SOS lessico

Tra i ricordi sicuramente più vividi del mio primo anno di insegnamento ci fu lo sguardo attonito della studentessa di terza liceo che, di fronte alla sua richiesta di andare in bagno, si sentì rispondere: “Sì, celermente“. Da quel momento ero diventato il prof. che parlava “strano”, che voleva fare “l’alternativo”. Eravamo agli inizi degli anni Dieci del XXI secolo e l’impoverimento linguistico era solo agli inizi: i social network non avevano ancora colonizzato le nostre vite, ci si frequentava (e si parlava!) spesso al pomeriggio (nei bar, nelle biblioteche, nei parchi) e la lettura era ancora una consuetudine dello studente medio e non un relitto di un passato ormai finito in cantina, per lasciare il posto al GFVIP o a UOMINI E DONNE.

Chiunque viva la scuola, in trincea, o meglio, davanti a un PC, ha sicuramente notato come termini che venivano utilizzati (e compresi) negli anni Novanta e nei primi anni Duemila, siano ora completamente avulsi dall’universo linguistico e culturale degli alunni. Ritengo che sia però compito della scuola non disperdere tale patrimonio, che porterebbe oltre a un impoverimento lessicale, anche a un impoverimento concettuale. Solo chi ha infatti un bagaglio di termini vasto può comunicare con precisione e profondità. Ne parla anche Serianni nel suo volumetto, per me ormai Vangelo, Scrivere, leggere e argomentare: qui l’accademico sottolinea la necessità, negli esercizi di scrittura, di potenziare il lessico, oltre quei 4625 vocaboli indicati da Tullio de Mauro come essenziali.

Celeberrima è poi la Lettera dei 600 Accamdemici (qui il testo), del 2017, in cui si legge: “Da tempo – continua la lettera – i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcune facoltà hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana”. Dunque, oltre alla grammatica e alla sintassi, si fa riferimento al lessico come ambito in cui si denotano lacune, che ora sono diventate delle voragini, specie in alcuni contesti socio-culturali.

Come fare dunque a potenziare il lessico degli studenti? Parto da una premessa: la scuola, vista ormai come panacea di tutti i mali, deve sicuramente prendersi carico del problema, ma, a mio parere, molto dipende anche dall’extrascuola. Le attività di potenziamento lessicale, di recupero di termini ormai andati in disuso vanno accompagnate da un esercizio costante di approfondimento individuale, di riflessione linguistica autonoma. Attività-chiave per recuperare il “lessico perduto” sono sicuramente la visione di telegiornali “di valore”, di programmi di ambito culturale e, in primo luogo, la lettura di quotidiani autorevoli, anche nella loro versione online. Evito invece di affrontare il tema della lettura di opere narrative a scuola, su cui si dovrebbero scrivere pagine e pagine.

Nei prossimi paragrafi proporrò due attività di potenziamento, recupero e consolidamento lessicale: una prima a carattere essenzialmente ludico, pensata per un biennio di scuola superiore; la seconda invece propone di creare una sorta di “laboratorio di lettura” da effettuare, a cadenza bisettimanale, nel secondo biennio delle superiori: in tale laboratorio una parte considerevole è ricoperta da quesiti di riflessione lessicale.

La prima attivtià proposta si intitola “Adotta una parola” e in questo caso ho deciso, nella sua applicazione, di utilizzare la metodologia della Gamification, per rendere l’iniziativa più accattivante e vicina alle modalità di apprendimento degli studenti della generazione Z. Essa presuppone l’utilizzo della rete internet, in quanto prevede una webquest fortemente limitata dal docente. Prende ispirazione da un’iniziativa dell’ormai lontano 2011, promossa dalla “Società Dante Alighieri” con il supporto del “CorSera” e di “Io Donna” (qui il sito dell’iniziativa). Ritengo sia necessaria un’educazione all’utilizzo selvaggio della rete e maturare l’abitudine a servirsi di siti web affidabili, autorevoli, di testi per i quali esiste il corrispettivo cartaceo. Il sito della “Società Dante Alighieri” rimanda infatti al lessico di quattro dizionari d’italiano (Devoto Oli, Garzanti, Sabatini Coletti e Zingarelli) e consente anche agli studenti di usare la rete come strumento per lo studio.

Dopo aver fatto conoscere agli studenti il sito, si carica sulla classe virtuale, sul registro o sull’indirizzo e-mail della classe una scheda, in formato .doc, che indica una sitografia di riferimento e alcuni elementi degni di nota:

  • L’etimologia latina dell’espressione
  • La definizione
  • Le parole derivanti dal termine adottato
  • Delle frasi in cui è possibile usare un termine
  • L’espressione sinonimica che si utilizzava prima dell’ “adozione” del termine.

Questa attività viene svolta dagli alunni in laboratorio informatico, oppure a distanza e si chiede di caricarla, a fine progetto, su una piattaforma di condivisione file (Edmodo, Classroom, per esempio). A rotazione, di fronte alla classe, dovranno argomentare la scelta del termine “adottato” e delineare etimologia, significato e contesto d’uso della parola. I compagni di classe hanno la necessità di appuntarsi i punti salienti della spiegazione lessicale perché, nella seconda parte, quella del Jigsaw in cui dovranno, come un puzzle, ricostruire i significati del termine. Il laboratorio di potenziamento lessicale è propedeutico alla scrittura, ma può sicuramente dare risultati fruttuosi, a medio-lungo termine. I ragazzi imparano anche a servirsi di siti importanti per l’italianistica, quali etimo.it, sul quale trovare le etimologie, treccani.it, sito dell’Enciclopedia e possono usare in forma online i dizionari della lingua italiana, tra cui il Sabatini Coletti, punto di riferimento per gli studi sulla valenza del verbo, nel caso si adotti in grammatica tale metodologia didattica.

La sperimentazione in classe ha mostrato risultati interessanti, tanto nelle scelte adoperate dai ragazzi, quanto nelle scelte lessicali che si manifestavano nelle frasi. Ritengo che il potenziamento e il recupero lessicale vada senz’altro implementato nella pratica dell’italiano scritto e, in certi contesti, caratterizzati da basso livello culturale e ridotti stimoli culturali, privilegiato rispetto alla traccia di tema tradizionale che, alla lunga, risulta stucchevole se non ancorato a un contenuto significativo.

Mi soccorrono in questa mia analisi, le considerazioni espresse da Serianni nel suo Italiani scritti. L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti: qui lo storico della lingua e accademico dei Lincei si sofferma su un interessante (nelle intenzioni) esercizio, volto a definire dei termini facenti parte del lessico intellettuale e astratto, necessari per comprendere appieno il programma di epica della classe prima o per affrontare con adeguate competenze l’analisi del testo letterario. Gli alunni dovevano definire dei termini decontestualizzati tra cui nume, spelonca, ambrosia, pathos, biasimare. A parte la grossolana griglia di valutazione utilizzata dall’anonimo docente, Serianni chiude sostenendo che «esercizi di questo tipo, correttamente impostati, sono utili, certo più utili del vecchio tema “generalista”. Qualsiasi prova è un’occasione preziosa per migliorare le capacità di scrittura e di organizzazione del discorso, non solo scritto».

L’attività “Adotta una parola” risulta interessante per diversi motivi:

  • attiva una webquest significativa, vincolata e sorvegliata dal docente, rifuggendo dunque dal “copia-incolla” compulsivo che si manifesta spesso nelle attività di ricerca individuali o di gruppo;
  • attiva quelle competenze sociali e di cittadinanza auspicate dai documenti ministeriali;
  • potenzia l’insegnamento reciproco (reciprocal teaching nel lessico didattico);
  • propone un primo approccio a siti che dovrebbero diventare abituali nel prosieguo degli studi, ossia l’enciclopedia Treccani, i dizionari online e altri.

La parte conclusiva della proposta didattica prevede invece una gamification o ludicizzazione (per approfondimenti su questa metodologia, si veda questo link): si dividono gli alunni in squadre e si chiede loro di creare dei quiz che richiedano la conoscenza del significato delle parole adottate nella prima fase dell’unità di apprendimento.

Passiamo ora alla seconda proposta didattica, pensata per gli ultimi anni della scuola superiore. Per recuperare e potenziare il lessico nel triennio è invece opportuno prevedere, a cadenza bisettimanale, delle attività di “lettura profonda” o comunque laboratori su testi che prevedano l’inserimento di termini che ormai sono avulsi dall’orizzonte esperienziale dei discenti.

E’ poi risaputo che, per scrivere bene, è importante entrare in contatto con modelli di buona scrittura. Abbondano ormai nell’editoria scolastica materiali anche a basso costo sul potenziamento della lettura, ma ahimé, non sempre risultano di facile gestione o spendibili concretamente in classe. Un buon punto di partenza, dal mio punto di vista, per consolidare e arricchire il lessico degli studenti del triennio è la lettura di editoriali, che si può anche inserire nel progetto decennale “Il quotidiano in classe”. Gli editoriali rappresentano, infatti, dei modelli di scrittura molto adatti a far lavorare la classe sulla precisione lessicale, sulle sfumature di significato, sull’efficacia dell’espressione. Quali “penne” prediligere? A prescindere dalle opinioni politiche, ritengo degli ottimi spunti di lettura quelli offerti da Aldo Cazzullo, Luca Ricolfi, Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, che si possono trovare liberamente online, senza abbonamenti alle testate.

Gli esercizi di cloze (ossia di “riempimento di spazi vuoti”), poi, consentono di lavorare sugli aspetti propriamente linguistici, offrendo una vasta gamma di possibilità a tutti i livelli di istruzione, dalla scuola primaria, fino all’università (specie per quanto riguarda l’apprendimento del lessico nelle lingue straniere). Nelle proposte i docenti dovranno però sempre scegliere articoli che abbiano attinenza con il percorso di apprendimento della classe, per far sì che l’attività non risulti “avulsa” dall’itinerario della disciplina.

Vediamo un esempio preso da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, Il linguaggio dell’inciviltà, «Corriere della Sera», 3 febbraio 2014 (trovate l’articolo qui)

Ernesto Galli della Loggia, immagine reperibile all’url https://www.fondazionedivenezia.org/a-tu-per-tu-con-ernesto-galli-della-loggia-per-fdvonair/

[1] Abito a Roma nei pressi di una scuola (medie e liceo), e all’inizio e alla fine delle lezioni la mia via si riempie di ragazzi. Mi capita così di ascoltare assai spesso le loro chiacchiere, gli scambi di battute. Ebbene, quello che mi arriva alle orecchie è una continua raffica di parolacce e di bestemmie, un oceano di turpiloquio. Praticamente, qualunque sia l’argomento, in una sorta di coazione irrefrenabile dalle loro bocche viene fuori ogni tre parole un’oscenità o una parola blasfema. Le ragazze – parlo anche di quattordicenni, di quindicenni – appaiono le più corrive e quasi le più compiaciute nel praticare un linguaggio scurrile e violento che un tempo sarebbe stato di casa solo nelle caserme o nelle bettole più malfamate.

 [2] A dispetto dunque di quanto vorrebbero far credere molti dei suoi scandalizzati censori, il lessico indecente e la volgarità aggressiva mostrati da Grillo e dai suoi parlamentari nei giorni scorsi non sono affatto un’eccezione nell’Italia di oggi. Sono più o meno la regola. Sostanzialmente, in tutti gli ambienti il linguaggio colloquiale è ormai infarcito di parolacce e di volgarità, come testimoniano quei brandelli di parlato spontaneo che si ascoltano ogni tanto in qualche fuori onda televisivo o tra i concorrenti del Grande Fratello. Siamo, a mia conoscenza, l’unico Paese in cui i quotidiani non esitano, all’occasione, a usare termini osceni nei propri titoli. Non dico tutto questo come un’attenuante, tanto meno come una giustificazione. Lo dico solo come richiamo a un dato di fatto. È l’ennesimo sintomo dell’abbandono delle forme, della trasandatezza espressiva, della durezza nelle relazioni personali e tra i sessi, di un certo clima spicciativo fino alla brutalità che sempre più caratterizzano il nostro tessuto sociale. In una parola di un sottile ma progressivo imbarbarimento.

[3] Il declino italiano è anche questo. Il degrado dei comportamenti, dei modi e del linguaggio ha molte origini, ma un suo fulcro è di certo il grave indebolimento che da noi hanno conosciuto tutte quelle istituzioni come la famiglia, la scuola, la Chiesa, i partiti, i sindacati, a cui fino a due-tre decenni fa erano affidati la strutturazione culturale e al tempo stesso il disciplinamento sociale degli individui. Era in quegli ambiti, infatti, che non solo si sviluppava e insieme si misurava con la realtà esterna e le sue asperità il carattere, ma veniva altresì modellata la disposizione a stare nella sfera pubblica e il come starci. Tutto ciò che per l’appunto è stato battuto in breccia in nome di ciò che è «spontaneo», «autentico», «disinibito», secondo una concezione della modernità declinata troppo spesso nelle forme del più sgangherato individualismo.

[4] La modernità italiana ha voluto dire anche questo generale e cieco rifiuto del passato. Rifiuto di consolidate regole pubbliche e private, di un sentire civico antico, di giusti riguardi e cautele espressive, di paesaggi culturali e naturali tramandati. Di molte cose che da un certo punto in poi la Repubblica ha rinunciato ad alimentare e a trasmettere. Un filo rosso lega la rovina del sistema scolastico da un lato e dall’altro il turpiloquio sessista dei parlamentari grillini di oggi e dei guitti di sinistra di ieri contro le rispettive avversarie politiche, la dissennata edificazione del territorio da un lato e i tricolori sugli edifici pubblici ridotti a luridi stracci dall’altro, le condizioni della Reggia di Caserta e il nostro primato nelle frodi comunitarie. Ma quel filo rosso non ci piace vederlo: ed è così che la società civile italiana (a cominciare dai suoi deputati) è diventata per tanta parte un coacervo d’inciviltà.


Nell’editoriale sono state evidenziate alcune espressioni, che andranno chiarite dagli studenti nel questionario di “lavoro sul testo”. Esse si caratterizzano per la loro “alterità” rispetto all’italiano parlato dagli adolecenti, ma rappresentano la “cifra” dello stile preciso, arguto e allo stesso efficace di Galli della Loggia.

Se, usando una metodologia tradizionale, si può chiedere agli studenti di analizzare e spiegare in forma discorsiva il significato delle espressioni, in grassetto nel testo, appartenenti al lessico astratto o comunque lontane dall’italiano degli adolescenti, sfruttando invece la metodologia del cloze è interessante proporre l’editoriale privo di tali espressioni, che dovranno essere scelte da un elenco sottostante. Da suggerire l’utilizzo dei cosiddetti “distrattori”, parole o locuzioni dal significato simile, ma in realtà per nulla contigui dal punto di vista semantico, il tutto per rendere l’esercizio più complesso e meno “stile-puzzle”.

Altrettanto utile è quello di collegare i termini in grassetto a delle espressioni equivalenti, di livello medio o medio-basso.

Corrive

Turpiloquio

Coacervo

Spicciativo

Linguaggio osceno

Accumulo

Sconsiderate

Sbrigativo

Per concludere, promuovere la competenza lessicale è sicuramente una missione difficile, che va curata sin dal primo ciclo, ma non va abbandonata neanche nel II ciclo, per non incorrere negli orrori lessicali descritti da Serianni e Benedetti nel loro Scritti fra i banchi . Impostare attività centrate sul lessico se da una parte mette in gioco la creatività del docente, dall’altra presuppone un lungo lavoro di scelta ed elaborazione di testi, lavoro necessario per non far perdere irremediabilmente un patrimonio trasmesso di secolo in secoli, ma oggi sempre più a rischio.

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