Letture per l’estate: “Vite che sono la tua” di Paolo di Paolo

«Quasi avessi frequentato cattive compagnie, ti nascondevo le tracce del mondo che ero riuscito a vedere. Persone lontane, diverse da me, da noi, cominciavano a raccontarmi storie insolite, inaudite, a svelarmi segreti, e rispondevano a domande che non avrei mai rivolto a te, ai miei, forse a nessuno. […] Ma chi stavo frequentando? Vite che non erano la mia, per tirare in ballo il titolo famoso di un libro di Emmanuel Carrère. Vite che diventavano mie». Così scrive Paolo Di Paolo (qui il suo sito) nell’introduzione di Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie, saggio che, sebbene a prima vista possa sembrare per accademici ed eruditi, risulta alla portata di tutti perché tocca il tema del rapporto personale con i libri, aspetto centrale della vita (o, magari, delle fasi della vita) di ognuno di noi. Un volumetto da scoprire e divulgare, una chicca che non deve rimanere per pochi eletti e neppure confinata nell’ambito dei prof. di lettere.

Classe 1983, Paolo Di Paolo, laureato in Lettere alla Sapienza e con un dottorato in “Studi di storia letteraria e linguistica italiana” a Roma Tre, ha esordito come narratore nel 2004, a soli 21 anni, e ha raggiunto la notorietà col romanzo Mandami tanta vita, del 2013, tra i finalisti al Premio Strega. Autore di libri-intervista, ha collaborato con i più grandi intellettuali del secondo Novecento: Dacia Maraini, il recentemente defunto Raffaele La Capria, Elio Pecora e Claudio Magris, nel libro del 2022 Inventarsi una vita. Innumerevoli le sue pubblicazioni, non soltanto a livello accademico, ma anche in chiave divulgativa, come dimostrano i suoi articoli su «L’Espresso», «La Repubblica», «Vanity Fair», e, ovviamente, la conduzione, dal 2020, della trasmissione settimanale “La lingua batte“, su Rai Radio 3.

Immagine reperibile all’url: https://www.ilmessaggero.it/libri/paolo_di_paolo_lontano_dagli_occhi_e_il_magico_potere_della_letteratura-4847855.html

Il mio incontro con Di Paolo è avvenuto grazie a un amico-collega-poeta (scegliete voi l’ordine), Agostino Cornali, che me lo ha suggerito anni fa come autore emergente, già quotato a livello nazionale, nonostante la giovane età; Agostino lo descrisse come critico letterario dotato di uno stile raffinato, cristallino, che si caratterizzava per la vastità di riferimenti culturali racchiusi in poche righe. Tutti ingredienti che ho ritrovato in Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie, dove l’autore dimostra l’ampiezza sconfinata della sua biblioteca, ma soprattutto una sensibilità verso la lettura non comune.

Il volume, edito da Laterza nel 2017, consta di 213 pagine, articolate in un’introduzione, intitolata Riportare sempre qualcosa da un viaggio, seguita da 27 brevi capitoli, in cui il titolo del romanzo oggetto dell’analisi è preceduto da un’espressione con l’infinito (p.e. Cancellare il lunedì. “Le avventure di Tom Sayer” di Mark Twain, oppure Non invecchiare male. “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi) a qualificarne i tratti peculiari, quasi l’essenza, sempre nell’interpretazione dell’autore. I 27 capitoletti approfondiscono alcuni dei capolavori della letteratura mondiale, ma soprattutto 27 romanzi che hanno segnato la formazione del lettore Paolo di Paolo. In realtà la lista non si ferma ai 27 romanzi citati, ma si espande, nell’appendice presente in ogni capitolo e intitolata Altre storie, a ulteriori volumi amati dall’autore e che vengono brevemente indicati per un tratto peculiare che affascina e colpisce, con l’anafora Amo a introdurre ogni romanzo o racconto da consigliare. Un moltiplicatore di stimoli, insomma, un libro da comprare, postillare e riempire di post-it per future letture e suggerimenti di lettura, per parenti e amici.

Quella che colpisce maggiormente, a mio avviso, è però l’introduzione, davvero commuovente e dedicata a un’amica di famiglia, Ninni, ricordata per essere la prima ad aver regalato al piccolo Di Paolo un libro, innescando la sua passione per la lettura; dopo il dono di un «volume di grande formato, con i disegni che occupavano le pagine per intero […] che raccontava gli dèi dell’Olimpo “in pantofole”», «il patto non scritto […] era regalarmi un libro a quasi ogni incontro, tenerlo pronto per l’occasione, oppure farmelo recapitare» (P. Di Paolo, Vite che sono la tua, p. V). Le pagine dell’introduzione ripercorrono poi l’evoluzione del rapporto con la lettura dell’adolescente Di Paolo, poi studente universitario, dottorando e scrittore, fino alle ultime righe, in cui la cara Ninni si ammala e non può leggere il libro dedicato a lei: «Mi pare, in ogni caso, che avrei dovuto scrivere questo libro prima, in tempo perché tu lo leggessi, in tempo per portartelo in regalo in ospedale, l’ultima volta che ti ho vista» (P. Di Paolo, Vite che sono la tua, p. XII).

Vite che sono la tua è quindi un libro che parla di altri libri, un volume che ogni biblioteca scolastica dovrebbe possedere e, anzi, un libro da cui partire forse per costruire una biblioteca scolastica. È in atto infatti da tempo una crociata contro i classici, letture ritenute ormai impossibili per la Generazione Z; è innegabile che porre i gamer di fronte alle pagine di Proust, di Tolstoj o di Balzac può suscitare come reazione il rifiuto perché i ritmi di un classico sono ormai inconciliabili con la frenesia della vita attuale. Recenti sono le parole del filosofo Umberto Galimberti, che ha tuonato contro le Istituzioni e la scuola con queste parole: «La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? È folle. Guardiamo sui treni: mentre in altri Paesi i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole?».

Immagine reperibile all’url https://libreriamo.it/istruzione/scuola/galimberti-scuola-genitori-figli/

Non è mia intenzione fare l’apocalittico sul futuro della lettura e sulla fortuna dei classici né ho ricette sull’educazione a questa pratica essenziale nella crescita di ogni bambino/adolescente; è un ambito su cui sono poco formato e che pratico da “apprendista stregone”; tuttavia un giorno ragionavo su come gli anni dell’adolescenza (e pre-adolescenza) siano da non sprecare perché alla fine rappresentano quelli in cui c’è maggior tempo per dedicarsi alla lettura, prima di essere travolti dall’università (con il ritmo serrato di appelli ed esami di laurea) o dalla ricerca del lavoro. Nella mia biblioteca ho numerosi classici ma, ahimé, il possederli non equivale ad averli letti, soprattutto in maniera integrale. Con pessimi insegnanti di italiano al liceo, laureato nell’università dei CFU equivalenti a 25 ore di studio, che escludevano letture di un certo peso dai programmi di letteratura italiana e straniera (quasi un controsenso per studenti che sarebbero stati, in futuro, insegnanti), sono arrivo a quasi 40 anni con diversi romanzi citati da Di Paolo di cui ho una conoscenza sommaria, da bigino Memorix.

Dobbiamo però (non so, in realtà, come), cercare un modo per reintrodurre i classici nella nostra quotidianità, nelle nostre scuole, perché, come ci dimostra il titolo, le vite che raccontano, sono anche nostre: in ogni romanzo c’è un modo per affrontare una situazione, una soluzione a un problema del reale, una via di fuga dall’insostenibile pesantezza della vita. E come non ricordare, a tal proposito, le parole di Italo Calvino, in un’altra pietra miliare da leggere in qualsiasi grado di istruzione, ossia il capitolo Leggerezza delle sue Lezioni americane?: «Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta- filosofo [Cavalcanti, n.d.r.] che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite» (I. Calvino, Leggerezza, in Id., Lezioni americane. Sei lezioni per il nuovo millennio, consultato online).

Vite che sono la tua ci spinge quindi a riflettere sul nostro rapporto con la lettura e, in prospettiva, su quello che sarà il nostro legame con la lettura che è scandito in maniera decisiva dalle fasi della nostra vita. La prima sfida che ci si può lanciare di fronte al saggio di Di Paolo è la seguente: quanti dei romanzi analizzati e citati ho letto in vita mia? Mi posso considerare un lettore forte o debole? In realtà, la mia sensazione è che si tratti, alla fine, di un’operazione fine a se stessa e che, anche di fronte a una percentuale elevata, non si possa dire, almeno per tutti, di averli letti in profondità, se si riflette un po’ sulle chiavi di interpretazione proposte da Di Paolo. Leggere, per esempio, il capitolo 26, Scegliere. “Una questione privata” di Beppe Fenoglio, non consente di ricavare granché sul contenuto del romanzo sulla Resistenza, ma permette un’esplorazione vera e propria del cosmo fenogliano, tra pioggia incessante, fango, intreccio tra “questioni private” e Macrostoria, amore, amicizia. Tratti che, a meno di aver effettuato un corso universitario sullo scrittore-partigiano, non sempre emergono dalla lettura. Non manca neanche la sentenza lapidaria finale: «Ma nessuna esistenza somiglia a un’equazione, il risultato non c’entra con la matematica. Se uno è stato vivo, ha mescolato gesti prodigiosi a solenni idiozie. E non si tratta di mettere tutto sullo stesso piano, o di assolvere, per carità. […] Si tratta di capire, cercare di capire, anziché giudicare» (P. Di Paolo, Vite che sono la tua, p. 194).

Un libro che ho letto e riletto: Una questione privata di Beppe Fenoglio

Lo stesso si può dire per il mio capitolo preferito, intitolato Tornare indietro nel tempo. “Dalla parte di Swann” di Marcel Proust, in cui Di Paolo racconta il capolavoro francese che, per la mole di pagine, non sono mai riuscito ad affrontare (chi mi conosce sa che ho difficoltà a iniziare romanzi di più di 400 pagine). La chiave di lettura che l’autore romano ci fornisce è però interessante: la Recherche è la sfida intrapresa da Proust per costruire una sorta di macchina del tempo, che gli «consenta di attraversare gli anni nel verso contrario al loro fruire. Migliaia di pagine per tornare lì, nel cuore del già accaduto, e renderlo ancora abitabile» (p. 158). La Recherche è la dimostrazione poi di come i libri possano davvero trasportarci in luoghi ed epoche che vorremmo vivere oppure aver vissuto; secondo Di Paolo, infatti, «pochi scrittori come Proust hanno saputo descrivere il fascino violento e sensuale dei luoghi che esistono nel ricordo, nell’attesa, nel suono del loro stesso nome e non là dove esistono» (p. 157). Il romanziere francese ha avuto il merito di farci conoscere luoghi che non «appartengono soltanto al mondo dello spazio» (p. 158); se ci pensiamo bene, infatti, nella nostra memoria convivono luoghi reali e luoghi immaginari, che fanno parte della nostra fantasia e, spesso, delle nostre letture. La mémoire involontaire, poi, non è un elemento squisitamente letterario, ma la ritroviamo, se ci pensiamo bene, nella vita di tutti i giorni: quante volte ci è capitato di addentare una fetta di torta alle mele e ricordarci la nonna che ce la preparava nelle fredde giornate invernali? Quante volte una zuppa ci ha ridestato improvvisamente atmosfere, luoghi, persone legati a quel profumo, a quel sapore in un recupero della memoria fulmineo e sfuggente? Innumerevoli sono le madeleine che affollano le nostre vite.

Marcel Proust, immagine reperibile all’url https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/gli-amori-segreti-marcel-proust/

In questo sta il pregio del saggio di Di Paolo: vedere nei libri e nelle storie che vi vengono raccontate esperienze che sono di tutti i lettori, di ogni epoca e nazione. Come scrive nell’introduzione, è bene sradicare il pregiudizio che leggere renda più intelligenti, allunghi la vita e contribuisca a diventare colti; i veri vantaggi della lettura consistono invece nell’incessante spinta a porsi domande, nella possibilità di non vivere solo il proprio tempo (quanto mai nefasto e foriero di catastrofi), ma di uscire da sé, per qualche ora, e ritornare, arricchiti, di nuovo in sé, perché «leggere, soprattutto, ti lascia sempre molte caselle vuote da riempire» (p. XII-XIII). Vite che sono la tua ci fornisce non soltanto diverse chiavi di lettura dei romanzi della nostra vita, ma, attraverso uno stile limpido, cristallino, colto, ma non oscuro, ci ricorda che non leggere significa non sperimentare un elemento essenziale del nostro essere umani.

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