Quanto lavorano gli insegnanti di italiano?

Giunto ormai in prossimità della fine del primo trimestre e prima di essere “travolto” dalle verifiche scritte di dicembre (nel dettaglio 68 prove di italiano e 54 di latino), ho deciso, in questo breve articoletto senza molte pretese, di riflettere sul carico di lavoro degli insegnanti di italiano. I docenti di altre materie obietteranno che le medesime considerazioni andrebbero fatte per gli insegnanti tout court, a prescindere dalla disciplina insegnata, ma mi sento di focalizzare l’attenzione sulla mia categoria, forse per campanilismo, ma anche per la sensazione di essere vicini a un punto di rottura (l’immagine in apertura è esemplificativa…).

Gli insegnanti di lettere della scuola secondaria di II grado, lo dico per chi non è del settore, si dividono fondamentalmente in tre categorie: docenti di italiano e storia negli istituti tecnici e professionali (classe di concorso A-12), docenti di discipline letterarie e latino nei licei (classe di concorso A-11), docenti di latino e greco nei liceo classici (classe di concorso A-13); per lo più ai primi vengono assegnate, per ragioni di continuità didattica, tre classi nelle quali svolgono 6h, 4 di italiano e 2 di storia, mentre per i secondi e terzi la casistica è più varia, potendo anche contare sulla variante “geostoria” (mostro a due teste introdotto dalla Gelmini il cui monte ore annuale è di 99h), sul greco e sul latino, presente al liceo scientifico tradizionale, alle scienze umane tradizionali e al liceo linguistico, per il solo biennio. Tendenzialmente un Dirigente Scolastico equilibrato assegna a un insegnante di lettere tre “italiano”, completando il resto delle ore con insegnamenti di latino o geostoria. Non voglio sminuire il lavoro degli insegnanti con cattedra di storia nella classe A-12 (nel caso di classi numerose, poi, riuscire a proporre un itinerario di apprendimento completo, specie di storia contemporanea, in 2h è impresa titanica!), così come svilire geostoria e latino, ma la correzione di un test di grammatica latina, di una prova di geostoria e di una versione implica un tempo sicuramente minore rispetto alle prove di Italiano, oltre che un impegno intellettuale diverso.

Si è quindi introdotto il motivo del contendere: le prove di italiano e il carico di lavoro di questa disciplina. Seguace del compianto Adriano Colombo, coordinatore per anni del GISCEL (vi consiglio di fare un giro nel suo sito-web, miniera di materiali per chiunque insegni lettere nei diversi ordini, cliccando qui), oltre che di Luca Serianni, costruisco il mio itinerario di apprendimento di italiano affiancando alla storia letteraria (adesso affrontata per generi, come spiego qui) un percorso di scrittura graduato che ora andrò a delineare, per capire il senso della domanda del titolo.

Adriano Colombo, membro del GISCEL, immagine reperibile all’url https://giscel.it/adriano-colombo-se-ne-andato/

In classe prima inizio con la stesura di molti riassunti nel I quadrimestre, perché credo, come Serianni, che questi costituiscano un ottimo apprendistato per la costruzione della frase, per la gerarchizzazione e la selezione delle informazioni, proseguendo, nel II quadrimestre, con il testo espositivo su tematiche legate agli argomenti trattati in antologia/epica o, negli ultimi anni, in educazione civica. Il secondo anno vede come protagonista indiscusso il testo argomentativo a schema semplice, affiancato da esercizi di confutazione di tesi altrui e da letture di articoli di taglio espositivo-argomentativo, su cui proporre attività di scrittura con argomentazione d’appoggio. In classe terza prediligo concentrarmi invece sulla tipologia A del nuovo (o già vecchio?) Esame di Stato, l’analisi e interpretazione del testo letterario, impostando spesso, nella produzione, un lavoro di attualizzazione dei testi letterari (sono ahimé, cresciuto con il nume tutelare di Romano Luperini…), mentre le restanti produzioni si collocano nella sfera del vecchio “tema di ordine generale”. Dalla classe quarta inizio a introdurre l’analisi e interpretazione del testo argomentativo, avvalendomi dei manuali di Serianni, tra cui Leggere, scrivere, argomentare (se volete comprarlo, cliccate sul link qui) e lavorando molto sull’impostazione del commento argomentativo, con diverse tipologie di lead, di argomentazioni e di conclusioni. In tutte le produzioni, un po’ per convinzione, ma anche per istinto di sopravvivenza, mi avvalgono sempre di questa massima, ben sintetizzata in un altro libro must have di Adriano Colombo, «A me mi». Dubbi, errori, correzioni nell’italiano scritto dove si raccomanda di «creare occasioni di scrittura brevi, ma frequenti» (A. Colombo, «A me mi». Dubbi, errori, correzioni nell’italiano scritto, Francio Angeli Editore, Milano 2011, p. 15).

immagine reperibile dalla demo del libro, scaricabile al link https://www.francoangeli.it/Area_PDFDemo/612.1.1_demo.pdf

Di questa massima vorrei sottolineare i termini frequenti e brevi, che solitamente fanno storcere il naso a molti genitori durante i colloqui, tanto che spesso se ne escono con la domanda: «quando inizierete a fare i temi?». Se per tema, come lo definisce Colombo nel saggio citato, si intende un testo di una lunghezza crescente, con un lessico specifico, un registro medio e che, dopo un’introduzione generica, si distende per un numero imprecisato di pagine (…) (cfr. A. Colombo, op. cit., p. 16) per arrivare a una conclusione brillante, credo di assegnare 3-4 testi di questo tipo in cinque anni di questo tipo dal momento; in tutta sincerità, lo considero un esercizio “d’altri tempi”, poco utile alla vita pratica, ai testi che gli studenti dovranno scrivere all’università e in ambito lavorativo, oltre che, alla lunga, un’attività sfinente.

Ricordo sempre un mio ex-studente (ora plurilaureato…) che era solito consegnare pagine e pagine di “temi” (sì, all’inizio della mia esperienza assegnavo per lo più “temi”…): all’esame venne sonoramente bastonato dal commissario esterno perché capace solo di sfoggio retorico e linguistico, ma povero di contenuti e di capacità di sintesi e argomentazione. Prediligo quindi, specie da quando sto iniziando a riflettere sull’argomentazione (vedi questo mio articolo su Radici.digitali), proporre testi relativamente brevi, con un numero preciso di colonne (massimo 3) e di battute (3000-4000-5000 a seconda delle richieste). Alcuni studenti, forse quelli addestrati a fare “temi” sin dalle medie, protestano, ovviamente, ma credo che vada salvaguardata anche la sostenibilità della professione, oltre che la possibilità di avere una correzione, improbabile nel caso in cui il docente venga “sommerso” da pacchi di fogli di protocollo e battute di word!

E quindi, tornando alla domanda del titolo, quanto lavorano gli insegnanti di italiano? A mio avviso, se un buon insegnante di italiano vuole farsi carico di consolidare le competenze di scrittura dei suoi studenti e non ha particolari problemi nella gestione del percorso letterario, gli si presenta una mole di lavoro ai limiti della sostenibilità. Facciamo qualche conto, ipotizzando una classe composta in media da 25 studenti e tre cattedre di italiano, prevedendo due prove scritte nel I trimestre/quadrimestre corto e tre nel II quadrimestre: si contano 150 testi da correggere nel primo e 225 nel secondo. Se teniamo conto che la correzione di un testo (comprensiva di lettura, annotazione a lato delle correzioni e di eventuali commenti e infine compilazione della griglia valutativa) implica almeno 15-20 minuti, si parla di 100-125 ore (a seconda della velocità…) passate solo a correggere le produzioni scritte fatte in classe. Se consideriamo un pomeriggio-tipo da insegnante di italiano (….), composto da 3-4 ore di lavoro domestico, si parla di 40 pomeriggi all’anno occupati dalla sola correzione dei compiti di italiano.

Ma, d’altra parte, chi non assegna dei lavori di produzione scritta a casa? Pensiamo davvero di poter consolidare le competenze di scrittura degli studenti nel solo momento della produzione scritta in verifica (diversificata, ovviamente, in riassunto, testo espositivo, argomentativo, analisi testuale, analisi di un testo argomentativo e tema di ordine generale, come mostrato sopra) o prevediamo “sessioni di allenamento”? Anche qui, con l’avvento della DAD, ma forse anche già prima, la classe virtuale diventa un altro strumento usato dal povero (ormai mi viene solo questo aggettivo!) docente di italiano: e vai di produzioni su Classroom (prima su Edmodo…) che hanno, sicuramente, il vantaggio di snellire il lavoro (se lo studente consegna in modo corretto il compito, scrivendo nel file di Google Documenti, si generano delle correzioni automatiche a lato man mano il docente opera sul testo originario), ma queste correzioni online affaticano la vista e aumentano il già consistente numero di ore passate davanti allo schermo di un PC. Se consideriamo, ipoteticamente, di dare almeno un’esercitazione pre-verifica, di lunghezza vincolata (poniamo 4000 battute) nel I quadrimestre e due nel II quadrimestre lungo, arrivano altri 225 elaborati che, posto un tempo di correzione minore (15 minuti), comportano però altre 56 ore di lavoro, pari ad altri 18 pomeriggi pieni.

Lo strumento di auto-flagellazione del docente di italiano moderno: Classroom

Pensavate fosse finita? Non è così. Come sottolineato spesso nei miei articoli sul blog, la riscrittura è altrettanto cruciale come la scrittura e, quindi, per gli studenti con criticità nella produzione scritta, per lacune pregresse mai colmate, difficoltà a organizzare il testo e via dicendo, andrebbe prevista la restituzione (o cartacea o in piattaforma) dei testi corretti secondo le indicazioni dell’insegnante. Si tratta, ovviamente, di una “faticcacia” immane, ma necessaria, per far riflettere gli studenti sui loro errori (spesso ricorsivi), colmare alcune lacune e avviarli verso una maggiore padronanza che, si spera, anche egoisticamente, faccia passare in futuro meno ore sul loro testo da correggere! Calcolando, in modo molto indicativo, una media di 6-7 testi per prova da rivedere e riconsegnare su piattaforma, si arriva a una cifra indicativa, in un anno, di 100 testi rivisti da “controllare”, in questo caso per verificare che si siano attuate le correzioni e interiorizzate le indicazioni. Calcolando una media di 4 testi all’ora, altre 25 ore annuali sono dedicate a questa attività, per un totale di circa 8 pomeriggi.

E le attività di recupero? Voglio pensare che queste siano gestite da un altro insegnante, ma, ovviamente, per il gioco delle parti, potrebbe capitare che all’insegnante di italiano sia assegnato un gruppetto di 8-10 studenti che devono colmare le loro lacune con un vero corso di recupero o sportelli help vari; se ipotizziamo di far scrivere (e ovviamente correggere) almeno 2 testi (minimo sindacale) si aggiungono altre 6-7 ore di lavoro e, nel complesso, ulteriori 2 pomeriggi, per un totale annuale di 68 pomeriggi occupati dalla correzione di produzioni scritte di vario tipo, ma sempre, si intende, con una lunghezza predeterminata e mai troppo estesa.

La risposta alla domanda del titolo è quindi la seguente: «Troppo». Gestire una cattedra di italiano sta diventando quasi insostenibile, specie perché, com’è risaputo, le incombenze burocratiche sono aumentate a dismisura negli scorsi anni (e, secondo me, aumenteranno sempre di più), occupando interi pomeriggi e fiaccando anche i docenti più validi e appassionati. Molti, per esperienza, arrivati a una certa età, preferiscono chiedere un part-time (vi consiglio di notare, quando escono gli elenchi dei docenti a tempo parziale, la percentuale di insegnanti dell’A-11 e A-12…), altri preferiscono dare sei a tutti, riducendo il numero di prove scritte e di esercitazioni oppure correggendo solo “a campione” alcuni testi, chiudendo un occhio (o forse due) per evitare la classica domanda del colloquio: «Mio figlio/Mia figlia ha un’insufficienza in italiano, può dargli/darle altri temi da fare a casa e correggerli?».

Ma forse, credo, per evitare questa deriva, anziché ragionare sull’aumento delle ore degli insegnanti, andrebbero rimodulate quelle esistenti: perché non pensare (PER TUTTI, non solo per le cattedre con ore di potenziamento) a 15 ore di lezione frontale e altre 3 da spendere in attività di recupero, riallineamento, gestione di progetti (anche di valorizzazione delle eccellenze), eventuali compresenze, per fare davvero cessare quel poderoso lavoro sommerso degli insegnanti, soprattutto di italiano (e di discipline linguistiche) che sta portando molti al burnout? Le tendenze demografiche ci potrebbero avviare verso questa proposta: riduzione del numero di studenti, cattedre che si perderanno, docenti destinati a completare l’orario su due-tre scuole: perché non lavorare invece su questa proposta delle 3 ore di “potenziamento” per tutti i docenti, oltre le 15 frontali? A mio avviso ne deriverebbe una scuola più di qualità e, anche, probabilmente, più inclusiva.

9 pensieri riguardo “Quanto lavorano gli insegnanti di italiano?

  1. Caro collega,
    questa purtroppo è la situazione, da te perfettamente delineata. Aggiungici che l’insegnante di Lettere per forza (“con tutte quelle ore!”) avrà almeno un coordinamento, poi bisogna rispondere alle email, preparare le lezioni in modo innovativo etc… Il mio pomeriggio solitamente prosegue fino a notte fonda (mettici i figli un minimo da seguire poi). E io mi sono fatta dare un italiano solo al duro prezzo di avere una miriade di classi! Del resto credo che, con le classi numerose che ci ritroviamo (anche da 30 quest’ anno, in barba al Covid), sia impossibile gestire come si deve più di 2 italiani. Personalmente, tra l’altro, anche in Geostoria faccio scrivere molto, perché i ragazzi non sanno spesso mettere in fila delle frasi ordinate e con un minimo di lessico specifico per realizzare un mini testo espositivo in risposta a una domanda aperta (troppo abituati ai quiz, ahimè). Insomma, un buon insegnante che tenga alla qualità del proprio lavoro dovrebbe davvero immolarsi alla causa. Io comincio a non farcela più. Rimango più o meno sana di mente solo perché esistono ancora le vacanze estive, le uniche in cui riesco davvero a staccare la spina.
    Io dico sempre che insieme odio e amo il mio lavoro (quare id faciam fortasse requiris!), perché insegno con passione, adoro stare coi ragazzi, ma nello stesso tempo per sentirmi efficace come docente devo lavorare 7 giorni su 7 sempre fino a tardi, trascurando famiglia, me stessa e tutto il resto. Non so mettere un limite, perché questo significa lavorare meno bene. La tua proposta di 15+3 ore sarebbe un sogno, ma io mi accontenterei anche di meno alunni per classe. È l’unico modo per far scuola bene e in modo sostenibile: massimo 15 alunni alla volta. Lavorando in classi articolate, per latino ho un paio di classi con questi numeri: lì davvero si lavora bene e si crea un legame più forte coi ragazzi, cosa che è alla base dell’apprendimento significativo.
    Si parla tanto di riforme e investimenti sulla scuola, ma non mi capacito di come sia possibile che nessuno faccia mai quello che serva. Disonestà o pregiudizio di fondo (insegnante = lavoratore privilegiato)?
    Grazie per il confronto. Cordialmente,
    Angela

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    1. Gentile Angela,
      Ti ringrazio del commento approfondito e ragionato. Come avrai capito, ho evitato di inserire le ore passate nei corsi di aggiornamento, nella progettazione di attività laboratoriali o di gruppo, così come quelle del Coordinamento. Il docente di italiano, infatti, raramente non è coordinatore e, se non lo è, viene messo come segretario (“Tu sei laureato in lettere, saprai fare bene i verbali”). Anche in Geostoria se si lavora con criterio la mole di lavoro è consistente: avevo una collega che faceva scrivere delle brevi trattazioni sintetiche ogni settimana, che ritirava e inseriva come voto diagnostico nel registro (a fine anno gli alunni avevano tipo 25 voti…). Non ho poi inserito i prodotti multimediali: anche quelli per la preparazione della traccia e la loro valutazione sono un notevole impiego di tempo. Per me sarebbe però più impegnativo preparare la lezione in Geostoria, cosa che mi riesce veloce e semplice insegnando solo italiano e latino. Hai ragione, per fare bene il nostro lavoro, dato che tutti noi vogliamo andare in classe preparati per rispetto nostro e degli studenti, rischiamo di mettere in secondo piano i doveri di moglie, madre, compagna, compagno, marito, figlio etc.

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  2. Da quello che scrivi, Matteo, si evince che ami il tuo lavoro e lo svolgi con buon senso e preparazione. Hai maturato un buon metodo per approcciare la scrittura, io ancora non sono a questo livello… Per fortuna non ho 3 classi con italiano, ma solo 2, la cosa è più gestibile, ma in questi giorni ho pacchi di temi da correggere come tutti. Mi sono ripromesso di non spendere più di 15 minuti per elaborato e anch’io richiedo 3/4 colonne, non di più. Procedere con gradualità partendo dai riassunti e poi per diversificazione è l’ideale, bisognerebbe poi collegare quanto si studia in analisi logica e del periodo alla stesura di un tema ben scritto. A mio avviso conta, oltre alla lettura di romanzi e racconti, la quantità di testi scritti, non necessariamente in ambito scolastico. I ragazzi possono tenere un diario, scrivere su uno dei tanti siti che permette di condividere le proprie idee, partecipare a un concorso letterario… La scrittura creativa dev’essere valorizzata, ovviamente non a discapito del testo argomentativo.
    La soluzione, inoltre, non è Classroom e nemmeno l’abolizione della prima prova alla maturità. Accoglierei la tua proposta di qualche ora di potenziato e anche quella di ridurre il numero di alunni per classe.
    Ciò detto la vita del docente di lettere è praticamente tutta rivolta al lavoro, riesco a malapena a ritagliarmi un’ora per leggere quello che voglio. Penso, tuttavia, sia diritto sacrosanto e (di tutti!) poter staccare un attimo ogni giorno e sfogliare un bel libro.

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    1. Caro Roberto,
      sai cosa penso della scrittura creativa e dei concorsi letterari…comunque lo ritengo un ottimo strumento per “sbloccare” lo studente verso altre tipologie di produzione, magari più funzionali, a meno di non voler diventare degli scrittori…
      D’altra parte non demonizzerei nemmeno Classroom perché in questi anni ci ha consentito, a costo di enormi fatiche, a distanza, di valutare il processo di scrittura degli studenti, quando ci hanno consegnato lavori originali (…) e, cosa più importante, di conoscerli e rimanere in contatto. Ti consiglio, a questo proposito un bellissimo commento di Stefano Rossetti, uno dei capi dell’ADI SD, che ti condivido > https://site.unibo.it/griseldaonline/it/diario-quarantena/stefano-rossetti-scrivere-stare-vicini

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  3. Questo articolo spiega benissimo, con la concretezza che ti contraddistingue, la realtà della nostra vita. Da proporre ogni volta che il nostro lavoro non viene compreso.

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