Nella massa imponente di pubblicazioni nell’anno del centenario dantesco, tra i volumi a mio avviso degni di esseri ricordati (e acquistati) c’è sicuramente la nuova biografia dantesca di Paolo Pellegrini, professore ordinario di Linguistica e Filologia italiana all’Università di Verona. Il suo saggio, dal titolo Dante Alighieri. Una vita, edito per Einaudi, recupera le importanti acquisizioni dei biografi di fine Ottocento (Bassermann, Wisser, Toynbee) e del Novecento (Petrocchi, Padoan, Carpi), con uno scrupolo filologico, dati di prima mano e ricerche d’archivio che ne fanno un libro che non può mancare nello scaffale del docente di letteratura del triennio, ma anche di appassionati dantisti o amanti della letteratura in generale.
Ricordo con piacere il primo incontro con il prof. Pellegrini, avvenuto nella lezione del corso online Insegnare Dante nella scuola secondaria di II grado nell’anno del VII centenario della morte proposto dall’Accademia dei Lincei (progetto “I Lincei per la scuola”) e organizzato dalla sede di Brescia nel marzo scorso, perché in quell’occasione ho potuto apprezzare la sua capacità di coinvolgere il piccolo gruppo composto da 16 corsisti e l’affabile eloquio (una dimostrazione è in questo video), caratteristiche, ahimé, non sempre presenti nei docenti universitari. Non ci poteva essere quindi relatore migliore per aprire, il 4 marzo, il ciclo di incontri sulla didattica dantesca, che aveva l’obiettivo di creare un ponte tra scuola e università, mondi spesso non comunicanti; la sua lezione, dal titolo Una vita di Dante tra filologia e storia. Appunti di metodo, ha introdotto delle interessanti questioni metodologiche, di approccio all’opera di Dante, in particolare alla Commedia, che si ritrovano, trasmesse in una lingua piana e scorrevole, priva di specialismi, anche nella biografia dantesca inserita nella collana “Piccola Biblioteca Einaudi”.
La ricezione del saggio è, a mio avviso, diversa a seconda che il lettore sia un docente (o uno specialista) oppure un semplice appassionato: nel primo caso si rimane quasi “straniati” dalle nuove proposte che il filologo presenta nella Premessa e nell’intero volume: il precoce contatto tra Dante e gli Scaligeri, il secondo soggiorno veronese databile tra il tardo 1304 e il 1306 e la stesura a Verona anche del De vulgari eloquentia, tutte acquisizioni che vanno a “scardinare” la vulgata rappresentata dalla cronologia dantesca presente nelle antologie scolastiche o dall’immagine dell’autore che ci è stata fornita in università; nel secondo caso, da semplice appassionati di Dante o di letteratura, si rimane quasi “incantati” dalla scioltezza di Pellegrini, che argomenta con una prosa piana e piacevole le sue nuove datazioni, le innovative identificazioni di personaggi e luoghi, confutando con rigore filologico le incongruenze dei biografi precedenti o recuperando interpretazioni per decenni dimenticate o tacciate di scarsa scientificità.
Come sottolinea l’autore nella Premessa, è sbagliato ricercare nei soli versi del poema i dati sulla vita e sull’esilio di Dante, così come il vedere la Commedia come una sorta di instant book (allusione evidente al volume di Santagata dal titolo Dante, il romanzo della sua vita, erede di una lunga tradizione che inizia con Alfred Bassermann e il suo Dante Spuren in Italien) appiattisce «quella visione prospettica che le fonti stesse permettono di acquisire» (p. XVII). E a quali fonti attinge Pellegrini? Alle più svariate: dagli archivi agli stemmi, passando per la numismatica e l’epigrafia, rivalutando anche le fonti umanistiche, spesso sottovalutate dai biografi precedenti, nello specifico la Vita di Dante di Leonardo Bruni o le informazioni fornite da Flavio Biondo nelle sue Historiarum decades. Come ha sottolineato anche nell’incontro per i Lincei, Bruni e Biondo rappresentano invece delle fonti molto affidabili, in primo luogo per il rigore filologico degli umanisti, ma secondariamente anche per la prossimità temporale con gli eventi che andavano ad analizzare e con i documenti a cui potevano avere accesso, che sono andati purtroppo perduti nel tempo. Nel saggio sono poi frequenti anche le citazioni dell’Ottimo commento, a suffragare un modo di lavorare che dà grande attendibilità alle fonti trecentesche, vicine al poeta.
Il saggio si snoda in otto capitoli, preceduti da una Premessa: il primo, Firenze tra XII e XIII secolo, teso a inquadrare la situazione storica e sociale in cui si inserisce l’avventura biografica dantesca e molto utile anche per il docente di scuola secondaria, mentre dal secondo, Dante a Firenze (1265-1302) ci si focalizza sugli antenati di Dante, sui primi studi e le esperienze poetiche solitamente catalogate come stilnovistiche. Seguono i capitoli L’impegno politico e Il primo esilio in cui ci si sofferma sugli anni tra il 1302 e il 1306 e quello dal titolo In Toscana, dove si riflette sul soggiorno in Lunigiana, introducendo l’ipotesi del viaggio a Parigi e l’inizio della stesura della Commedia. Nel sesto capitolo al centro è la vicenda di Enrico VII, mentre nel VII e VIII il focus è sul Ritorno a Verona e la morte a Ravenna, l’ultimo rifugio. La scansione in capitoli e capitoletti aiuta il lettore a muoversi nella mole di dati fornita da Pellegrini; ho inoltre apprezzato molto l’inserimento, infra textum, di paragrafi esplicativi in corpo minore (come, per esempio, uno che introduce brevemente la biografia di Brunetto Latini), destinati ai non specialisti, ma che insegnanti e dantisti possono saltare per le informazioni già padroneggiate che contengono.
Meno ovvi sono alcuni snodi del volume, su cui soffermarsi anche per un uso didattico degli stessi, volto a mostrare agli studenti, pur nella complessità della questione, come lavora un filologo: riuscire a seguire l’analisi del passo controverso di Paradiso XVII sulla «tempia rossa» è paragonabile, a mio avviso, a osservare la dimostrazione di un esperimento in laboratorio per le competenze di problem solving e argomentative messe in campo dallo studioso.

Com’è noto, nel canto XVII del Paradiso Dante incontra l’antenato Cacciaguida, che gli profetizza l’esilio, l’abbandono della compagnia «malvagia e scempia» e il primo rifugio presso il «gran Lombardo», che «’n su la scala porta il santo uccello». I commenti scolastici, in riferimento a questo passo, identificano solitamente la battaglia sanguinosa con quella della Lastra, mentre oscillano tra Alboino e Bartolomeo della Scala sul personaggio alluso dall’espressione «gran Lombardo». Si ricordi inoltre che tale canto del Paradiso viene scritto, presumibilmente, tra il 1318 e il 1320 e quindi Dante sta rievocando un evento piuttosto lontano nel tempo.
Pellegrini ci snocciola un po’ di cronologia dantesca post esilio, per riuscire a comprendere appieno questo passo e identificare i protagonisti identificati da perifrasi o espressioni enigmatiche. Tra il gennaio e il marzo del 1302 si verificano varie condanne di Dante, mentre nel giugno dello stesso anno viene steso il trattato di S. Godenzo del Mugello tra i fuoriusciti (guelfi bianchi e ghibellini) e i Neri, a cui il Nostro era presente. Tra il 1302 e il 1303 si attestano le prime campagne militari dei Bianchi e dei Ghibellini a Forlì, mentre nella primavera del 1304 c’è il tentativo di pacificazione tra fuoriusciti e Neri da parte del cardinale Niccolò da Prato con Dante che scrive l’Epistola I a nome dei fuoriusciti. Il 20 luglio del 1304, con la battaglia della Lastra, avviene la sconfitta dei fuoriusciti dopo la quale, secondo la vulgata che si basa sui versi di Paradiso XVII, Dante deciderà di far parte per se stesso, ovvero proseguire l’esilio senza la compagnia iniziale.

Ritornando al passo di Paradiso XVII, i commentatori (e i manuali scolastici) interpretano la sconfitta militare in riferimento alla battaglia della Lastra e tendono a collocare il contrasto e la separazione del poeta in una fase immediatamente precedente. Secondo alcuni commentatori l’ospite di Dante non fu Bartolomeo della Scala, ma il fratello Alboino della Scala, nonostante il fatto che nel Convivio Dante ne tracci un ritratto poco lusinghiero («Bene sono alquanti folli che credono che per questo vocabulo ‛ nobile ‘ s’intenda ‛ essere da molti nominato e conosciuto ‘ […] E questo è falsissimo; ché, se ciò fosse […] Asdente, lo calzolaio da Parma, sarebbe più nobile che alcuno suo cittadino; e Albuino de la Scala sarebbe più nobile che Guido da Castello di Reggio: che ciascuna di queste cose è falsissima», Convivio IV, XVI).
Il «gran Lombardo / che ’n su la scala porta il santo uccello» è quindi Alboino, come farebbe pensare la collocazione cronologica della disfatta dei fuoriusciti? E la battaglia che farà diventare alla compagnia «tutta ingrata, tutta matta ed empia» la tempia rossa è quella della Lastra, come la manualistica scolastica ipotizza da decenni o va identificata con altri scontri? La proposta di Pellegrini è diversa, ma straordinariamente convincente: basandosi sulla fonte umanistica del Biondo,e sui dati della battaglia di Castel Pulicciano, ipotizza proprio in quella rovinosa disfatta del 12 marzo 1303, in cui combatterono i fuoriusciti (con 800 cavalieri e 6000 fanti) contro Fiorentini (1300 cavalieri e 15000 fanti) il momento della scissione tra Dante e i compagni guelfi bianchi.
Ma è il riferimento alla tomba dei Dalla Scala a dare una linfa decisiva alla tesi di Pellegrini: Cacciaguida, nel cielo di Marte, fa riferimento al sant’uccello presente sullo stemma e a Verona sono presenti, com’è noto, le arche degli Scaligeri, in particolare una che reca un’aquila, attribuita proprio a Bartolomeo. Nessuna delle fonti veronesi attribuisce ad altri questa tomba, tanto che Cangrande della Scala, il personaggio in cui Dante riporrà tante speranze di rigenerazione futura per l’Italia, e Alboino della Scala, nelle loro tombe, presentano non un’aquila, bensì delle armi. Quindi l’araldica si dimostra uno strumento per certificare che il primo ospite di Dante fu proprio Bartolomeo, che si sposò con la ghibellinissima Costanza d’Antiochia, pronipote di Federico II di Svevia, che portava, sui suoi stemmi, l’aquila imperiale. La tomba di Bartolomeo, come si può notare dall’immagine sottostante, reca proprio lo stemma scaligero con la scala a quattro pioli sormontata da un’aquila, come si descrive nel verso di Paradiso XVII, «che ’n su la scala porta il santo uccello».

Molto interessanti poi, nel capitolo quinto, le pagine (129-134) relative al presunto soggiorno di Dante a Parigi, menzionato dal Boccaccio nel suo Trattatello, del 1355 e avvalorato dalle descrizione delle modalità di svolgimento della disputatio nel canto XXIV del Paradiso (vv. 46-48) e dal riferimento puntuale alla Rue du Fouarre, tradotta in volgare con «vico degli Strami» nel canto di Sigieri di Bramante (Paradiso X); i due riferimenti testuali hanno fatto pensare a un’esperienza diretta della disputatio da parte del poeta in terra francese. Pellegrini, pur non negando la possibilità che Dante abbia fatto un viaggio a Parigi dimostra, attraverso la Cronica del Villani, come notizie sull’Università parigina arrivassero con precisione a Firenze e fossero quindi accessibili anche al poeta; inoltre tra Firenze, Bologna e Parigi si muovevano giovani studenti che si recavano in Francia a studiare teologia e filosofia, per poi fare rientro in Italia. Pellegrini si rifà come auctoritas al commento di Pietro Alighieri, che non menziona mai un viaggio del padre e sottolinea l’amplificazione in Boccaccio della formazione filosofica di Dante come una sorta di legittimazione presso il pubblico dei dotti, da conquistare dopo aver fatto uso del volgare per trattare un viaggio ultraterreno, terminato con la visione di Dio.
Insomma, un piccolo libro che contiene molti tesori e che mi sento di consigliare per chiunque voglia approcciarsi in modo critico e preciso alla biografia del nostro più grande autore. La lingua è, come detto in precedenza, adatta a un volume Einaudi destinato a un pubblico non di specialisti e non indulge in espressioni dotte o in una sintassi “continiana”; la presenza inoltre di cartine come “L’Italia ai tempi di Dante”, “La Toscana ai tempi di Dante” e figure come la già citata arca di Bartolomeo della Scala aiutano i lettori comuni a muoversi nella biografia dantesca e nella enigmatica geografia dei suoi spostamenti durante l’esilio.
Da insegnante, ho divorato il libro in un giorno e mezzo, complice anche la pausa estiva e il tempo a disposizione per immergermi nella biografia dantesca e nella prosa piacevole di Pellegrini; ovviamente i tempi e i metodi della scuola non consentono una riproposta in classe dell’intero volumetto, ma credo che alcuni passi, ovviamente semplificati e resi didattici, possano diventare accessibili anche per un adolescente ed estremamente stimolanti. Ma credo che la vera ragione della necessità di leggere il saggio di Pellegrini risieda nel fondamentale aggiornamento disciplinare, che raramente ci viene richiesto; bombardati da corsi di formazione su TIC, BES e COMPETENZE dimentichiamo spesso che il nostro compito prioritario è stimolare l’amore per il sapere, accendere il desiderio di imparare cose nuove e “vestire di panni nuovi” i grandi classici della nostra letteratura: ma se non siamo a nostra volta curiosi di scoprire aspetti nuovi dei nostri autori, come possiamo pretendere che lo siano i nostri studenti? Il libro di Pellegrini ci dimostra che, fortunatamente, non esiste una “parola definitiva” sui grandi della letteratura, nemmeno sulla vita di Dante che tanto ci affascina, e che la filologia è uno strumento fondamentale per aprire nuove visioni e scardinarne di vecchie.
Wow! Grazie della segnalazione! Che classi avrai quest’ anno? Complimenti per i tuoi articoli, sempre stimolanti. Ciao! Angela
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Figurati. Hai letto quello sulla schematizzazione della frase con metodo valenziale?
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Certo! Concordo con te: il metodo Sabatini è troppo complesso. Non riesco a trovare il libro di Proverbio “Fare latino” perché è fuori commercio. Hai per caso letto l’articolo di Andrea Balbo che gira su Accademia.edu sulla didattica delle lingue classiche? Ci sono spunti anche lì…
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Sì, Balbo è un mio punto di riferimento. Il suo “Insegnare latino” è tra i miei libri che sfoglio più di frequente per nuove attività.
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Testo pregevole, non conoscevo il professor Paolo Pellegrini ma scrive in modo ineccepibile. Sicuramente è una biografia più vicina allo specialismo che agli appassionati di Dante, il rischio è di perdersi nei mille nomi che vengono citati, ma le cartine geografiche e gl’indici dei nomi in calce aiutano a orientarsi. Non c’è paragone con il testo di Santagata, sono su due filoni diversi.
Mi ha colpito (e penso di proporla ai ragazzi) la descrizione del contrato tra magnati e corporazioni inteso come lotta tra un culto della vendetta privata (e bestiale) e la ricerca di una legalità più equa (e “sublimata”).
Molto avvincente anche il capitolo sesto dedicato a Enrico VII, figura storica spesso dai contorni vaghi e in questo caso, invece, delineato in modo efficace.
Il bello di Dante è che riesce ancora a chiamare in causa tanto la perizia filologia di studiosi a noi contemporanei, quanto i più svariati autori e target per pubblicazioni legate al 700° anno dalla morte, non ultima “La Divina Commedia riveduta e scorretta”, opera nata dalla mente di chi ha inventato il progetto “Se i social network fossero sempre esistiti”…
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