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Beatrice, Laura, Eleonora d’Este, Silvia/Teresa Fattorini e altre ancora: la letteratura italiana è ricca di “muse” ispiratrici, cantate da poeti che le hanno rese immortali nei loro versi. Muse, per usare un gioco di parole, però mute, contemplate nella loro bellezza statica; una di queste ha voluto però far sentire la sua voce dopo la morte del poeta che l’ha resa celebre: si tratta dell’ottantenne Irma Brandeis, che ha preso una posizione forte sul suo senhal di Clizia e ha ripercorso la sua storia d’amore con Montale, puntualizzando alcuni snodi ormai consegnati più al mito che rispettosi della realtà storica. Irma, com’è noto, era una dantista americana, autrice dell’opera The Ladder of vision, figlia di ebrei progressisti di origine austriaca e le lettere che scambia con Gianfranco Contini, raccolte nel volumetto Questa stupida faccia. Un carteggio nel segno di Eugenio Montale, mi hanno suggerito una stimolante attività didattica, da svolgersi con il collega di Inglese nelle settimane finali della classe quinta.

Montale, si sa, viene relegato nella sezione conclusiva del percorso di apprendimento di quinta e, ahimé, non si riesce a restituire la complessità del suo itinerario poetico e intellettuale: partire dalla lirica manifesto I limoni e indagare poi tutta sua produzione fino ad arrivare a Satura implicherebbe infatti dalle 10 alle 12 ore, difficilmente a disposizione del docente di lettere nel rush finale di maggio-inizio giugno. Così, una scelta potrebbe essere quella di proporre, dopo gli Ossi, un itinerario montaliano focalizzato su Irma Brandeis, selezionando componimenti in cui la sua figura è in primo piano. Si tratta di testi solitamente antologizzati e che permettono anche un collegamento con altre discipline, requisito molto importante per come si è (mal) configurato il colloquio orale dell’Esame di Stato; le poesie delle Occasioni (p.e. Ti libero la fronte dai ghiaccioli oppure Non recidere, forbice, quel volto) consentono, in ragione del concetto di correlativo oggettivo, un aggancio a T. S. Eliot e alla letteratura inglese; la famosissima Primavera hitleriana al rapporto tra Hitler e Mussolini, indagato in storia; il riferimento a Clizia ad altre figure di donne nella letteratura e cultura europea del Novecento (penso a Marlene Dietrich in Tedesco, alle donne della scienza come Marie Curie o Mileva Marić, per finire con Clara Campoamor per la cultura spagnola).

Prima di iniziare dalla proposta didattica, partiamo da qualche riferimento bibliografico e poi biografico, utile per chi non è addentro in questioni montaliane e voglia approfondire in autonomia questi elementi per un riutilizzo in classe. A Firenze, negli anni più bui del Fascismo, si svolge quello che Montale chiamerà, riferendosi ai Mottetti, il suo «romanzetto autobiografico» con Clizia. Un utile sussidio bibliografico sono le edizioni commentate delle Occasioni di Teresa De Rogatis e de La bufera e altro a cura di Niccolò Scaffai e Ida Campeggiani. Per approfondire le vicende di quegli anni da un punto di vista biografico, sono state pubblicate, nel 2006, le Lettere a Clizia, a cura di Rosanna Bettarini, Gloria Manghetti e Franco Zabagli; il volume, edito da Mondadori, contiene le missive che Montale e Clizia si scambiarono tra il 1933 e il 1938, secretate per vent’anni su esplicita richiesta della Brandeis all’atto di donazione…

Ho sempre amato gli epistolari (primo fra tutti quello di Leopardi) perché rappresentano una “finestra aperta sugli scrittori” e ci forniscono le ragioni dell’atmosfera psicologica e umana di una poesia. L’ispiratrice delle Occasioni (di cui è la dedicataria con le iniziali a I. B.) e della Bufera e altro (dove a lei si affianca, nella parte conclusiva, Volpe, senhal di Maria Luisa Spaziani) è alla base una donna vera, ma che, attraverso una trasfigurazione ideale, diventa una Beatrice del XX secolo. Il personaggio assurge a mito, ma l’interesse di questo modulo è creare un cortocircuito tra vita-letteratura-vita, con Clizia/Irma soggetto attivo e non musa passiva.
Il primo incontro tra i due letterati avvenne il 15 luglio del 1933; Irma veniva da un altro mondo, era una giovane intellettuale americana di 28 anni molto colta, poliglotta, interessata all’arte e alla musica, figlia di Lewis Brandeis, intellettuale progressista a cui è dedicata la Brandeis University di Waltham (in Massachusetts); Irma aveva letto letto gli Ossi di seppia e venne in Italia per conoscerne l’autore, che lavorava in quegli anni al Gabinetto Viesseux a Firenze. Il primo giorno Montale si nega, ma il secondo chiede il motivo del suo soggiorno a Firenze. Dalle Lettere a Clizia notiamo che Montale scrive in un inglese molto divertente, non sempre correttissimo e l’impressione che ne ha Irma è deludente; questa infatti commenta: «Vestito con buon gusto…davvero semplice, alquanto brutto e spesso, persino, piatto. […] Il grande poeta non sa parlare. Mi dice, umilmente, delle cose stupide. E mi piace adesso, non perché somiglia tanto alla sua opera, ma perché non ci somiglia affatto!».
Ma già il 5 settembre Montale le scrive: «Ieri sera siamo stati per la prima volta insieme al Piazzale (Michelangelo, n.d.r). Non dimenticherò mai quel ritorno tra scale acque e terrazze. Mi sentivo ubriaco, non di quel fiasco a triplo fondo, cara Irma, ma di te e della tua presenza. E dopo…quando si è stati così felici almeno per un’ora e può fare ancora qualcosa per essere riconoscenti alla sorte e per cercare di vincere le difficoltà».
Tuttavia tra Irma, che nella stagione autunnale lavora in un college a New York, e Montale c’è sempre la presenza di una terza figura; nell’estate del 1934 il poeta ligure confessa che ha una relazione con Drusilla Tanzi e comincia un braccio di ferro tra Mosca (senhal della Tanzi) e Clizia. Montale è devoto a Drusilla, ma dall’altra vuole rompere questa prigione e avventurarsi in una vita nuova. Scrive infatti a Irma: «Solo vorrei sapere: quanto tempo mi dai per rompere questa prigione, quanto tempo puoi aspettare; e se veramente io posso agire, magari con ferocia, sicuro di ritrovare, su altro piano, molto di quello che perdo: – cioè la devozione, l’assistenza, la fedeltà che forse non merito, ma di cui ho bisogno…” (26 settembre 34). […]dopo sei mesi d’inferno che vanno sempre più aumentando, perché io vivo lottando tra il desiderio di finir tutto con una palla nella testa e l’orrore di evitare che sia X a far questo, perché suo fratello l’ha fatto e io la credo più che capace di farlo, e negli ultimi 6 mesi (cioè da quando ho capito che tu eri e sei l’unica carta della mia vita – perché senza di te potrò forse vivere ma di una vita così spenta, soffocata, umiliata, stritolata che è una pietà pensarci e potrei accettarla solo come una condanna di Dio), negli ultimi sei mesi le cose sono giunte a un tale diapason da togliermi quasi la ragione – altro che il fiato».

Mosca è disperata, minaccia il suicidio. Annota infatti Clizia, in una lettera interessante che si può far leggere durante l’ora di compresenza con il docente di inglese: «From the moment she [Drusilla Tanzi, n.d.r.] learned of mine [existence], and that we wanted to marry, she was implacable. She promised to kill herself. Her love for him saw no reason not to torture him – and so she did. She wrote to me a vile letter which I hope to attach to these others. She forced him to write me a parting letter – and he did so, warning me of it beforehand and asking me to disregard it, to understand it as necessary to prevent her death. She exacted a promise that he would not see me again, and in 1938 he would have kept that promise had a mutual friend not interceded. When I came home at the end of the summer, I knew we would not see one another again as well as I knew that there would be war».
Dal 1936 al 1938 la corrispondenza viene interrotta, ma nel luglio del 1938 Clizia torna di sua iniziativa e la passione, quel varco (parola chiave della poetica delle Occasioni e presente nella celebre Casa dei doganieri), che si era aperto nella vita di Arsenio, come si faceva chiamare Montale nelle lettere, si riapre e il 31 luglio del 1938 adora la donna, che è un respiro di Dio («the breath of God»).
Alla fine però Arsenio resta a terra, non attraversa l’Oceano come una procellaria, uccello a cui paragona Clizia. Il 23 Giugno del 1939 scrive: «[…] ho impedito due suicidi: un hanging e un bond dal 7° piano. […] questo mi ha provocato un tale desarroi fisico e morale che ora anche con forti sonniferi non dormo più di un’ora per notte. Potevo, anzi dovevo prevederlo?». L’ultima lettera data 11 dicembre 1939: «Io ti voglio più bene dei miei occhi e non so perché insisto a restar vivo; forse perché l’ho promesso a te? Tutto è troppo orribile».
Clizia in realtà non se ne va per le persecuzioni razziali, come le storie della letteratura raccontano: poteva rimanere in Italia solo d’estate per obblighi lavorativi; la relazione con Arsenio è destinata a non trovare uno sbocco di matrimonio. Dalle lettere emerge un Montale forse meschino, codardo, ma è meglio non applicare delle categorie moralistiche agli scrittori perché ci troviamo di fronte a un vero e proprio dilemma morale, dal quale il poeta ligure non vede via d’uscita: Mosca ha 11 anni in più di Montale, Clizia 9 meno di lui. Il duello tra la giovane donna piena di vita e di futuro e una donna non più giovane, malata, che ha avuto un figlio da Matteo Marangoni, viene vinto dalla seconda, che sposerà il 23 luglio 1962, dopo 23 anni di fidanzamento. Montale da vecchio dice che quello con Clizia non è stato amore, ma è stata vera e propria venerazione.
Clizia non smette di vivere nella poesia di Montale ma, come spiegato in apertura, inizia a parlare quando ha 80 anni; in questa celeberrima foto vediamo la donna impressa nella nostra immagine con la frangetta al Palio o mentre accarezza un gatto, ormai in là negli anni, fumatrice incallita, che vuole mettere chiarezza nella relazione con il Premio Nobel del 1975.

Ho quindi sfruttato l’agile volumetto edito da Archinto, «Questa stupida faccia». Un carteggio nel segno di Eugenio Montale per impostare un’attività molto gratificante in una classe quinta, in collaborazione con la docente di Lingua inglese, appassionata di Eliot e quindi ben felice di creare questa sinergia su testi in lingua. La collega mi ha rassicurato sull’americano delle lettere di Irma, ma ha preferito partire da un bell’articolo riassuntivo scritto da J. Ahern sul «New York Times», il 23 febbraio 1986 dal titolo Between the love of Clizia and Mosca (link qui).

L’articolo, destinato a studenti con almeno un livello di inglese B2, andrà ovviamente tagliato e reso didattico, ma si possono fare interessanti collegamenti e proporlo come reading comprehension assegnata come compito domestico e confrontare le risposte nell’ora di compresenza col docente di lettere della classe. A titolo esemplificativo, alcune domande-stimolo (ovviamente in inglese!) potrebbero essere le seguenti:
- come è dipinta la personalità di Clizia nell’articolo?
- quali differenze si possono notare tra Irma e Clizia?
Il docente di lettere invece si avvarrà del volumetto a cura di Marco Sonzogni: esso contiene le lettere scambiate, negli anni che vanno tra il 1984 e il 1986, tra Irma Brandeis e Gianfranco Contini, filologo e amico di Montale. Irma, secondo il curatore, fu una donna che «come persona poetica seppe tirare fuori il meglio da uno dei più grandi poeti del ventesimo secolo […] e che, come persona storica, fece la sua per tirare fuori il peggio da un uomo irrimediabilmente prigioniero delle proprie debolezze e vicissitudini» (p. 10). Nei due brevi brani che ho proposto, Clizia, nel 1985, riflette sul suo nome poetico, esprimendo considerazioni interessanti.


Irma quindi rifiuta il suo nome letterario, quando scrive: «As for me, I must certainly not be called Clizia», dato che «Clizia, ever-faithful to her love, was a murderess»; come rileva acutamente Sonzogni, in un passo diaristico del 1980, Brandeis si sfoga così: «sono stanca di sentirmi chiedere o sentirmi dire che sono colei che è chiamata Clizia nella poesia di Montale. Chi lo chiede sembra non essere consapevole di chi fosse Clizia, almeno per come la racconta Ovidio. E’ una scellerata, una donna sospesa in amore e vendicativa. […] Questa non è la mia storia» (J. Cook, M. Sonzogni, a cura di, Irma Brandeis, 1905-1990. Una musa di Montale, Ulivo Edizioni, Balerna 2008, p. 148).
Contini fu così colpito da questa lettera che, nel corso del carteggio, non la chiamerà più Clizia, bensì Irma. Sul testo sopra scansionato si può proporre un questionario di analisi così dettagliato, volto a collegare la proposta didattica ad altri testi montaliani:
- Irma, nella lettera del maggio 1985, mette in luce l’aspetto “nero” del mito ovidiano; in realtà, nella Primavera hitleriana, Clizia incarna altri valori: quali?
- La dantista americana, secondo i libri di testo, dovette lasciare l’Italia nel 1938, a causa delle leggi razziali: fu davvero così o la vicenda è più complessa?
- «L’ho scritta stanca di essere trattata come se fossi già morta»: nella lettera del maggio 1985 Clizia rivendica la sua vitalità, a dispetto di Montale, che era solito immaginare morte le donne che non facevano più parte della sua vita: ricordi un altro personaggio femminile memorabile con tale destino?
- Nella lettera dell’agosto 1985 Clizia non nomina espressamente Montale, ma lo fa con un’abbreviazione: indica e prova a interpretare il senso di questa reticenza.
Qual è l’interesse letterario e scolastico di questa lezione interdisciplinare? Dal mio punto di vista consente di fornire agli studenti un’interpretazione nuova di testi così sclerotizzati nella loro spiegazione che, ahimé, noi docenti tendiamo a ripetere come una stanca litania. Leggiamo, per esempio, il famoso mottetto Ti libero la fronte dai ghiaccioli, lirica che crea il mito di Clizia:

Ma anche la strofa della Primavera hitleriana, in cui Clizia è assurta a emblema della religione della cultura nel mondo barbaro del nazifascismo.

In questi versi de La bufera Montale crea il mito, secondo l’interpretazione di Pietro Cataldi, di «Clizia-Cristofora, votata a ripetere un’Incarnazione laica, e cioè a rappresentare il collegamento con la dimensione terrena – e civile – dei valori della cultura, di valori cioè non religiosi, ma innalzati dalla personale mitologia di Montale a un livello quasi religioso» (P. Cataldi, Montale, Palermo, Palumbo, 1991, p. 41). Ma questo significa raccontare qualcosa, forse, di parziale, perché la Clizia che emerge dalla lettere rifiuta questa identificazione, si svincola dalle interpretazioni sulla sua figura o, forse, aggiunge elementi che ce la fanno vedere più umana e meno Musa. Soffermiamoci sugli occhi di Clizia in Nuove stanze:
Ma resiste
e vince il premio della solitaria
veglia chi può con te allo specchio ustorio 30
che accieca le pedine opporre i tuoi
occhi d’acciaio.
Agli occhi d’acciaio della musa degli anni Trenta si contrappongono la cataratta e la vista annebbiata della Musa ormai ottantenne nella lettera del 22 maggio 1985: «I have stupidly tried to outdo you by having a seconda cataract operation. This eye is in rebellion. I hope for no more knives. I can still see with the left eye».
Arrivati in fondo a questo articolo ci si potrà domandare se valga la pena mettere in mostra la titubanza di Eusebio nel lasciare la Mosca, anche lei mitizzata dalla lirica Ho sceso un milione di scale dandoti il braccio, così come mostrare un’anziana donna di ottant’anni che si lamenta del senhal e critica i biografi di Montale per interpretazioni errate. Io credo di sì, perché, come evidenzia Contini, la musa ormai ottuagenaria conservava un eccezionale valore umano, una squillante intelligenza, un’ironia; insomma, per usare le sue parole «Clizia era ben degna di essere Clizia». E credo, da docente, che sia necessario porre gli studenti di fronte alla complessità, non a spiegazioni trite e ritrite. Perché forse, in tal caso, il ruolo del docente potrebbe davvero essere sostituito dall’intelligenza artificiale…
Spunto apprezzabile e originale, penso sia una bella opportunità da proporre ai ragazzi. Lavorare in comprensenza al liceo linguistico dovrebbe essere il valore aggiunto di questo corso di studi; in quinta il livello B2 in inglese è la norma, possono leggere le lettere di Irma senza troppi problemi.
Questa attività si inserisce bene anche in un percorso sull’affettività che andrebbe iniziato già nel biennio. Tra arte e vita, a ben guardare, ci sono più intrecci di quanto possiamo immaginare.
ps sei mai andato oltre Montale, Matteo? Consigli qualche poeta in paticolare della fine del Novecento?
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Zanzotto
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