I viaggi d’istruzione: riflessioni semiserie

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Tra le pagine più belle del libretto di Marco Lodoli intitolato Il rosso e il blu. Cuori ed errori nella scuola italiana, ci sono sicuramente quelle dedicate al viaggio di istruzione, detto comunemente “gita” (i grassetti sono miei).

Il momento più penoso dei consigli di classe è quando bisogna stabilire quale insegnante accompagnerà i ragazzi in gita.

Prima quasi tutti si dichiarano favorevoli a questa tre giorni a Venezia o a Firenze, perché è un momento di crescita culturale – dice la professoressa di storia dell’arte; perché renderà la classe più compatta e amica – dice il professore di matematica; perché sono situazioni come queste, più libere e creative, che fanno fare uno scatto in avanti agli studenti – afferma la preside: serve un po’ di bastone, ma soprattutto serve tanta carota. Solo un vecchio professore di lettere fa notare che forse la classe non meriterebbe un premio, questa distrazione, visto che i voti sono bassi e il comportamento spesso indegno, che ci sono stati casi di grave insubordinazione e persino una rissa in un cambio dell’ora. Poi anche lui si arrende e accetta l’inevitabile gita fuori porta (p. 108).

Ma sono le righe successive che suscitano un sorriso amaro:

Resta quindi da decidere chi guiderà la spedizione: serve un volontario, un eroe.

E qui casca l’asino.

Qui tutti i professori si dichiarano, ma a malincuore, sia chiaro! totalmente indisponibili. C’è chi ha tre figli a cui badare, chi ha un padre malato – sono dieci anni che questo vecchio padre è malato, non muore mai – chi sta traslocando, chi deve concludere un breve saggio sulle tombe etrusche di Cerveteri – dieci anni che va avanti questo benedetto saggio e non se ne vede mai la fine. Insomma, tira e molla, minaccia e prometti, la gita rischia di svanire nel nulla per mancanza di un accompagnatore.

Alla fine è il vecchio professore di lettere che, supplicato, omaggiato, incalzato, accetta l’incarico. Lui sa bene cosa accadrà, indovina il futuro perché conosce il passato, ma stoicamente si affida al destino (pp. 108-109)

Insegno da 14 anni e, ad eccezione della parentesi nefasta del coronavirus, mi sono sempre affidato al destino, accompagnando le classi in gite di più giorni, con alcune mete ricorrenti come Strasburgo/Friburgo, Roma, Firenze e Urbino. Devo ammettere, in realtà, che per anni sono andato in qualità di semplice accompagnatore, mentre quest’anno, per la prima volta, mi sono “accollato” l’onere di organizzare il viaggio d’istruzione a Firenze. E organizzare un viaggio di distruzione, eh volevo dire d’istruzione, come vedremo in seguito, è diverso dal semplice accompagnare! Agli occhi dei genitori (e di alcuni colleghi, ahimé!) portare gli studenti in gita equivale poi a una vacanza pagata, con hotel e pranzi inclusi, ma l’obiettivo di questo articolo semiserio è mostrare come si tratti di turni di straordinari non retribuiti, piacevoli se si crea una giusta armonia con la classe, ma equivalenti a un incubo se i ragazzi decidono di usare questi giorni come momento di trasgressione.

Il momento della scelta della meta e degli accompagnatori è, come scrive con ironia Lodoli, davvero uno dei più imbarazzanti del primo quadrimestre; coordinatore e colleghi convengono sull’importanza del viaggio d’istruzione, momento formativo, occasione di allenamento linguistico (per chi andrà a fare uno stage all’estero), formazione sul campo e strumento di socialità utile per rendere più unita la classe; insomma, a meno di avere a che fare con degli “avanzi di galera”, una gita non si nega a nessuno e non portare gli studenti in Italia o in Europa un marchio d’infamia per l’intero consiglio di classe. Ma, all’atto di decidere accompagnatori ed eventuali supplenti, molti accampano giustificazioni più o meno reali: figli da accudire, genitori anziani non autosufficienti, un secondo lavoro da mandare avanti, una visita specialistica che cade proprio nel periodo della gita e altre “pezze giustificative” altrettanto fantasiose. Se si è fortunati, possono essere però presenti nel consiglio di classe alcuni elementi salvifici:

  • la prof.ssa influencer-amica degli studenti, che non vede l’ora di conoscerli al di fuori del contesto scolastico e di postare tante foto con loro su Instagram e Tiktok;
  • il prof. di scienze motorie scapolo (lui però senza secondo lavoro in palestra!), che concepisce la gita come allenamento fisico e non ha alcun problema a proporsi come accompagnatore, pensando già ai chilometri che farà macinare al gruppo;
  • la prof. ssa ventenne precaria, dalla lacrima facile, che, incerta sul ritorno nel prossimo anno scolastico, si candida di buon grado come accompagnatrice per vivere un’esperienza con gli studenti.

Se si sono decisi gli accompagnatori, ora serve un organizzatore del viaggio, il vero e proprio martire, perché dovrà avere a che fare con la segreteria per la gestione organizzativa. Se i nostri viaggi ormai vengono prenotati con un click su Booking, quelli scolastici devono passare per un iter degno di una legge in Parlamento: approvazione nel consiglio di classe, stesura del modulo del viaggio, approvazione in consiglio di Istituto, preparazione del bando per i preventivi delle agenzie, scelta del preventivo migliore, comunicazione in bacheca alla classe, adesione della classe, circolare con programma del viaggio dettagliato, circolare per il pagamento dell’acconto, circolare per il pagamento del saldo…

Ma non è finito qui: una volta stabilito il programma di viaggio, si presenta il problema delle prenotazioni dei musei e dei luoghi di interesse storico e artistico, vero centro nevralgico della “gita” ma che, specie nelle città d’arte, risultano off-limits se non ci si porta avanti con mesi (o un anno!) di anticipo: entrare negli Uffizi, ammirare la Cappella Sistina, passeggiare nel Colosseo sono esperienze che vanno progettate con un anticipo imbarazzante, dato l’afflusso di turisti post covid e il programma da incastrare, tenendo conto di diversi dettagli. Ma agli studenti interessano davvero queste esperienze? Negli ultimi anni, ho notato una certa insofferenza verso le guide che, non vivendo la scuola, risultano “scollegate” dalle modalità di interazione con gli adolescenti: la visita di 2 ore guidata, ai Fori imperiali, per esempio, si risolve in studenti che si trascinano da un edificio antico all’altro, con l’insegnante che li sprona a prestare attenzione, mentre loro chiedono insistentemente quando verrà lasciato del tempo libero.

Immagine reperibile all’url: https://cub.it/nuova-legge-sulle-guide-turistiche-in-arrivo/

Il tempo libero? Ma un insegnante non dovrebbe vigilare 24h su 24 sugli studenti che gli vengono affidati evitando financo di dormire per tutta la durata della gita? Sappiamo tutti bene che la buona riuscita di un viaggio d’istruzione dipende anche da quei tempi di libertà che vengono concessi alle creature, libere, nel perimetro indicato dai sorveglianti, di mangiarsi un panino o una carbonara con la mancia dei genitori. Quando si lasciano gli studenti liberi di svagarsi un po’, non bisogna, però, pensare alle responsabilità civili e penali degli accompagnatori; in rete (leggi qui) trovate un bel po’ di risorse per chi vuol farsi una cultura giuridica sulle ripercussioni di un comportamento diverso da quello di un secondino. Insomma, si capisce bene perché, in quel consiglio di classe, «[quasi] tutti gli accompagnatori si dichiaravano totalmente indisponibili».

In gita, infatti, si è in servizio per più di 18 ore al giorno e gli studenti hanno dimenticato che un essere umano ha bisogno di ore di sonno per poter essere vigile durante il giorno: il Parlamento, il Colosseo, la Petite Venice di Colmar, gli Uffizi, il Cristo Velato, Pompei, sono però, per gli studenti, semplici tappe che precedono le notti, rigorosamente bianche, tanto che la mattina gli studenti si aggirano tra i tavolini della sala colazione come le mummie nello studio di Federico Ruysch. Hanno cantato tutta notte, o meglio, hanno banchettato nelle camere con (quando va bene) coca cola, patatine comprate all’autogrill oppure, nel 2024, su Glovo. E qui la mia mente mi riporta alla sciagurata gita che feci nel lontano 20XX a San Marino-Urbino con delle classi seconde; la meta del viaggio era stata decisa dalla bravissima collega di arte, che però non accompagnò gli studenti in gita; lavoravo in una scuola paritaria e gli alunni erano, eufemismo, piuttosto frizzanti. La pausa pranzo a San Marino era stata dedicata, infatti, all’acquisto di superalcolici che vennero nascosti negli zaini, pronti per essere consumati nella notte, tanto che una mia collega venne chiamata in stanza da un gruppo di studenti che, per scherzo, avevano fatto bere vari bicchieri di vodka a un compagno, piegato sul gabinetto al limite di un coma etilico. Tra le scene più epiche della mia esperienza di accompagnatore ci fu, quindi, la mattina successiva, la perquisizione delle camere e il ritiro di alcune bottiglie di superalcolici.

Il bottino recuperato nelle camere nella gita a Urbino.

Ma quindi, perché si accompagna in gita, dato che non è previsto alcun compenso extra e anche le spese dei pranzi liberi vengono rimborsati solo dopo aver fatto la figura dei mendicanti dalla DSGA di turno? C’è un solo motivo: gli studenti e il desiderio di far vivere la scuola anche oltre le anguste mura di un edificio. Una mattina, tra il serio e il faceto, affermavo che bisognerebbe rendere obbligatorie, nelle scuole superiori, le uscite a Firenze, Venezia e Roma…era un battuta, ma nascondeva una verità, ovvero il ruolo della scuola come promotrice di cultura, specie in contesti periferici, in cui un’uscita a teatro, un viaggio d’istruzione, una visita a un museo sono eventi rari e che le famiglie non organizzano. Se per uno studente del Collegio San Carlo di Milano tali esperienze sono all’ordine del giorno e una matinée alla Scala ordinaria amministrazione, così come un viaggio a Venezia o nel Peloponneso, diverso è il discorso per chi vive realtà marginali o lontane dai grandi centri storici.

D’altra parte credo che in ciò sia necessario prevedere un riconoscimento economico per chi si sobbarca tale impresa: ritengo assurdo che siano retribuite zero le ore di preparazione del programma, quelle trascorse al telefono con l’agenzia e in segreteria (momenti a elevato stress emotivo), così come quelle passate, rigorosamente con smartphone personale, se vogliamo mettere i punti sulle i, a prenotare musei pubblici. Il riconoscimento sociale dei docenti passa, a mio avviso, anche dal riconoscimento del lavoro di un professionista; sarebbe quindi auspicabile prevedere un compenso forfettario per l’organizzazione del viaggio e una indennità di trasferta per i docenti che accompagnano in gita: non siamo forse professionisti dell’istruzione in missione?

6 pensieri riguardo “I viaggi d’istruzione: riflessioni semiserie

  1. Nella mia scuola riceviamo un rimborso forfettario uguale per tutti, quindi che uno accompagni la classe appena fuori dal comune fino alle 4 del pomeriggio una volta, o vada per 2 o 3 volte fuori regione dalle 7 del mattino all’ora di cena non cambia il rimborso: la bellezza di 2 ore.
    Anch’io sono uno dei fessi che si dà disponibile ad accompagnare, confidando che tutto vada bene, ma naturalmente non sempre è andato tutto bene: c’è la ragazza che si è rotta la gamba sugli sci, il ragazzo che si è fratturato una costola al Parco avventura…

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  2. Nella mia lunga carriera ho soltanto accompagnato qualche classe in visita di istruzione della durata di 1 giorno. Ricordo ancora la levataccia per andare a Ravenna, dovendo partire alle 5.30. Senza contare che al ritorno siamo arrivati davanti al liceo alle 21.30 e ho dovuto attendere fino alle 22 la mamma di un’allieva che si è giustificata – nemmeno scusata – perché doveva preparare la frittata. 😦
    Oppure quella volta in visita a Este, quando la collega mi convinse a lasciare i ragazzi da soli per pranzo, all’interno del parco cittadino e naturalmente con il veto di uscire dalla parte recintata. Dopo 15 minuti ci fu un temporale con tanto di tromba d’aria… arrivammo trafelate nel parco e trovammo uno degli allievi, il più scalmanato, che si faceva fotografare con il piede su un grosso ramo disteso a terra, in una di quelle posizioni tipiche del cacciatore che ha catturato una preda. Mi accolse urlando “Prof, questo mi ha appena sfiorato l’occhio!”. Io credevo di morire. 😥

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  3. Sì, siamo professionisti dell’istruzione in missione e come tali dovremmo sempre comportarci. Dico questo perchè ancora ricordo la mia prima e unica gita scolastica di più giorni delle scuole superiori. Esperienza bella, bellissima ma anche forte e deludente nei confronti della prof che ci accompagnò. Ne parlo qui https://ili6.wordpress.com//?s=firenze+gita+scolastica&search=Vai

    Oggi i ragazzi sono sempre più turbolenti e le gite scolastiche, rimborso o meno, sono sicuramente faticose per i prof accompagnatori ma continuano a restare elemento di crescita sociale e culturale per molti studenti. Da insegnante di scuola primaria mai mi sono tirata indietro per le uscite didattiche e le gite di un giorno o due. Responsabilità enormi coi bambini, parecchia stanchezza e qualche ginocchio sbucciato ma anche tanto stupore nei loro occhi da godere pienamente come insegnante. Ricordo ancora una intera giornata a Siracusa: quella volta decisi di non affidarmi a una guida professionista ma di rendere guide i miei alunni di dieci anni. Affidai loro a gruppetti di quattro un monumento, un sito, un angolo della città e, a turno, dopo studio e ricerche, ogni gruppo fece da guida ai compagni. Io maestra restai ad ascoltarli e ad ammirarli, divertendomi anche. Sì, nelle gite mi sono sempre divertita con loro.

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  4. Nel precedente commento ho detto una bugia. In realtà ho accompagnato una classe 3^ liceo a Londra. Ma il discorso degli stage linguistici è diverso perché i ragazzi sono accolti in famiglia, quindi non c’è la preoccupazione di sorvegliarli durante la notte. Poi al mattino erano impegnati nel corso di lingua, quindi stavo con loro – assieme alla collega di Inglese – solo il pomeriggio dalle 13 alle 17.30 – 18 (lì si cena presto). Posso dire di essermi stancata galoppando per tutta la città e in giro per mostre e musei (tra il cibo pessimo e il movimento sono dimagrita 3 kg!), ma è stata una bella esperienza, la classe era davvero ottima, mai avuto alcun problema. L’avrei rifatta ma, per motivi familiari, ho dovuto dire di no.

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    1. Come ti capisco, Marisa!

      Le mie esperienze di viaggi Erasmus in giro per l’Europa, senza e con alunni al seguito, li rifarei anche domani per tutto ciò che mi hanno dato (attacco di sciatica e spese economiche personali compresi!).

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  5. Organizzare un viaggio d’istruzione (guai a dire gita!) richiede una mole di tempo e stress aggiuntivo non indifferenti. Penso sia dovuto ai ragazzi, se se lo meritano, però farne una all’estero ogni anno è eccessivo. Come dici tu, Matteo, Roma e Firenze dovrebbero essere d’obbligo. Sul ruolo delle guide dipende in chi ci s’imbatte, se è ben preparata tutto guadagna in efficacia altrimenti è un disastro. L’anno scorso, insieme a una collega, ho organizzato per una quarta liceo linguistico un viaggio di cinque giorni in Belgio che ha previsto la visita all’Atomium, il quartiere europeo di Bruxelles, Waterloo, Bruges e Marcinelle. È stata una prova di forza, complice il meteo avverso, ma ai ragazzi è piaciuto nonostante alcuni imprevisti (il furto del portafoglio a uno studente, malanni vari…). Al rientro nessun rimborso e il fatto che i ragazzi abbiano preso il sabato libero per riposarsi ha creato malumori.

    Ricordo anche il viaggio a Praga con una classe quinta meccanico scalmanata che però si è dimostrata responsabile e praticamente ha gestito in autonomia la procedura organizzativa in segreteria.

    Se ci fossero colleghi con un esonero ad hoc per aiutare nella predisposizione dei documenti sarebbe tutto più gestibile. Aggiungo che ci vorrebbe anche una card prepagata da usare durante i viaggi d’istruzione e una qualche forma d’incentivo per trovare accompagnatori altrimenti ogni volta è un problema e bisogna sorbirsi lamentele infinite.

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