Settimana scorsa, dopo la lettura del canto XV dell’Inferno, che mette in scena l’incontro, nel sabbione dei sodomiti, tra Dante e Brunetto Latini, ho assegnato una produzione domestica di tipo espositivo-argomentativo sulla figura del maestro, prendendo come testo d’appoggio una bella citazione da La lezione dei maestri di George Steiner. Questo volumetto, che raccoglie le lezioni tenute tra il 2001 e il 2002 dal critico letterario all’Università di Harvard, mi è stato consigliato da una compagna d’Università e, pur nella difficoltà di comprensione della prosa steineriana, con periodi ipertrofici ricchi di citazioni letterarie e filosofiche, mi ha consentito di riflettere su una tematica, quella del ruolo dei maestri, che, in effetti, risulta marginale nel dibattito, spesso fazioso, sulla scuola. La scrittura, in questo periodo, come aveva già notato con acume, in pieno 1^ lockdown, Stefano Rossetti su Griselda online, è davvero un modo per rimanere vicini; infatti «scrivere reca sempre le tracce delle aspettative e dell’attesa, in uno spazio-tempo sospeso, che si svela al momento della consegna dello scritto corretto; in quel momento s’incontrano la valutazione che hai dato di te stessa/o e quella che l’insegnante ha dato di te: una delle espressioni più alte dell’incontro educativo, e della responsabilità di tutte e tutti nella sua riuscita». A prescindere dalle tentazioni della rete, con conseguente amarezza-delusione per le copiature da siti a volte di dubbio valore, mi piace leggere quanto scrivono i miei alunni: soffermarmi sulle loro argomentazioni, sui loro pensieri e riflessioni è davvero un modo per sentirli vicini, in un momento in cui questo non è più possibile.

Steiner nel suo saggio ripercorre la storia del rapporto tra maestri e allievi, individuando tre tipi di relazione: «I maestri hanno distrutto i loro discepoli sia psicologicamente sia, in qualche caso, fisicamente. Ne hanno spento gli spiriti, consumato le speranze, sfruttando la loro dipendenza e la loro individualità. […] Come contrappunto, discepoli, allievi, apprendisti hanno rovesciato, tradito e rovinato i propri maestri. […] La terza categoria è quella dello scambio, di un eros di reciproca fiducia. Attraverso un processo di integrazione, di osmosi, il maestro apprende dal discepolo mentre gli insegna». Pagine illuminanti sono dedicate al rapporto tra Dante e Brunetto Latini; infatti, scrive Steiner, «se bisognasse scegliere un testo, in cui più che in ogni altro si cristallizzi il tema di questo libro, sarebbe il canto XV dell’Inferno» (G. Steiner, La lezione dei maestri, Garzanti, Milano 2004, p. 56).
Nella traccia, oltre a chiedere di rievocare la “voce” e l’immagine di un maestro a loro caro, riprendendo le riflessioni di un altro grande critico, Massimo Recalcati (si vedano le pp. 103-108 de L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014), proponevo una riflessione su come è cambiata la figura del maestro in tempo di pandemia, su come è possibile coltivare questa relazione tra anime e corpi in un contesto in cui tutto passa attraverso lo schermo impersonale di un computer. Come sempre, l’approfondimento è stato a diversi livelli, ma una frase, più di tutti, mi ha colpito e mi ha fatto riflettere a tal punto da volerla riportare: «il rapporto tra studente e docente nel corso di questo anno si è annullato, e ora più che mai c’è bisogno di trovare appoggio e conforto nella figura ricoperta dal maestro». In realtà, questa percezione della lacerazione, fino all’annullamento, del rapporto tra allievi e insegnanti è stata un po’ il filo rosso di questi lavori domestici, dove si palesa, chiaramente, il bisogno da parte degli studenti di essere ascoltati, capiti, lontani dalla logica prestazionale che ha caratterizzato tutto il dibattito sulla Didattica a Distanza.
Emerge, d’altro canto, un aspetto che dà speranza per il futuro: la loro comprensione, oserei dire totale e sorprendentemente acuta, delle difficoltà da parte dei “maestri”, di ogni ordine e grado, nel fare scuola in questo contesto e la sottolineatura della generale perdita della motivazione verso l’apprendimento, tra aperture e chiusure delle scuole, riprese al 50%, quarantene, isolamento fiduciario. Insomma, un aspetto, quello della motivazione, che mi pare poco trattato nei dibattitti quotidiani sull’apertura e chiusura delle scuole, ma su cui bisogna assolutamente porre l’attenzione.
“Recuperare la relazione”: dovrebbe essere questo il motto dei prossimi mesi, a prescindere dall’allungamento del calendario scolastico, dalla messa in campo dell’INVALSI per “testare” e valutare i “danni” della Didattica a Distanza; perché forse, più che dannarsi a “recuperare l’irrecuperabile”, come se in 1 mese aggiuntivo di scuola si potessero colmare la lacune di un anno (a questo punto, paradossalmente, un anno potrebbe durare 2 mesi), andrebbe ipotizzata davvero l’apertura estiva della scuola, ovviamente a piccoli gruppi e secondo i protocolli anti-Covid vigenti, per riallacciare questa relazione che, ahimé, un anno e mezzo a distanza ha irrimediabilmente indebolito, sfasciato, se non annullato. Mattinate tematiche, workshop di scrittura, laboratori, cineforum, uscite sul territorio a sfondo culturale; insomma, un riappropriarsi a piccoli passi della normalità e del rapporto con il corpo docenti.
Nel dibattito sulle scuole chiuse ha voluto dire la sua anche Michela Marzano, filosofa e docente alla Sorbona di Parigi; le sue parole su «La Repubblica» del 3 marzo credo si leghino al desiderio forte di una “maestra” (la sua voce, specie quando affronta tematiche a lei care come anoressia, diritti delle donne e soprattutto violenza contro le donne, non può che toccare il nostro cuore) di riabbracciare i propri studenti; infatti scrive «Sono anch’io un’insegnante. E sono la prima a non poterne più della Dad, a essere stremata, a ritrovarmi la sera con il mal di testa o la nausea, e a sapere bene quanto dolore si nasconde dietro quei rettangoli neri di fronte ai quali faccio ore e ore di lezione ogni settimana. Ma forse è arrivato il momento, anche per me, di fare i conti con la realtà e mettere in fila la lista delle priorità senza perdermi in chiacchiere inutili. Se lo scopo è quello di ritrovare la vita di prima, dobbiamo anzitutto uscire dalla crisi sanitaria. Il che non significa aspettare e arrendersi e rassegnarsi». Ma la riflessione finale è ancora più acuta: non è la scuola della mascherine, del distanziamento, del 50% in classe in presenza e 50% a distanza, dell’igienizzazione delle mani, della sanificazione di ogni superficie contaminata quella che vogliamo. Come insegnanti, credo, il nostro desiderio più grande è percorrere l’aula senza problemi di distanziamento, farci vedere sorridenti e sognanti nel leggere i nostri autori preferiti, sporcarci di gesso, osservare i volti curiosi o assonnati dei nostri studenti, richiarmarli all’ordine e a tornare in classe all’intervallo, farli lavorare in gruppi toccandosi, spronandosi a vicenda.
Ha trattato di queste tematiche, con taglio psicanalitico, il prof. Massimo Recalcati forse nel suo libro per me più bello, L’ora di lezione. Nel capitolo quarto cita Diario di scuola di Daniel Pennac sottolineando come la presenza dell’insegnante, è «immediatamente percepibile. Gli studenti la sentono sin dal primo minuto dell’anno, lo abbiamo sperimentato tutti: il professore è entrato, è assolutamente qui, si è visto dal suo modo di guardare, di salutare gli studenti, di sedersi, di prendere possesso della cattedra. […] La classe esiste subito davanti ai suoi occhi» (M. Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014, p. 101).

Cosa deve insegnare, quindi, il maestro in DaD, con le scuole chiuse e con il depotenziamento della sua funzione, privata del corpo, tra le distrazioni del web e le preoccupazioni della vita quotidiana che, ahimè, da ambo le parti compromettono il processo di insegnamento e apprendimento?
Credo debba insegnare ai suoi allievi la flessibilità e il sacrificio. Le condizioni esterne sono queste: un’epidemia che sta sconvolgendo le nostre vite, prostrando l’economia, mettendo a dura prova gli ospedali di tutta Italia. Non serve a nulla protestare per una kafkiana presenza, per una scuola chiamata ad assolvere la funzione di parcheggio. Se davvero vogliamo ritornare a Scuola, con la s maiuscola, forse, questi mesi a distanza sono davvero necessari per riappropriarci di quanto abbiamo perso, più maturi e responsabili di prima.
Che belle queste riflessioni, le scopro solo ora, a due anni di distanza. Mantenere la relazione con gli studenti nel 2020-2021 è stato lo sforzo maggiore. Ricostruirla è stato l’impegno del 2022. Ora siamo in una nuova normalità in cui provo a riproporre il mio modello di relazione, che vorrebbe essere quello che Steiner propone come terzo: io sento sempre di imparare qualcosa in classe. E spero di lasciare qualcosa, anche di piccolo, che possa poi germogliare in loro.
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