Empoli, Reggio Emilia, Roma, Recanati, Monterotondo, Oggiono: sono alcune delle città e dei paesi teatro dell’iniziativa dantesca “Adotta un canto e portalo nella tua città… quando puoi”, che ha unito idealmente tutta l’Italia intorno ai versi della Commedia. Un progetto partito da lontano (a dicembre, con il bando e le indicazioni operative per la creazione del mosaico dantesco) e arrivato alla sua conclusione, ovviamente, il 25 marzo, supposta data dell’inizio del viaggio nei tre regni oltremondani, grazie al lavoro incessante del gruppo di lavoro dell’ADI sezione didattica che, a partire dal 18 di marzo, si è dedicato all’ordinamento e montaggio dei video prodotti dalle 100 scuole d’Italia.
5 ore. A tanto ammonta la durata complessiva dei 100 video che, da Inferno I, messo in scena dal Liceo “Medi” di Senigallia, arriva a Paradiso 33, del Liceo “Principe di Savoia” di Catania, attraverso un percorso che si snoda sì per le tre cantiche, ma soprattutto per monumenti, edifici storici, chiese, piazze, paesaggi naturali a cui sono state indirizzate le terzine dantesche. Tra i requisiti per la realizzazione del progetto c’era, appunto, la dedica a un luogo d’interesse storico e culturale della città (o paese) di appartenenza dell’Istituto: guardare i video non consente solo di ri-ascoltare le terzine immortali della Commedia, ma di attraversare, virtualmente, in questo periodo di restrizioni causa Covid-19, l’intera penisola, sorta di exules inmeriti del 2021.
Scorrendo i video si viene a contatto con uno spaccato della scuola italiana che cerca di resistere alla situazione di didattica a distanza (o, per meglio dire, a singhiozzo) e che ha dato vita a un mosaico di tessere, quanto mai diverse, per le condizioni di partenza, forse, o per il tempo dedicato alla realizzazione dei prodotti, ma soprattutto per la strumentazione tecnica in possesso. Si va dalle riprese col drone, con effetti scenici e di illuminazione degni di una produzione di Rai Cultura, a laboratori teatrali che hanno dato sfoggio alle loro capacità in brevi video emozionanti, coinvolgenti e gestiti da semi-professionisti, per arrivare ad abbozzi di sit-com con al centro Dante, Virgilio, Beatrice e le anime di turno. Medesimo comunque l’effetto sul pubblico di visitatori del portale: sentirsi parte di una stessa nazione, di una comunità scolastica che resiste alle limitazioni che avrebbero scoraggiato chiunque da tale progetto dantesco.
Un’iniziativa legata, quindi, al territorio. Se Giulio Ferroni, di recente, ha pubblicato il poderoso volume L’ Italia di Dante. Viaggio nel Paese della «Commedia», nel quale, seguendo il testo dantesco, fa un viaggio nella penisola, riscoprendone tesori di arte, paesaggio, storia legati al peregrinare dell’esule o a terzine ed episodi celeberrimi del poema sacro, anche i giovani studenti film-maker hanno restituito, con i loro video, parte di quella ricchezza, che ci fa orgogliosi di appartenere allo scrittore che Harold Bloom, nel suo bestseller Il canone occidentale. I libri e le scuole delle Età, ha messo al 2^ posto del canone occidentale, sul podio, quindi di quei 26 scrittori che hanno fondato la letteratura mondiale.

Anche io, nel mio piccolo, ho partecipato con la mia classe al Dantedì, coordinando la produzione della nostra tessera “dantesca”, il canto XXIX dell’Inferno, che abbiamo dedicato alla Basilica di Santa Maria in Valvendra. Un’impresa compiuta per lo più “a distanza”, così come l’altro capolavoro della letteratura la cui fruizione è avvenuta, anch’essa, da remoto. Interrogando i ragazzi sul valore dei due capolavori, negli ultimi 10 minuti di lezione che, com’è noto, si rivelano i migliori per captare le loro emozioni, paure e sentimenti, uno studente di terza ha affermato: «Sinceramente, tra l’Inferno e i Promessi sposi, ho preferito il romanzo di Manzoni: quella è stata una lettura, di analisi, ovviamente, ma piacevole; con Dante invece mi sono sentito di fronte a un’opera d’arte che, come italiano, si deve studiare, ma che non ho trovato molto vicino a me».
Questo porta a interrogarsi sui motivi per i quali si debba continuare a leggere Dante, nonostante le snobismo di alcuni critici letterari e professori universitari che, ovviamente, insistono sulla difficoltà del testo dantesco, della Commedia in particolare, sul cambiamento del significato di molti termini, sulla desuetudine di alcune questioni affrontate (simonia, clero corrotto, necessità dell’impero, lotte tra guelfi neri e bianchi e via dicendo). Ferroni, nel suo saggio, è invece più possibilista sulla sopravvivenza di Dante nel futuro e si rifà ai suoi ricordi liceali perché fu «nell’incontro scolastico con Dante [che] mi sembrò di riconoscere il senso della poesia, come qualcosa di assolutamente distante che si imponeva come assolutamente vicino, parola lontana […] che mi toccava come fosse presente, con la sua tensione espressiva, con il suo ritmo […] e con le passioni e i desideri di quel mondo lontano» (G. Ferroni, L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della «Commedia», La nave di Teseo, Milano 2019, p. 18). Questa dialettica tra distanza e vicinanza è molto proficua e ricorrente nelle riflessioni sulla necessità di continuare a leggere Dante, oggi.
Sull’argomento ha espresso la sua posizione anche Claudio Giunta nell’articolo dal titolo Perché uno dovrebbe leggere Dante? uscito su «Internazionale» nel 2015, nel mezzo centenario della nascita. Il professore e saggista parte indicando tre ragioni per non leggere la Commedia: l’uso della versificazione per realizzare il racconto, i sette secoli di distanza tra noi e quel mondo medievale descritto da Dante, la necessità di essere provvisti di una rigorosa enciclopedia personale per riuscire ad accedere al significato dei versi del sacrato poema. Nella seconda parte, però, trattando delle ragioni per continuare a leggere Dante e la Commedia scrive: «Dante possiede un’immaginazione e una sensibilità così ricche da poter esprimere anche idee ed emozioni che la letteratura del suo tempo non era in grado di esprimere. Ci sono passi, episodi interi della Commedia, che parlano a tutti, anche a chi non ha alcuni interesse né per la poesia né tantomeno per un’età così remota come il medioevo, per la semplice ragione che Dante ha saputo fissare in modo geniale sentimenti che sono realmente universali». E prosegue: «Si può restare indifferenti alla letteratura, o cinici, ma è difficile esserlo abbastanza da restare inerti leggendo il discorso di Ulisse ai suoi compagni di viaggio o gli ultimi versi del Paradiso». Coltivare le emozioni e i sentimenti con Dante, quindi.

Giunta nel suo scritto si rivolge a un pubblico generalista, da rivista online, non prettamente scolastico e le riflessioni vanno misurate avendo sempre ben presenti i suoi lettori ideali. Venendo all’ambito didattico, se dovessimo, infatti, considerare la difficoltà del messaggio veicolato dai testi letterari, andrebbe, forse, ribaltato l’intero itinerario di apprendimento delle superiori: risulta, infatti, più accessibile, un romanzo come I Malavoglia di Verga, oppure l’epopea letteraria sulla Resistenza italiana rispetto all’epica dell’Iliade di Omero che il legislatore ha posto davanti ad alunni del primo anno di scuola superiore. Giunta sottolinea, ovviamente da accademico, la necessità di una biblioteca personale per approcciare la Commedia e, in generale, i grandi classici, come l’Iliade, scindendo il piacere estetico dal piacere del conoscere, ma si possono separare chiaramente i due piani?
Harold Bloom, critico americano assai controverso, nel capitolo Un’elegia per il canone, scrive parole davvero illuminanti in proposito: «La vera utilità di Shakespeare e Cervantes, di Omero e di Dante, di Chaucer e Rabelais, è ampliare il nostro crescente io interiore. Leggere in profondità nell’ambito del Canone non farà di nessuno una persona migliore o peggiore, un cittadino più utile o più dannoso. […] L’unica cosa che il Canone occidentale può donarci è l’uso adeguato della nostra solitudine, della solitudine la cui forma definitiva è il confronto con la modernità» (H. Bloom, Il Canone occidentale. I libri e le scuole delle Età, trad. it. di Francesco Saba Sardi, BUR, Milano 2008, p. 36). Bloom si guarda bene, quindi dall’ancorare l’istituzione di un canone di scrittori (aggiungo io, bianchi e per lo più europei) a una supposta superiorità morale di chi lo segue, ben conscio degli attacchi dei partigiani dei gender studies, ma ritiene essenziale, data la mortalità che caratterizza l’essere umano, proporre letture canoniche, slegate però da un’ideologia. Nel suo “canone” l’unico italiano è Dante (non Boccaccio, non Petrarca, né Machiavelli) e un intero capitolo, La singolarità di Dante: Beatrice e Ulisse, è dedicato al grande fiorentino. La critica di Bloom individua alcuni elementi che, a mio avviso, sono fondamentali per poter affermare che Dante va letto ancora nel XXI secolo: l’intensità eretica, la straordinaria audacia, l’insuperabile fantasia, la travolgente forza poetica. Insomma, approcciarsi al testo della Commedia, per uno studente italiano, rappresenta un’esperienza non solo letteraria, ma anche umana, dato che, come in Shakespeare, «in Dante troviamo un’enorme forza cognitiva unita a una creatività che non ha limiti puramente pragmatici» (H. Bloom, op. cit. p. 87).

Personalmente, da docente di Liceo, in un periodo di aridità emotiva e di difficoltà a esprimere la creatività di cui Bloom parla a proposito di Dante, credo che il primo compito della scuola sia quello di stimolare il piacere estetico attraverso un approccio il meno mediato possibile alle grandi opere della letteratura mondiale: trascorrere delle ore a lasciarsi trasportare dal racconto dantesco, dai versi memorabili (penso al dialogo tra Francesca da Rimini e Dante, oppure ai già citati versi di Ulisse, ma anche al «biondo era e bello e di gentile aspetto, / ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso» di Purgatorio III in cui la figura di Manfredi non può che sembrarci straordinariamente vicina) credo sia un’esperienza da non sottovalutare e neppure da sminuire con snobismo. Il piacere di imparare, invece, ahimè, implica uno sforzo che a tanti delle nuove generazioni non è usuale, specie se applicato a oggetti culturali percepiti come lontani dal loro orizzonte esperienziale. In un articolo precedente mi soffermavo sulla necessità di svincolarsi dalla nostra esperienza di apprendimento da studenti di Dante e della Commedia, per riaccendere pian piano quella fiammella di interesse verso la letteratura che, ahimé, decenni di lezioni frontali, commenti infiniti e centinaia di pagine assegnate come studio domestico hanno quasi spento.
Credo che l’iniziativa del Centenario sia andata in questa direzione: frammenti di versi memorabili, istantanee dantesche, senza la necessità, almeno questa volta, di spiegazioni di terzine, di luoghi oscuri o controversi, introduzioni generali. Se nel secondo dopoguerra il maestro Manzi in televisione aveva istruito milioni di Italiani, ora il rischio è che Youtube diventi il nuovo maestro, un maestro però freddo, impersonale, che misura l’insegnamento e l’apprendimento in minuti, intervallati magari dalla pubblicità. La grande sfida dell’italianistica del XXI secolo è invece quella di usare le potenzialità della rete, degli strumenti digitali per veicolare contenuti forti, pilastri della nostra identità nazionale, che possano trarre nuova linfa e vitalità dallo strumento informatico. Il successo dell’iniziativa dell’ADI SD ne è la dimostrazione.
Ma forse la parola chiave per continuare a leggere Dante e la Commedia è memoria. Nel suo saggio del 1997, Il sentimento della letteratura, Raffaele La Capria scrive che «La letteratura è la nostra memoria, una memoria che ci riguarda tutti, individuale e collettiva […] Non la memoria di fatti accaduti, battaglie, paci e guerre – quelli ce li racconta la Storia – ma la memoria di ciò che gli uomini da oggi e fino a Omero e prima di Omero hanno sentito, sognato, immaginato. La memoria delle loro passioni e delle loro emozioni, la memoria di ciò che hanno amato, patito, sperato nel corso della loro vita e del loro tempo, del significato che vi hanno attribuito, e soprattutto del linguaggio con cui lo hanno espresso e tramandato fino a noi».
Leggere e ascoltare la voce di Francesca da Rimini, Pier delle Vigne, Brunetto Latini, Ulisse, Guido da Montefeltro, Manfredi di Puglia, Pia de’ Tolomei, Piccarda (e l’elenco sarebbe lunghissimo) ci consente di vedere nel personaggio letterario emozioni, passioni, speranze che ce li fanno sentire vicini, nonostante i 700 anni di distanza, nonostante il cambiamento semantico di molti termini usati, e anche se, spesso, si sente la necessità di un testo di accompagnamento per comprendere riferimenti storici e mitologici, allusioni, echi, reticenze. Quindi la Commedia come strumento per rinnovare la memoria, in una società, ahimé, basata sulla frenesia e sull’oblio istantaneo. Forse rileggere Dante ha un senso anche per questo, per immergersi in quella solitudine, di cui parla Bloom, necessaria per nutrire il nostro io interiore.