di sperimentare e di mettersi in gioco; se fino a 20-25 anni fa (gli anni in cui ero io al liceo, insomma), il latino era presente in tutti i licei e non esistevano le opzioni (scienze applicate, sportivo, economico-sociale), ora la grande sfida è quella di appassionare alla lingua e cultura dei romani con dei metodi nuovi, consapevoli che ci sono indirizzi che riscuotono successo senza la sua inclusione nel piano di studi. Questo non vuol dire che la grande tradizione normativa-traduttiva vada rifiutata, ma è il contesto mutato e il valore dato all’antico a farci muovere verso le moderne acquisizioni della linguistica, tenendo presente anche la dimensione comparativa, per non far diventare il latino il “pulcino nero” dei piani di studi che non siano di liceo classico.

2 pensieri riguardo “Insegnare latino con eclettismo

  1. Sfondi una porta aperta, Matteo, l’eclettismo raramente è un difetto. Io ho studiato al liceo con il metodo Martinet (e il Roncoroni per letteratura) ma conosco anche gli altri metodi. Per le Scienze Umane è ancora in uso il Flocchini. Il metodo valenziale se non diventa troppo complicato ha i pregi che hai ben elencato e anche fare ascoltare un po’ di latino parlato ha i suoi vantaggi. Il manuale Grammatica Picta presenta anche dei fumetti legati alla storia di Annibale, ma mi viene in mente anche la serie tv Barbari, interamente girata in latino (con pronuncia classica). Peccato che molti studenti non capiscano l’importanza di una lingua come il latino, per raggiungere alti livelliculturali è inevitabile affrontare anche argomenti complessi, che richiedono logica e studio assiduo. Chissà di qui a 10/20 anni cosa resterà della lingua di Cicerone nei licei italiani…

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  2. Bell’articolo e scritto molto bene.
    Qualche osservazione.
    1. Il “metodo natura” non mi è mai piaciuto. Non si può apprendere il latino, lingua antica, come fosse una lingua moderna. E’, infatti, imprescindibile che il testo latino sia il punto di partenza per lo studio della lingua perché quella lingua è espressione di una civiltà. Ritengo, quindi, semplicemente ridicola la presentazione delle unità con storie a fumetti che presentano situazioni moderne (la famiglia a colazione, per esempio) solo per attirare l’attenzione degli studenti facendo loro credere che imparare così il latino sia divertente.
    2. Il cosiddetto “metodo tradizionale” di fatto non esiste più. Certamente alcuni autori, come il Tantucci, rimangono ancorati a quel metodo però di fatto nel corso degli ultimi decenni hanno tentato di proporre dei testi coerenti con le indicazioni nazionali che, per esempio, sottolineano l’importanza del lessico. Ai miei tempi, le parole da imparare erano solo parole, quasi avulse dai vari contesti. O, per meglio dire, dovevamo essere in grado di individuare il lessico specifico all’interno dei vari contesti, ma non si parlava di aree semantiche (la prima volta che ho sentito questo termine fu durante lo studio di Linguistica generale all’università…). Ho avuto il Tantucci in adozione (“Il mio Latino”) ed è da bocciare anche perché pieno di errori 😦 benché il peggiore per me è “Didici” di Barbieri.
    3. Ero una convinta sostenitrice del Flocchini (ne ho usate svariate edizioni da “Comprendere e tradurre” a “Lingua e cultura latina” passando attraverso i vari “Expedite”) ma negli ultimi anni mi ha profondamente deluso. Rimane comunque uno dei migliori manuali.
    4. Negli anni ’90 ho seguito un corso sulla didattica breve del latino con Ciampolini e Piazzi ed è stato illuminante. Tuttavia, i manuali proposti erano, secondo me, molto faticosi per gli studenti: fin dall’inizio venivano messi di fronte a frasi d’autore per la maggior parte tradotte perché contenenti regole non conosciute. Concordo sul fatto che le frasi “adattate” (e anche certe versioni…) siano a volte forzate però sono consigliabili almeno per la classe prima. Inoltre, a dispetto della “distillazione dei contenuti” (regole) tanto sbandierata, in realtà dal punto di vista grammaticale c’era quasi tutto, particolarità comprese (a volte davvero inutili, come fai giustamente notare tu, Matteo).
    5. Trovo il metodo valenziale il migliore in assoluto ma purtroppo mancano i manuali. Concordo sul fatto che “Ratio” sia un testo difficile (ogni tanto lo uso per costruire qualche scheda grammaticale) quindi speriamo che qualche autore si svegli e capisca che il metodo valenziale è il metodo del futuro, per tutte le lingue. Gli studenti imparano a ragionare sul testo e pazienza se non avranno imparato a memoria tutte le funzioni logiche dei casi, molte volte l’intuito li aiuta.

    Infine, vorrei segnalare un manuale cui sono particolarmente affezionata: il Griffa. Probabilmente sconosciuto ai più giovani, fu il primo testo di Latino da me usato al liceo nelle vesti di insegnante. Purtroppo non era mio, me lo imprestò una collega e glielo restituii, ma se l’avessi ancora non lo butterei mai via. Di Griffa conservo ancora un libro di autori per il biennio che si intitola, guarda un po’, “Comprendere e tradurre”. Trent’anni fa lui aveva già capito tutto! 🙂

    P.S. Scusa, Matteo, se ho scritto un commento così lungo. Purtroppo il dono della sintesi non l’ho mai avuto.

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