«Ma sì, fino a qualche anno fa se uno si prendeva il raffreddore o l’influenza se ne stava a casa e si faceva mandare i compiti dai compagni, altro che dad!»; e ancora «perché continuare con le riunioni online? Il covid non c’è più, torniamo a farle tutte in presenza…ah, ma quindi il collegio di domani è a distanza? Che palle, non mi ricordo come entrare in Meet». Italiano stentato a parte, ho riportato alcune delle frasi che si stanno pronunciando in modo ricorrente nelle sale docenti italiane in queste prime settimane dell’anno scolastico 2022-2023, il primo del post-covid, anche se i contagi stanno risalendo e le mascherine, cacciate dalla porta, stanno rientrando dalla finestra per le classi in auto-sorveglianza a seguito di positività.
Cominciamo ab ovo: domenica (…) 28 agosto il MIUR, con il Vademecum contenente le Indicazioni per l’a.s. 2022-2023, ha precisato come dalle strategie di contenimento per la diffusione dell’infezione in ambito scolastico si sarebbe dovuti passare a strategie di mitigazione; fin qui nulla di sconvolgente: ormai le misure di prevenzione dal covid sono saltate in ogni ambito (a parte quello ospedaliero), le mascherine saranno protagoniste delle prossime puntate di Chi l’ha visto? e imporle a scuola sarebbe stata la solita “foglia di fico” tipicamente italiana. Tuttavia è nelle FAQ n. 6 che è presente una puntualizzazione sconvolgente, specie per il pregresso degli ultimi due anni: alla Frequently Asked Question “Gli alunni positivi possono seguire l’attività scolastica nella modalità della didattica digitale integrata?”, la risposta del Legislatore è netta e perentoria: “No. La normativa speciale per il contesto scolastico legata al virus SARS-CoV-2, che consentiva tale modalità, cessa i propri effetti con la conclusione dell’anno scolastico 2021/2022“.

La Didattica Digitale Integrata (con l’acronimo da mostro infernale di DDI) era stata introdotta con delle Linee guida per l’anno scolastico 2020-2021, «come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento, […] rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza, nonché, in caso di nuovo lockdown, agli alunni di tutti i gradi di scuola, secondo le indicazioni impartite nel presente documento». Le dieci pagine di documento indicavano in maniera puntuale alle scuole i punti da inserire nel loro Piano per la Didattica Digitale Integrata, che doveva contenere il regolamento della stessa, le metodologie e strategie didattiche da attuare con alunni, anche BES, nonché i quadri orari, la gestione dei rapporti con la famiglia e la necessità di formazione dei docenti. Di questa didattica era sottolineata la componente innovativa, la complementarietà rispetto a quella in presenza e la sua applicazione in casi di nuovi lockdown: insomma, si riconosceva in essa una modalità di fare scuola paritetica rispetto a quella in presenza. L’ultimo paragrafo è molto interessante, perché si sofferma sulla formazione dei docenti, scrivendo che questa «rappresenta una leva fondamentale per il miglioramento e per l’innovazione del sistema educativo italiano. […] Risulta quanto mai opportuno che ciascuna scuola predisponga, all’interno del Piano della formazione del personale, attività che sappiano rispondere alle specifiche esigenze formative».
Nel ruolo di Funzione Strumentale Multimedialità nei due anni scolastici 2020-2022 (in piena pandemia, quindi) ho potuto coordinare nel mio Istituto tutte le iniziative legate al digitale e alla gestione dei fondi europei e posso affermare che MAI come negli ultimi tempi ho notato una spinta propositiva, anche da parte dei colleghi più restii, a innovare le metodologie e la didattica quotidiana: ho visto docenti che usavano la lezione frontale cattedratica senza alcun supporto digitale impegnarsi nel condividere materiale di lavoro su Classroom, usare la Jamboard durante le videolezioni o gli approfondimenti pomeridiani online, seguire le istruzioni del sottoscritto per riuscire a condividere il libro digitale con gli studenti a casa in quarantena; per gli alunni questo “salto di qualità” nelle competenze digitali (e organizzative…) è stato facilitato dall’età e dalla familiarità della generazione Z con tali strumenti, ma devo ammettere che tutto ciò ha permesso di rivoluzionare i processi di apprendimento e di insegnamento e di progettare attività impensabili prima della pandemia. Si parla tanto di introdurre le soft skills in ambito scolastico, ma già saper gestire la DDI da casa, con i genitori magari in smartworking e l’intrusione in camera di fratellini invadenti, è la dimostrazione di aver maturato delle competenze “leggere” che si potranno utilizzare nel percorso post-diploma.

Ora, tuttavia, con un documento agostano, si è spazzato via tutto: si potrà tornare, in pieno clima da Congresso di Vienna, a gestire le attività didattiche come si faceva nel 2019, con la differenza di classi dotate di tecnologia di ultima generazione, riversata a fiumi con i fondi del PNRR e dei vari PON e studenti ormai avvezzi a una didattica che include il digitale in gran parte dei suoi snodi. Vorrei però riflettere brevemente su qualche implicazione pratica: poniamo il caso di una classe con all’interno uno studente positivo al covid che, secondo le normative vigenti, che non prevedono più l’uso della mascherina, avrà contagiato altri compagni…questi, pur magari stando bene, dovranno stare a casa per diversi giorni (talvolta fino a 10), perdendosi le lezioni e il contatto con insegnante e compagni. Si obietterà che questi studenti potranno sempre avvalersi della classe virtuale e del Registro elettronico per monitorare il lavoro in classe ma, a ben guardare, questi strumenti non sono previsti dal Legislatore e, specie la prima, costituirà un “di più” non previsto dalla normativa.
Sappiamo quanto la Didattica Digitale Integrata, specie nella versione dura e pura della DAD, sia stata impegnativa e, spesso, pesante, per studenti e docenti, soprattutto nell’a.s. 2020-2021 (i mesi da marzo a giugno 2020 portavano con sé il fascino della novità e di un anno senza valutazione finale), ma credo che questa forzata innovazione ci abbia allineato ai sistemi educativi europei più avanzati, colmando un gap che risultava imbarazzante. L’eterogeneo panorama scolastico italiano, poi, non è fatto solo di studenti romani che frequentano il Liceo Classico “Torquato Tasso” a Roma, ma di molte situazioni al limite, come le scuole di periferia, nelle quali la dispersione scolastica è elevatissima: siamo davvero sicuri che cancellare con un colpo di spugna la Didattica Digitale Integrata sia stata una buona idea o non rappresenti forse un volàno a questo fenomeno tipicamente italico? I dati sembrano confermarlo: vi invito a leggere questo articolo sul sito dell’INVALSI. Colpisce il paragrafo incipitario: «A causa della pandemia anche la dispersione totale è aumentata notevolmente. Se si sommano i dati degli ELET – Early Leaving from Education and Training – e quelli sulla dispersione implicita emerge infatti che il 23% dei giovani della fascia d’età 18-24 anni ha lasciato la scuola prima di effettuare l’esame di Stato, oppure l’ha terminata senza acquisire competenze di base minime (nel 2019 erano il 22,1%)».

Ma veniamo anche all’altra componente scolastica: i docenti, per i quali si è previsto, a meno di delibere a livello di Istituto, il ritorno alle riunioni collegiali in presenza dopo tre due anni passati in collegamento da remoto. Non posso dimenticare come dopo la fine dello stato d’emergenza, nel marzo scorso, molti DS abbiano iniziato a convocare riunioni in presenza, inventandosi soluzioni come collegi docenti in palestra, in chiese sconsacrate o in auditorium senza riscaldamento; altri, più illuminati (continuiamo con la metafora in salsa storica), hanno convocato un collegio docenti in presenza per deliberare, in 15 minuti, che i successivi sarebbero stati online. Un tipico pasticcio all’italiana.
Sul tema consiglio la lettura dell’articolo, intitolato Corpi docenti, del sempre illuminante Stefano Rossetti sul blog di Romano Luperini La letteratura e noi. Rossetti mette in evidenza alcuni punti deboli delle riunioni online, soffermandosi, in particolar modo, sul gesto, assai diffuso, di spegnere la telecamera. Ne riporto una parte consistente, utile per una mia disamina a riguardo: «Nella realtà, le riunioni di questo genere sono caratterizzate da una sostanziale assenza di dialettica e di dibattito, e si risolvono prevalentemente nella ratifica di documenti e scelte elaborate in sedi differenti (il fatto che si tratti ovviamente di sedi legittime non sposta di una virgola il senso del discorso). All’indebolimento della dialettica e della collegialità contribuiscono anche le consuete attenzioni dedicate al versante tecnico e l’utilizzo come minimo discutibile della chat a opera di molti docenti (“Il link al form è in chat”, “Potreste rimettere il form della presenza, che non ho firmato?”, “Alla delibera n. 3 mancano le firme di …”, “Grazie, preside”, “Buongiorno a tutti, scusate il ritardo”): in alcuni momenti, l’effetto congiunto di questi elementi comunicativi produce una sovrapposizione di messaggi, stimoli, segnali, difficilmente gestibile dal singolo e assolutamente caotico ai fini della collegialità e della condivisione delle idee. Ma è soprattutto nel gesto di armeggiare intorno alla telecamera che assistiamo alla normalizzazione di una realtà virtuale che rende possibile essere al contempo presenti e assenti; in altri termini, essere nella riunione ma non esserci. Lo spegnimento della telecamera costituisce il culmine di questa doppia negazione, fisica e virtuale, dell’incontro, e esprime spesso l’aspirazione mal dissimulata a non partecipare, o a farlo solo con una piccola parte di sé».

Solitamente approvo in toto le idee dello stimato collega dell’ADI SD Piemonte, ma credo che in questo caso si sia messo in scena uno stereotipo: quello del docente fannullone, a cui non importa nulla della riunione, che spegne la telecamera e magari è in cucina a preparare un tè caldo o il sugo per la pasta. È innegabile che queste dinamiche si siano verificate (con esiti talvolta da Fantozzi) e che spesso le riunioni online si risolvano in votazioni e ratifiche di documenti, ma siamo sicuri che anche quelle in presenza non siano lo stesso? Lo spegnimento della telecamera e la negazione del sé, in una presenza-assenza nebulosa, è sicuramente sintomo di scarsa professionalità, ma qual è la differenza tra questo modus operandi e il collega che nel consiglio di classe in presenza gioca col cellulare o, peggio ancora (episodio tratto da una storia vera), corregge le verifiche, ritornando alla discussione solo nel momento della votazione, in cui alza lo sguardo scocciato per aver interrotto l’importante officium? Lo stesso dicasi per la discussione: può essere vivace in presenza quanto online, ma tutto dipende dal grado di partecipazione e di coinvolgimento dei membri e della presa delle tematiche. Si è professionali tanto in presenza quanto a distanza, si prende a cuore il proprio lavoro tanto nelle aule fisiche della scuola, quanto comodamente seduti sulla scrivania di casa, con una tazza di caffè dietro al notebook.
Queste considerazioni scaturiscono da consigli di classe e collegi in presenza che, nella mia percezione, ovviamente soggettiva, ma condivisa da molti, sono stati meno fruttuosi di quelli online: sarà stata la desuetudine al riunirsi in presenza, sarò stato il numero elevato di partecipanti e la sensazione di claustrofobia, ma sono uscito dalle riunioni collegiali di questo a.s. 2022-2023 con un po’ di amaro in bocca. Non ho neanche notato una partecipazione maggiore rispetto a quelli online: se uno vuol dire la propria idea sulla classe o su qualche punto all’ordine del giorno lo farà comunque, non credo sia inibito dal contesto online.

Soprattutto, a mio avviso, andrebbe fatta una riflessione a monte: è tornato tutto come prima? Forse ciò è accaduto per chi viene a scuola a piedi, ha uno stipendio dignitoso dopo tanti anni di servizio e ha il sabato come giorno libero ma, ahimé, per chi abita lontano dal luogo di lavoro i prezzi del carburante, l’aumento dei pasti in bar e ristoranti, le bollette schizzate alle stelle hanno fatto calare una coltre di incertezza sul futuro. I venti di guerra e la possibilità di rimanere senza energia per l’inverno, i cambiamenti climatici con autunni che sembrano estati e nubifragi da tornado americano ci ricordano che dobbiamo attuare quanto prima dei comportamenti virtuosi per la salvaguardia dell’ambiente, che ha molto beneficiato di esseri umani chiusi in casa durante il lockdown (per chi si fosse dimenticato, condivido qui un articolo sulle acque della laguna di Venezia in quei mesi).
Perché quindi non mantenere qualche riunione online anche nei prossimi anni? Quelle con pochi componenti o che prevedono la partecipazione di genitori che vivono magari a 50 km di distanza potrebbero tranquillamente continuare da remoto: è davvero necessario far spostare su gomma genitori e docenti col giorno libero per riunioni rispettivamente di 30 e 60 minuti? Forse davvero le scuole andrebbero chiuse il sabato, virando verso la settimana corsa per non perpetrare la divisione tra docenti figli della serva che vengono a fare riunioni a metà settimana e privilegiati col sabato libero. Ciò permetterebbe, d’altra parte, un risparmio di spesa notevole per gli Enti locali; il sabato ci sarebbero meno auto in circolazione nelle città e si tornerebbe a respirare per almeno due giorni…
Ma, a mio avviso, in tempi di recessione, bisognerebbe guardare al rapporto tra impegno e produttività, con un occhio di riguardo al clima. Siamo davvero sicuri che riunirsi online sia meno produttivo? Parla uno che ha fatto un consiglio di classe in presenza senza poter modificare in diretta un documento per un problema momentaneo al PC della classe dove proiettavo il Piano di lavoro; tuttavia lo stesso discorso, per uscire dall’ambito scolastico, potrebbe essere esteso a un’ impiegata che deve farsi ogni giorno 50 km per svolgere in città parte delle mansioni che potrebbe adempiere comodamente a casa, conciliando vita lavorativa e cura della casa e dei figli, specie piccoli. Ma invece continuiamo a lamentarci dell’inverno demografico!
Molto scalpore ha fatto la dichiarazione di Renato Cucinelli (la trovate qui) sull’assurdità di giornate lavorative di 12-13 ore: per il “re” del cashmere è necessario «ritrovare un equilibrio quotidiano tra lavoro e vita, con il diritto alla disconnessione che deve essere tutelato. Il mio obiettivo è di arrivare a far lavorare 7 ore e mezza ma con la massima concentrazione, senza distrarsi continuamente con lo smartphone. La tecnologia è un dono del Creato, sta a noi saperla usa bene: che bisogno c’è di scriversi 300 mail?».

Credo che tale riflessione possa essere estesa anche alla scuola: veniamo da anni di iperlavoro, di stress legato al digitale notevole, di connessione h24: nulla potrà tornare come prima e la pandemia ha per molti, me compreso, cambiato le priorità. Cerchiamo di mettere al primo posto una scuola di qualità: dal lato studente innovativa, digitale, aggiornata, inclusiva; dal lato docente smart, in cui si cercano di evitare tempi morti, lunghe attese, riunioni inutili, per ricavarsi del tempo libero, da dedicare magari a noi stessi, ma anche a letture, corsi o all’auto-aggiornamento. Non ricadiamo nell’errore di restaurare, nel senso più negativo del termine, una scuola che aveva mostrato da decenni le sue criticità. Ne va del futuro dei nostri studenti, ma soprattutto del benessere loro, ma anche nostro.
Considerazioni lucide, Matteo, assistiamo a una schizofrenia normativa che non lascia ben sperare per il futuro. Cosa ci sarebbe di male nel lasciare i collegi docenti da remoto e perché i ricevimenti genitori hanno questa possibilità? Si comprano digital board da 2000 euro e si fanno corsi di aggiornamento sul digitale, ma poi si ridimensiona la DDI…
Lasciamo perdere le considerazioni sul setting delle aule, tra sprechi e immancabili correnti d’aria.
Concordo inoltre su quello che dici: se un docente è a suo agio sul luogo di lavoro, ne beneficiano anche gli studenti.
Fare chilometri su chilometri (inquinando e affrontando tutti i giorni un traffico micidiale) per delle riunioni è poco lungimirante. Ci vorrebbe semplicemente più buon senso e una maggiore sensibilità per il futuro e i più giovani.
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