I tre mesi di vacanze dei prof.

Settimana scorsa, in ragione del mio incarico di Funzione Strumentale Multimedialità (per i non addetti ai lavori: il coordinatore di tutte le attività connesse col digitale e la strumentazione informatica in un istituto) sono passato a scuola: dovevo incontrare il tecnico informatico, una figura che il Ministero dell’Istruzione ha istituito a partire dal maggio del 2020, per aiutare docenti e personale scolastico nella gestione della DAD e nella manutenzione dell’ingente mole di dispositivi riversati nelle aule a seguito dello scoppio della pandemia. Grazie al finanziamento del PON “Digital Board”, abbiamo infatti ricevuto quasi venti schermi interattivi e si è cercato di progettare, in quella mattinata, una mini-formazione rivolta a docenti ed educatori, per sfruttare tutte le potenzialità di questi strumenti nella didattica quotidiana. Il contesto era da The Waste Land, o forse, date le temperature, da Death Valley: aula con 35 gradi, sole a picco, personale ai piani e di segreteria ovviamente ridotto per la turnazione delle ferie: insomma, il tipico scenario di una scuola italiana d’estate, a qualsiasi latitudine.

Quando mi capitano occasioni del genere, non infrequenti se si hanno incarichi di una certa responsabilità, mi vengono in mente le polemiche che si sollevano a inizio giugno: i privilegiati prof. iniziano i loro tre mesi di vacanze, mentre tutti gli altri lavoratori sono costretti a tenere a casa i figli per tre mesi, pagando rette su rette in centri estivi, mini-cre e, per i più piccoli, in baby sitter, mentre i docenti si godono lo stipendio al mare, al lago o in montagna. A tal proposito, recentemente, Lorenzo Jovanotti ha dichiarato, alla trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio, che l’estate è «la vera grande invenzione dell’Italia» e che «tre mesi di ferie non li ha nessuno». Avrei voluto far stare Jovanotti nell’aula dove io e il tecnico provavamo gli schermi interattivi: altro che Jova Beach Party, lì, al posto della brezza della pineta di Ravenna, sembrava di essere in un forno ventilato, ideale per far lievitare torte, meno per spiegare letteratura, svolgere esercizi di matematica o apprendere le lingue straniere da un video proiettato sui mirabolanti schermi di cui sopra.

Un noto esperto di scuola: Jovanotti. Immagine reperibile all’url https://www.altuofianco.blog/ferie-degli-insegnanti-solo-in-italia-abbiamo-3-mesi-di-vacanze-da-scuola/

Schermi interattivi e caldo nelle aule italiane: elementi solo apparentemente slegati. Il Ministero (e, in generale, l’Europa) ha pensato che l’unica soluzione per far fronte alla pandemia e al possibile ritorno della Didattica a Distanza (nella sua versione edulcorata di Didattica Digitale Integrata) fosse riempire le scuole di device: da qui bandi su bandi per il potenziamento della rete internet, per l’acquisto di PC, per l’installazione di schermi interattivi di nuova generazione, in sostituzione delle vecchie LIM, a volte perfettamente funzionanti e appena acquistate. Ma, per chi si intende un po’ di digitale e tecnologia, nonostante il roboante motto del PON in questione (“Trasformazione nella didattica e nell’organizzazione“), uno schermo non sempre trasforma la didattica, specie nel caso in cui se ne faccia un uso tradizionale e trasmissivo da parte di insegnanti non formati o, peggio, ostili verso l’innovazione digitale.

Immagine reperibile all’url: https://www.istruzione.it/pon/avviso_digital%20board%20trasformazione%20digitale%20nella%20didattica%20e%20nella%20organizzazione.html

Famosi sono i modelli SAMR, TPACK e RAT che spiegano come il digitale in sé sia uno strumento, che può sostituire o migliorare alcune operazioni, ma alla base ci debba essere sempre una intenzionalità didattica che “ridefinisca” o “trasformi” attività impensabili (e quindi irrealizzabili) in un contesto analogico. Un insegnante, dunque, che progetti, nel suo “tempo libero” (aspetto legato ai “tre mesi di vacanze”) e poi realizzi in classe attività col digitale integrate ai contenuti della sua disciplina, secondo un determinato modello pedagogico-didattico.

Il modello TPACK: immagine reperible all’url https://www.educare.it/j/temi/scuola/didattica/3231-il-modello-tpack-nei-processi-digitali-a-scuola

Divagazione sul digitale a parte, credo che se al posto di rottamare LIM perfettamente funzionanti si fossero previsti contributi per l’acquisto di impianti di purificazione, aerazione e condizionamento dell’aria, anche in considerazione del cambiamento climatico e di un’estate 2022 “africana”, il proclama “a scuola fino al 30 giugno” potrebbe avere un senso. Facciamo invece un esame di realtà: dall’inizio di maggio, da Nord a Sud, a meno di perturbazioni atlantiche sempre più rare, stare in aula è un supplizio. Gli studenti medi per classe sono 24 (quando non 30), gli spazi a metratura ridotta, spesso esposti al sole; la mascherina indossata rende poi ancora di più opprimente l’atmosfera tanto per gli studenti quanto per i docenti.

Racconto un episodio accaduto quest’anno: a inizio maggio, con il furore che mi caratterizza di fronte ad autori che amo, stavo spiegando i Sepolcri di Foscolo; la finestra era aperta secondo il protocollo Bianchi (…), io indossavo una mascherina FFP2, stavo parlando (col mio solito tono di voce alto) e contemporaneamente scrivendo alla lavagna, mentre fuori batteva un sole caldissimo: era infatti la quinta ora del lunedì e il lago rifletteva la luce abbagliante del sole. Ho dovuto fermarmi e dire ai ragazzi che interrompevo un secondo la spiegazione, per far leggere loro un testo sul manuale, dal momento che, fisicamente, stavo per svenire: disidratato, sudato fradicio, in preda a una crisi respiratoria (tanto che ho dovuto sedermi e abbassare la mascherina). Eravamo a inizio maggio…non oso immaginare se ciò fosse accaduto in questi giorni, anche se, pensandoci bene, la mia scuola ha la fortuna di avere l’ospedale a 500 m di distanza!

Partiamo da qualche dato: i 3 mesi (o anche più) di vacanze riguardano gli studenti (di ogni ordine e grado), ma sicuramente non gli insegnanti; se si prendono infatti in considerazione quelli del II ciclo, riescono, in alcuni casi, a usufruire “a pelo” dei 36 giorni di ferie inseriti nel contratto. Quest’anno gli Esami di Stato sono iniziati il 22 di giugno e, considerando la correzione degli scritti, i colloqui orali ed eventuali sessioni suppletive (probabili causa contagi in aumento), la Commissione difficilmente si sarà sciolta prima del 10 luglio; gli esami di recupero delle carenze formative inizieranno all’incirca il 25 di agosto, quindi si tratta di 6 settimane e mezzo di “vacanze” estive.

Alcuni potrebbero controbattere…contando le altre sospensioni delle attività, si arriva comunque a 3 mesi e quale altra professione può usufruire di tanti giorni di “pausa”? Anche a Natale e Pasqua si vedono molti professori sulle piste da sci o in giro per le città d’arte.

Non si può negare il numero elevato di giorni “senza scuola”, che nell’immaginario collettivo si traducono immediatamente in vacanze per gli insegnanti, ma forse andrebbe fatta una riflessione preliminare: quale altro lavoro è così totalizzante come quello dell’insegnante? Quale altra professione presenta un lavoro sommerso così elevato? Quali altri professionisti si avvalgono di strumenti acquistati da loro (PC, tablet, connessione internet, senza considerare l’elettricità) per svolgere i propri compiti? Ho già affrontato il tema per quanto riguarda gli insegnanti di italiano, ma tutti i docenti coscienziosi e amanti del loro lavoro (e dei loro alunni) non esauriscono il loro impegno nelle 18 ore settimanali (altro mito da sfatare, come ha fatto con perizia recentemente Marco Balzano su «Vanity Fair»). Quelli che avrete visto sulle piste da sci, molto probabilmente, avranno fatto la notte nei giorni precedenti per sbrigare le incombenze scolastiche, correggere gli ultimi compiti e godersi (giustamente) del meritato relax.

Insegnare poi non significa ripetere stancamente in classe le nozioni apprese sui libri universitari: il docente è sempre inserito in un contesto, con studenti nuovi, con bisogni in evoluzione, speciali in ogni senso, quindi deve sempre rimodularsi di fronte all’utenza. Ribatterete: va bene, ma dopo un po’ di anni gli argomenti sono sempre gli stessi e non ci sarà un gran lavoro di preparazione. In realtà “preparare” una lezione non significa solo rivederne i contenuti culturali, ma progettare attività con questi ultimi, ipotizzare compiti, scegliere metodologie per presentarli, sempre tenendo in considerazione la classe di riferimento, l’utenza dell’hic et nunc. Non mi dilungo, per non dire ovvietà, sulle sfide che la Didattica a Distanza ci ha posto di fronte: chi leggeva stancamente un manuale in classe si è dovuto riciclare youtuber o magari ha dovuto, per la prima volta, creare delle slides per rendere efficace la spiegazione online e ha sfruttato le risorse del libro digitale, che neanche pensava di avere. Con la pandemia, le riunioni si sono poi moltiplicate (e allungate…): Teams e Meet fanno parte del nostro vocabolario quotidiano, forse di più del termine abusato di “competenze” e, con la scusa della “distanza“, si calendarizzano collegi docenti straordinari a tutte le ore del giorno (quasi della sera) e riunioni informali nei giorni liberi. Anche il rapporto con i genitori si è riconfigurato: prima recarsi a ricevimento da un insegnante era come andare a confessarsi dal curato di paese, mentre ora, con i colloqui online, introdotti per contenere il contagio, si prenotano appuntamenti nel tardo pomeriggio, durante la pausa pranzo e non è infrequente collegarsi con un genitore fermo nella piazzola di sosta dell’autostrada.

L’icona di Meet, applicazione per videoconferenze ormai parte della quotidianità di ogni insegnante.

Insomma, non è tanto peregrina l’affermazione che le ore di lezione frontale andrebbero moltiplicate per due: credo che siano in pochi a lavorare meno di 36 ore a settimana, spesso anche nel giorno libero. Se ci sono delle verifiche da correggere o delle esercitazioni da controllare su Classroom (altro immancabile “amico” degli ultimi 2 anni), parte del weekend è dedicata anche a quello. Qualsiasi altro professionista, invece, non ha “compiti” da svolgere nelle ore extra-lavorative e può dedicarsi con tranquillità agli impegni familiari, personali, alle relazioni sociali, allo svago e allo sport, mentre noi insegnanti abbiamo sempre “il pensiero” delle mille scartoffie da compilare, delle lezioni da preparare, delle verifiche da correggere e via discorrendo (per conferma, citofonare ai propri partner…).

Tutto questo per dire che la lunga pausa estiva è quanto mai necessaria per un lavoro che, ahimé, sta diventando sempre più logorante e fonte di ansia: recenti indagini hanno mostrato l’aumento del fenomeno del burnout negli insegnanti in coincidenza con l’attivazione della didattica a distanza. Le molte ore passate davanti al PC, l’ansia di non riuscire a realizzare lezioni efficaci, la mancanza di contatto umano con i ragazzi e di feedback positivi hanno reso i docenti irritabili, apprensivi, ansiosi…insomma, bisognosi di uno stacco per ricaricare le pile e presentarsi a settembre in condizioni psico-fisiche accettabili per affrontare un nuovo anno scolastico.

Mi piace però usare per la pausa estiva degli insegnanti l’immagine dell’allenamento, non del prof. spiaggiato a fare la settimana enigmistica: stante la necessità di periodi di stacco completo (per concedersi una o più vacanze nei luoghi preferiti, siano essi al mare, in montagna, al lago e via dicendo), una parte non ridotta dovrebbe, a mio avviso, essere dedicata all’autoformazione e a letture significative per la nostra professione. La scuola cambia, l’aggiornamento è fondamentale, ma siamo davvero sicuri che possa essere affrontato con tranquillità nel bel mezzo di un anno scolastico, tra lezioni da preparare, verifiche da correggere, consigli di classe, colloqui e commissioni?

Venendo alla mia esperienza personale, ma so di non essere solo, ho un rapporto ambivalente con le “vacanze estive”: da una parte ne sento la necessità, perché ultimamente (saranno gli incarichi sempre più numerosi che mi accollo) arrivo a fine anno scolastico stremato, ma dall’altra capisco che tre mesi senza contatto con le classi sono tanti e i ragazzi dopo un po’ mi mancano…così cerco sempre di iscrivermi a corsi di formazione online che prevedano, magari, svolgimento di compiti, attività simulate, progettazione di percorsi o UDA. Negli ultime settimane sto seguendo un corso sul WRW (Writing and Reading Workshop), mentre negli anni passati ho divorato le proposte di formazione Loescher, con attività che ho applicato con successo in classe nell’anno scolastico successivo. Alcuni potrebbero dire: ma perché lo fai se tanto non ricevi alcun compenso? Credo che la risposta risieda nella professionalità degli insegnanti, troppo spesso ridotti a meri impiegati statali, ma invece cruciali per il destino dei ragazzi, per la crescita del futuro di un popolo.

Rimane aperta la questione dei tre mesi di vacanze degli studenti, ovviamente un disagio per famiglie di lavoratori, senza nonni che possano “tamponare” per i più piccoli il problema. Hanno ragione quelli che li ritengono “anacronistici”, forse adatti per un’Italia degli anni Sessanta in cui solo il capo famiglia lavorava, ma fonte di disagio per le nuove coppie con un mutuo e desiderosi di allargare la famiglia nell’inverno demografico italiano. Credo che però, anche qui, la risposta non sia la scuola o, meglio, che, con aule dotate di condizionatori, si possano prolungare le lezioni forse fino al 20 giugno; tuttavia è risaputo che gli studenti italiani sono presenti a scuola per un numero di giorni in linea con i compagni europei (in realtà di più!) e non è il caso di esagerare. La scuola, come mi capita spesso di dire in classe, non deve essere una “mucca” da mungere per qualsiasi occasione, ma un luogo di formazione e crescita del cittadino; la scuola non è un parcheggio dove lasciare i figli anche nei mesi estivi, ma un’istituzione culturale cruciale per il destino di un Paese.

https://www.indire.it/2019/09/19/in-tutta-europa-si-torna-a-scuola-la-rete-eurydice-pubblica-il-calendario-scolastico-e-accademico-2019-2020/

E quindi quali soluzioni? Il coinvolgimento, magari, del terzo settore e delle organizzazioni del territorio per proporre attività per tutte quelle famiglie che necessitano di impiegare in modo costruttivo il tempo estivo dei figli, specie del I ciclo; lo Stato dovrebbe ovviamente anche fornire sussidi economici perché è inutile scandalizzarsi per il basso tasso di natalità se le giovani coppie non sono messe nelle condizioni di poter crescere i figli senza sacrifici continui. Per i più grandi, la questione è più sfumata, complessa e credo, con un pizzico di ironia, che la scuola sia l’ultimo ambiente che vorrebbero frequentare nei mesi estivi, anche senza la presenza degli insegnanti.

Per questi ultimi, le “vacanze” sono necessarie, per una professione poi, sempre più fagocitante e con uno stress da lavoro non indifferente. Non si misura il valore di una professione dal numero di ore impegnate, quanto dalla qualità di questa: gli insegnanti sono una delle poche figure di cultura che resistono nella società e devono essere messi nelle condizioni di convogliare le loro forze migliori per la crescita delle nuove generazioni. Quindi è giusto che possano passare un’estate tra natura, cultura, arte, relax e impegnata in letture e attività di formazione che possano promuovere un insegnamento di spessore culturale, ma soprattutto sempre più efficace e coinvolgente per i loro alunni e studenti. E voi, cosa ne pensate delle mie riflessioni? Vi aspetto nei commenti…

10 pensieri riguardo “I tre mesi di vacanze dei prof.

  1. Lavorare d’estate in classe è proibitivo, i ragazzi lo sanno meglio di noi docenti. Un anno ho fatto una maturità in una scuola paritaria, lì c’era l’aria condizionata, ma era così alta che dopo un paio di giorni ho perso la voce… Direi che ci vorrebbe una giusta via di mezzo.
    Va benissimo, per “riempire” i tre mesi estivi, coinvolgere il terzo settore, ancor più se va a intercettare attività di PCTO.
    La cosa che personalmente ritengo fonte di stress è la difformità del carico lavorativo lungo l’anno scolastico. Ci sono mesi gestibili e altri assurdi come maggio. Non contiamo le riunioni fiume e imprevisti di ogni tipo.
    D’estate i docenti vanno giustamente in vacanza ma sempre con un libro a portata di mano e dovrebbero mantenere un certo decoro, dedicandosi a un sano otium.

    ps per riflettere su quanto ancora la scuola italiana sia ingessata, consiglio il libro di Andrea Gavosto, “La scuola bloccata”, uscito in aprile.

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    1. Lavorare in classe è proibitivo? Siete mai stati in un cantiere tra giugno e settembre? Vi assicuro che muratori, idraulici ed elettricisti lavorano lo stesso. Se per il caldo non si potesse lavorare allora mezza Italia si fermerebbe per tutto il periodo estivo.

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      1. La ragione credo si collochi nel lavoro intellettuale che è richiesto, nella necessità di concentrazione e lucidità che, ahimé, viene meno nei mesi estivi, specie nelle aulette italiane. Non voglio sminuire muratori, elettricisti, personale addetto all’asfaltatura di strade, che hanno sofferto le pene dell’inferno quest’anno. Consiglio la lettura di quest’articolo per farsi un’idea più precisa https://www.open.online/2020/01/14/aria-pulita-e-voti-alti-se-lo-smog-peggiora-il-rendimento-scolastico/

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  2. Brevemente penso che dovreste confrontarvi con chi per esempio lavora da libero professionista – se necessario e non è raro, si lavora nei weekend, si lavora di notte e si lavora durante le ferie – o con chi per esempio lavora in ospedale – si lavora con turni che vanno oltre le 12 ore di fila senza straordinari pagati – e per quanto logorati, accaldati, ecc ecc le settimane estive di ferie sono al massimo 3, e credetemi abbiamo lo stesso desiderio di ricaricare, staccare e trovare nuove energie. Altra osservazione: gli asili nido, per quanto non attrezzati con aria condizionata, forniscono il servizio fino alla fine di luglio, se richiesto in alcuni casi anche nel mese di agosto, se questi piccoli bambini e gli educatori sopravvivono al caldo delle aule, lo possono fare anche gli insegnanti e gli studenti delle scuole superiori, se questo è il problema. Non prendiamoci in giro, fare l’insegnante è un lavoro che dal punto di vista degli orari e delle ferie concede grandissimi privilegi. Senza nulla togliere a questo lavoro.

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    1. Nell’articolo si sottolineava come i giorni a scuola degli studenti italiani fossero superiori rispetto alla media europea (vedi articolo > http://www.edscuola.it/archivio/ped/orari.html). A questo punto andiamo a scuola in aule vuote, facciamo riunioni anche a giugno e luglio e inquiniamo un bel po’ l’aria, come se non lo fosse già. Nella mia lunga riflessione si sottolineava come il lavoro non finisca a scuola, ma prosegua sempre nel tempo libero, nei weekend. Mi taccio su chi fa formazione e impegna il suo tempo estivo in questo modo. Comunque la ringrazio per avermi confermato, con questi due commenti, che il mio articolo era necessario. Buona estate (a questo punto non so se di lavoro, di ferie o cosa). Io sto preparando, ad esempio, le lezioni di settembre.

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  3. Da genitore condivido le riflessioni.
    Dissento su un affermazione:
    “Qualsiasi altro professionista, invece, non ha “compiti” da svolgere nelle ore extra-lavorative e può dedicarsi con tranquillità agli impegni familiari, personali, alle relazioni sociali, allo svago e allo sport”
    Tutti i professionisti che conosco hanno spesso compiti da svolgere di sera, nei festivi, nei weekend. Poi ci saranno quelli che non li fanno ma si vede. Un operaio no, timbra ed esce dallo stabilimento. Con tutto il rispetto per il tipo di lavoro, non è un professionista.
    Il mio idraulico passa parte dei sabati pomeriggio e delle domeniche a fare fatture e tutti i moduli richiesti da enti e clienti, studia procedure e prodotti.
    È un professionista del settore. Magari il suo dipendente non lo fa e si gode sport amici e famiglia. E non aspira ad essere titolare.
    Grazie per le riflessioni.
    Un saluto
    Vally

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      1. Io riconosco da sempre il lavoro invisibile di parte dei docenti. Sommerso invece è una parola che mi evoca lavoratori sfruttati senza contratti e assicurazioni malattia e infortuni.
        Ma un vantaggio lo avete, non perdete clienti se rifiutate un appuntamento alle ore 20 quando l’orario fissato erano le 18.30.
        Con il risultato che si rientra a casa alle 21.30.
        Oppure si viene chiamati alle 7.30 perché il cliente vuole te che sei bravo (e non prendi niente per la consulenza) e insiste nel cercarti perché lo considera tuo dovere.
        Vita quotidiana di tanti professionisti.
        Ho solo chiesto di non fare paragoni con chi i clienti li perde in un giorno se non è disponibile negli orari che chiede il cliente, aggiornato, competente.

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  4. Sarò un po’ brutale, ma, così come non ho nessuna difficoltà ad ammettere che il mio lavoro di insegnante mi lascia più tempo libero rispetto a molti altri lavori, allo stesso tempo a chi mi dice che sono un privilegiato, che dovrei lavorare anche il 30 luglio e altre cose del genere, ormai rispondo “potevi farti furbo e vincere un concorso da insegnante come ho fatto io”.

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  5. Abbiamo 36-40 giorni in estate, inutile girarci intorno…poi ne possiamo avere 7-10 di più se non impegnati in Esami. Ma vogliamo parlare del lavoro che ci sobbarchiamo ogni giorno da settembre a giugno? Da docente di italiano io sono davvero travolto da compiti da correggere, verifiche…non parliamo poi se coordini o porti avanti dei progetti. Il grosso problema è che a fronte di docenti seri, appassionati, che mettono l’anima, ci sono molti che tirano a campare e, secondo la logica degli scatti di anzianità, percepiscono uno stipendio piuttosto immeritato. Ma finché non cambierà qualcosa ai piani alti, dovremo continuare a gridare nel deserto…

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