Tempi duri per il corpo docenti italiano che, dopo aver espresso su varie piattaforme la propria contrarietà al possibile prolungamento dell’anno scolastico 2020-2021 al 30 giugno, prospettato già dall’ormai ex ministra Lucia Azzolina, ha visto la nomina alla Pubblica Amministrazione di quel Renato Brunetta famoso per la lotta contro i “furbetti del cartellino” e gli statali fannulloni conniventi con medici di base pronti a firmare falsi certificati medici.
Dura ormai da qualche settimana la polemica sul posticipo della conclusione delle lezioni a fine giugno, con conseguente slittamento dell’Esame di Stato. I sindacati sono sul piede di guerra, così come tanti colleghi che, giustamente, argomentano di aver lavorato (e fatto lavorare) molto durante la Didattica a Distanza e che non ci sia assolutamente nulla da recuperare, anzi.
Credo che, come ogni discorso sulla scuola, si tratti di una battaglia ideologica che però dia la possibilità di un discorso più ampio sulla necessità di rimodulare tempi e modi dell’apprendimento. Ma c’è di più: si dimentica, ahimé, che la situazione in un liceo classico milanese, tanto per fare un esempio, è assai diversa da quella di un istituto professionale in provincia di Crotone: la disponibilità di device, la connessione veloce e l’organizzazione possono fare la differenza, pur con le migliori intenzioni da parte di tutti i docenti e tecnici impiegati nella difficile gestione della didattica online. Fare “Di tutta la DaD un fascio” è, d’altra parte, profondamente lesivo e discriminante verso chi sta spendendo energie, tempo e soldi per rimodulare la propria didattica e il metodo di insegnamento, rendendolo adeguato a condizioni mutate, che richiedono trategie diverse.
Per quanto riguarda i cahiers de doléances sulle ferie estive compromesse, veniamo ai fatti concreti: i docenti italiani hanno 32 giorni di ferie, a cui si aggiungono 4 festività soppresse, per un totale di 36 giorni. Se, come succede solitamente, gli esami del recupero delle carenze formative vengono calendarizzati nell’ultima settimana di agosto, si è “liberi” da impegni all’incirca dal 12-13 di luglio. Quindi, all’atto pratico, nulla da eccepire sul prolungamento fino al 30 giugno: i docenti supplenti hanno il contratto che scade solitamente in quella data, quelli di ruolo sono in servizio (e impegnati con corsi di recupero o con Esami di Stato fino al 5-6 luglio) e dunque le “forze” per “allungare il brodo” ci sono. Sfido poi chiunque ha degli incarichi nella scuola a ritenere quei 36 giorni di “vera vacanza”: se si considerano le e-mail estive, la progettazione dell’accoglienza, la stesura dell’orario, riuscire a “staccare” per 2-3 settimane è già un’impresa.
I più danneggiati, quindi, da questo prolungamento delle lezioni non sarebbero i docenti, ma gli studenti e, soprattutto, quelle famiglie che potrebbero usare il mese di giugno per risparmiare su eventuali vacanze estive, dando linfa a un settore turistico in piena crisi. Giugno, si sa, è il mese prediletto da chi vuole trascorrere qualche giorno o settimana al mare e in montagna, senza spendere una fortuna, come invece avviene nel mese di agosto.
Ma forse è la premessa alla base di questo allungamento delle lezioni a essere sbagliata: è vero che in Didattica a Distanza si è lavorato di meno e peggio? È opportuno far rimanere in aula studenti che dal 14 di settembre, tra DAD, DDI, lezioni asincrone stanno “sgobbando”? Con quali motivazioni continuare a migliorare la Didattica Digitale Integrata se, alla fine, il ragionamento implicito è che l’unica didattica seria è quella in presenza? Glisso sullo stress che è ricaduto sui docenti e sugli studenti, tra lezioni in presenza interrotte, quarantene fiduciarie, tamponi: la media delle e-mail ricevute negli ultimi 12 mesi farebbe impallidire i paladini del “diritto alla disconnessione”.
Faccio una provocazione: molte classi italiane rimangono per settimane o mesi senza insegnanti di determinate discipline: atavica è la carenza di docenti di matematica e italiano, tanto che, in alcuni Istituti, si deve attingere alle MAD, ovvero alla Messe a Disposizione. Il sistema delle GPS ha poi rallentato ulteriormente la nomina, tanto che prima di nominare un supplente bisogna attendere lo svuotamento di tutte le graduatorie. Qualcuno ha mai pensato negli anni pre-covid di far rimanere a scuola per un mese in coda all’anno scolastico quelle classi, per recuperare gli apprendimenti non completati? Non mi sembra.
Come la Didattica a Distanza ha “messo a nudo” la scarsa dimestichezza (eufemismo) del corpo docente col digitale, così questa discussione, faziosa, sul prolungamento dell’anno scolastico sta “mettendo a nudo” un calendario scolastico che deve, almeno in tempi di pandemia, essere quanto più flessibile.
Anacronistici, a mio parere, sono i tre mesi di vacanza degli studenti, veri e propri “mesi persi” se non impiegati con attività di recupero, potenziamento, orientamento, ma, il più delle volte, “stacco” che pregiudica gli apprendimenti. Più adeguati a tempi di pandemia sarebbero gli “stop and go” attuati da alcuni sistemi scolastici europei: quando la pandemia si sarà attenuata, andrebbero allungate le vacanze natalizie, per dar la possibilità di un vero riposo e consentire al settore turistico invernale di progettare soluzioni non solo per coppie e imprenditori, ma anche per famiglie con “pupi al seguito”. Ora, invece, proseguire le lezioni in pieno periodo invernale, con il picco di contagi, è un’impresa assai ardua, che porta a una frammentazione degli apprendimenti. Sfido chiunque a impostare una lezione con 17 studenti in presenza e 3 in DaD per isolamento fiduciario.
Prolungare quindi l’anno scolastico in corso? Sì, ma non per tutti. Costringere in classe lo studente volenteroso, responsabile e che ha seguito regolarmente la Didattica a Distanza, Mista e integrata perché dotato di condizioni favorevoli credo sia un affronto e uno svilimento del suo impegno. Le altre nazioni europee ci dimostrano che l’apprendimento non si misura a tempo, tanto che gli studenti italiani sono mediamente quelli che trascorrono più giorni a scuola.
Sono invece favorevolissimo ai “ristori formativi”, magari coinvolgendo non quei docenti impegnati da settembre nella Didattica Digitale Integrata, spesso a Distanza, ma esperti esterni, educatori, terzo settore e, perché no, tirocinanti delle università: si tratterebbe di un’ottima occasione fornire a questi ultimi un primo contatto con la scuola, senza essere “gettati nell’oceano” senza saper nuotare.
In questo modo si potrebbe consentire agli studenti del quinto anno di concludere con serenità gli ultimi due anni, assai “disgraziati”, con un Esame conclusivo canonico a giugno, dando loro la possibilità di guardare al futuro universitario, ai test d’ammissione e, perché no?, all’appartamento in cui andare a vivere a settembre.
A noi insegnanti, invece, rimarrebbe altro tempo per progettare un a.s. 2021-2022 che, ahimè, si presenta ricco di incognite e ancora in compagnia del covid-19