Compressa nelle ultime settimane (quando non giorni) di scuola, la figura intellettuale di Eugenio Montale risulta giocoforza sminuita nell’itinerario di classe quinta, sorta di ultimo tassello prima di concludere un percorso letterario che, fino a quando non verrà rimodulato sui cinque anni, porterà sempre a sacrificare “il classico del Novecento”. Peccato, perché nella manualistica scolastica la trattazione di questo autore si estende in una profondità paragonabile solo a quella di Leopardi, ma sono i tempi e i modi della scuola italiana a renderne l’analisi spesso “di maniera” e sclerotizzata.
Intendo “sclerotizzata” perché, purtroppo, tanto la manualistica quanto le scelte dei docenti sembrano cristallizzare la figura di Montale, fissandola al trittico degli “ossi brevi” Spesso il male di vivere ho incontrato, Meriggiare pallido e assorto, Non chiederci la parola, con incursioni nella poesia delle Occasioni, con l’imprescindibile La casa dei doganieri e qualche mottetto. La bufera e altro trova il suo spazio nei manuali scolastici con la complessa (e quasi inarrivabile per uno studente liceale) La primavera hitleriana, mentre la semplice e colloquiale poesia del quarto Montale è affidata al componimento dedicato alla defunta Drusilla Tanzi, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. Da queste letture emerge un’immagine di Montale sicuramente decorosa ma, ahimé, incompleta e parziale, che non rende merito a un’ opera che ha attraversato tutto il Novecento, non identificandosi, però, con alcuna corrente. Una vera e propria “opera mondo” quella di Montale, avvicinabile alla Commedia dantesca.
La mia “devozione” a Montale, che mi spinge a scrivere questo divertissement privo di particolari pretese didattiche, risale all’anno accademico 2003-2004, quando, studente della triennale in Lettere, decisi di iscrivermi a un corso dal titolo “Montale lettore di Dante”, del prof. Luca Carlo Rossi, a cui contribuì, allora in veste di borsista, uno dei più grandi studiosi attuali di Montale, il prof. Niccolò Scaffai. Devo ammettere di non essere mai stato un appassionato della letteratura contemporanea, ma il taglio del corso, con riferimenti alle fonti dantesche per gli Ossi di seppia e le Occasioni, a cui si aggiungeva un focus sulle influenze del melodramma per la produzione montaliana, mi hanno avviato a una fruizione del testo letterario nuova, basata sull’intertestualità, sull’interdiscorsività e gli echi tra gli autori. In quel corso ho finalmente capito il vero senso delle parole di Borges secondo cui «ogni scrittore crea i propri precursori. La sua opera cambia la nostra concezione del passato nello stesso modo in cui cambia il futuro». In effetti la mia lettura della Commedia ora risente degli stimoli offerti dalla rilettura fatta da Montale (e il discorso potrebbe allargarsi a T. S. Eliot e all’Odissea di Omero dopo aver letto Joyce). Leggendo Montale, vedo Dante e viceversa, in un cortocircuito d’amorosi sensi.
Solo un esempio dalle Occasioni: la poesia Il ramarro, se scocca, mottetto composto da immagini (il ramarro, la vela, il cannone di mezzodì) in enumerazione accomunate dal loro manifestarsi istantaneo, riprende il canto XXV dell’Inferno (e come non ricordare che nel Quaderno genovese il giovane Montale paragonava i paesaggi aspri e scoscesi delle Cinque Terre alle Malebolge?). Lì, nella bolgia dei ladri, l’immagine del ramarro che passa da una siepe all’altra in piena estate è usata per descrivere la rapidità fulminea delle trasformazioni dei ladri, privati all’Inferno delle loro fattezze umane, mentre nella poesia montaliana, oltre al calco lessicale («Il ramarro, se scocca / sotto la gran fersa / dalle stoppie» delle Occasioni vs «Come ‘l ramarro sotto la gran fersa / del dì canicular, cangiando sepe, / folgore par se la via attraversa» di Inferno XXV 79-81) si mantiene l’atmosfera meridiana, evocata da Dante nella similitudine zoologica e tipica, d’altra parte, del poeta ligure. In realtà nel mottetto queste tre immagini concrete, tra cui quella del ramarro, di derivazione dantesca, non possono essere paragonate a quelle della donna, sorta di creatura angelica, Beatrice del XX secolo, di cui l’io lirico sottolinea «l’altro stampo» nel verso che conclude la breve lirica.

Ma cosa ha di così affascinante per me la poesia di Montale e perché va approfondita in classe oltre quei 6-7 striminziti testi che ogni anno, quasi come una liturgia, vengono affrontati dal docente di lettere di turno? A mio parere la difficoltà, elemento da riscoprire come un valore in una società in cui tutto deve essere spiegato, lineare, piano, privo di ostacoli. A tal proposito, Franco Fortini, nel saggio Oscurità e difficoltà, uscito nel 1991 sulla rivista «L’asino d’oro», distingueva tra “poesia difficile” e “poesia oscura”; per Fortini la poesia oscura è quella scritta per non essere capita fino in fondo, nella quale rimane sempre un margine di indecifrabilità; quella difficile è tale perché il poeta non rivela alcuni elementi (della sua vita privata, per esempio), ma vi allude indirettamente. La poesia difficile, a differenza di quella oscura, può però essere sempre spiegata: è come una porta che è possibile aprire una volta trovata la chiave giusta. La poesia di Montale è di questo secondo tipo: il mottetto Ti libero la fronte dai ghiaccioli è sicuramente difficile, ma se comprendiamo come dietro le «alte nebulose» e i «ghiaccioli» c’è la traversata oceanica Firenze-New York compiuta da Irma/Clizia dal 1933 al 1938 e capiamo che il «sole freddoloso» allude al cognome ossimorico della donna amata, Brandeis, ossia “fuoco” e “ghiaccio” , allora la poesia acquista un senso e un interesse nuovi: una conquista e il posto in una sorta di “comunità di “iniziati”.
Ma come appassionare alla figura di Montale? Credo che da insegnanti e, va da sé, da una delle poche figure di cultura della società contemporanea, ci si possa appassionare agli autori soltanto in un modo: leggendoli oltre il manuale e nella completezza delle loro raccolte. Qui, mi permetto di consigliare tre edizioni imprescindibili per chi si vuole approcciare al testo montaliano con metodo scientifico dotandosi di edizioni ricche e aggiornate agli ultimi studi: per gli Ossi di seppia l’Oscar Mondadori con il commento di Pietro Cataldi e Floriana d’Amely, mentre più recenti sono Le Occasioni di Teresa de Rogatis, sempre per Mondadori, edite nel 2018 e La bufera e altro con il commento di Ida Campeggiani e del già citato Niccolò Scaffai; questo ultimo volume è d’obbligo per chi voglia approcciarsi con rigore scientifico alla poesia del “terzo Montale”.
Fondamentali sono anche i saggi critici che queste edizioni mettono a introduzione della raccolta: l’edizione degli Ossi contiene un imprescindibile saggio sulla lingua di Montale a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, le Occasioni il celeberrimo Gli oggetti di Montale di Luigi Blasucci, mentre La bufera e altro nell’edizione commentata dai due normalisti si apre con Il posto di Montale nella poesia moderna, di Guido Mazzoni, che esordisce subito con una dichiarazione d’intenti: «Montale occupa, nella poesia italiana del Novecento, lo stesso posto che Leopardi occupa nella poesia dell’Ottocento: è l’autore più importante del secolo, colui che ha cambiato, una volta per sempre, il modo di intendere la lirica moderna nella nostra letteratura».
Su Leopardi e Montale come non ricordare il saggio di Calvino, dal titolo Lo scoglio di Montale? Le parole che dedica al poeta ligure dopo la sua morte rappresentano uno dei vertici della saggistica del Novecento, di cui riporto un passaggio chiave per comprendere l’intera produzione del Premio Nobel: «Non c’è messaggio di consolazione o d’incoraggiamento in Montale, se non si accetta la consapevolezza dell’universo inospite e avaro: è su questa via ardua che il suo discorso continua quello di Leopardi, anche se le due voci suonano quanto mai diverse. Così come, confrontato con quello di Leopardi, l’ateismo di Montale è più problematico, percorso da tentazioni continue d’un soprannaturale subito corroso dallo scetticismo di fondo. Se Leopardi dissolve le consolazioni della filosofia dei Lumi, le proposte che vengono offerte a Montale sono quelle degli irrazionalismi contemporanei, che egli via via valuta e lascia cadere con una scrollata di spalle, riducendo sempre la superficie della roccia su cui poggiano i suoi piedi, lo scoglio cui s’attacca la sua ostinazione di naufrago» (I. Calvino, Lo scoglio di Montale, in Id., Saggi, Mondadori 1991).
Le poesie di Montale presuppongono meditazione, lettura silenziosa, richiedono di dipanare il gomitolo degli echi, dei riferimenti biografici allusi e per questo, forse, sono tanto difficili da proporre in classe, o meglio, richiedono molto tempo per essere affrontate in classe, variabile, quella del tempo non inclusa nella scuola delle competenze, dell’Invalsi e della performance da valutare con quanta più oggettività. Ma certi versi non possono essere che memorabili e densi di significato, vere e proprie fulminazioni.
Pensiamo a un componimento poco noto, come L’estate, incluso nella sezione finale de Le occasioni: nei versi finali l’immagine del «tropp’altro che non passerà la cruna», di matrice biblica viene riusata in una dimensione laica per indicare il passaggio dall’inautentico, dal superficiale all’autentico e vero; ma la poesia si chiude con una sentenza epigrammatica e gnomica «Occorrono troppe vite per farne una» che, per il lettore esperto di Montale rimanda all’Intervista immaginaria e a tante riflessioni del Quaderno genovese. Ecco, per comprendere le poesie di Montale bisogna leggerne tante, è necessario essere abituati agli echi, alle presenze ricorrenti, agli “oggetti”, come li ha chiamati Blasucci nel saggio sopra citato.
Ma Montale è anche il poeta della Storia, in una civiltà, quella contemporanea, ormai a “digiuno” di profondità storica; leggiamo questi versi memorabili tratti da Piccolo testamento ne La bufera e altro in cui la filigrana dantesca si mescola agli orrori dei campi di sterminio e dei nazifascismi: «Conservane la cipria nello specchietto / quando spenta ogni lampada / la sardana si farà infernale / e un ombroso Lucifero scenderà su una prora / del Tamigi, dell’Hudson, della Senna / scuotendo l’ali di bitume semi-mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora». Come non vedere in questi versi l’immagine di Lucifero trifons, con le sue terribili ali e le tre bocche che appare a Dante e Virgilio nel canto 34 dell’Inferno? La poesia di Montale ci pone di fronte a scenari apocalittici, talvolta cupi, è vero, ma, in lontananza, non viene mai a mancare una figura salvifica, un’occasione, un’illuminazione, un’epifania; qui il testamento è il patto di fede tra l’autore e la donna, allusa, d’altra parte dalle ali, qui semi-mozze, che rievocano quelle lacerate del già citato mottetto Ti libero la fronte dai ghiaccioli.
Ed è forse per questo che Montale mi affascina così tanto e le sue liriche non smettono di perdere attualità e fascino: leggere le sue poesie è entrare in un mondo in cui la letteratura e la cultura sono ancora, riprendendo la metafora di Calvino, uno scoglio a cui aggrapparsi; ogni sua poesia è un microcosmo di significato, da cui si dipartono stimoli, echi, riflessioni e, a ragione, si può ben dire che benché nelle sue liriche non troviamo risposte ai problemi del presente ci si pongono davantti, dopo quasi 100 anni, gli stessi interrogativi, perché, come sosteneva nell’incipit di un’intervista del 1951 «l’argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata».
Fai bene, Matteo, a scrivere questo tipo di articoli, mi piace leggere dei tuoi trascorsi universitari e di come ti approcci ai testi letterari, spero ti diverta anche tu nel rivivere le tue passioni. Quelle che dici di Montale purtroppo è vero, in quinta si propongono una manciata di testi, sempre gli stessi, mentre il premio Nobel genovese è un mondo intero e meriterebbe il dovuto spazio. Non concordo, invece, sulla necessità di rifarsi per forza al biografismo/contestualismo per capire appieno lo spessore dei suoi testi, ma può sicuramente aiutare a livello didattico. Le edizioni commentate che consigli sono tra le migliori in commercio, ottimo anche il rimando a Fortini e Calvino. Aggiungerei “La luce di Montale. Per una rilettura della poesia montaliana” di Rina Virgillito come saggio meritevole di lettura.
Sul rapporto con Dante non mi esprimo, non ho mai approfondito questa convergenza così stimolante. È curioso notare, comunque, che la poesia italiana nasce e “finisce” sotto l’egida di uno stile per pochi addetti ai lavori, siamo un popolo ermetico in fondo?
ps per chi vuole avere un’edizione spartana ma completa delle poesie di Montale c’è la versione Mondadori curata da Giorgio Zampa, acquistabile a prezzo contenuto.
"Mi piace"Piace a 1 persona