Letture per la Giornata della Memoria: “Maus”

«Gli ebrei sono indubbiamente una razza, ma non sono umani» (Adolf Hitler): così si apre Maus, romanzo a fumetti di Art Spiegelman, di cui quest’anno Einaudi celebra i 30 anni dall’uscita del volume conclusivo in lingua originale sulla rivista «Raw» con un’edizione per collezionisti, in cofanetto. Maus va a buon diritto inserito tra i capolavori mondiali della letteratura sulla Shoah, insieme al Diario di Anna Frank e a Se questo è un uomo di Primo Levi, ma raramente fa capolino nelle aule scolastiche; l’impressione è che tutti ne parlino, molti lo citino, ma pochi lo abbiano veramente letto. Spinto da un servizio di Sky news 24 per la Giornata della Memoria del 2021, ho deciso di affrontarlo io stesso per la prima volta nello scorso autunno e di proporlo a una classe quarta come lettura per il 27 gennaio.

Il momento delle selezioni all’ingresso nel campo raccontate nel fumetto “Maus”.

Giova ricordare brevemente per chi non ha mai letto questo capolavoro del fumetto, vincitore del premio Pulizer nel 1992, come si sviluppa la vicenda di Maus. Si può affermare che siano tre i filoni narrativi che si intrecciano nella graphic novel di Spiegelman: in primo piano c’è il difficile rapporto tra Art e il padre Vladek, ricco ebreo polacco che vive in America dopo essere scampato ai campi di sterminio; si tratta di un rapporto complicato, pieno di incomprensioni, soprattutto per il carattere difficile del genitore, ancora traumatizzato per la deportazione e che ha dovuto affrontare, dopo la liberazione, anche il suicidio della moglie Anja. Il secondo nucleo è quello che riguarda il dramma della Shoah: “Artie”, nomignolo per Art, chiede al padre di tramandare i suoi ricordi, di fargli capire in cosa sia consistito l’orrore dei lager nazisti, per creare un punto di contatto sull’unico argomento che non sia fonte di contrasto e di discussione tra i due. Il terzo filone riguarda infine la stesura stessa di Maus, che è un “meta-fumetto”, ovvero un fumetto su come si stende un fumetto: Art inizialmente trascrive i ricordi del padre ma, nel momento in cui questi diventano una sorta di fiume in piena, inizia a registrare e a stendere le strisce in un secondo momento. Nell’ultima pagina del fumetto leggiamo il ricongiungimento tra Vladek e Anja dopo la separazione avvenuta a seguito della deportazione nei Konzentrationslager e un salto temporale al presente, con il padre che chiede al figlio, erroneamente chiamato Richieu (fratello di Art morto durante la seconda guerra mondiale), di fermare il registratore. L’ultima striscia riporta la lapide con la data di morte del padre Vladek e di Anja, a rinforzare l’elemento autobiografico del fumetto.

Devo ammettere che, se paragonato ai romanzi assegnati negli anni precedenti (nello specifico, La notte di Elie Wiesel e Il fumo di Birkenau di Liana Millu) la lettura di Maus sorprende, scorre via veloce, risultando, a mio avviso, quasi straniante per chi abbia già letto opere sul tema. Quali sono le motivazioni alla base di tale straniamento? Forse la presenza di animali come personaggi (ricordiamo che gli ebrei sono topi, i nazisti gatti, i polacchi dei maiali, gli americani cani e i francesi delle rane), ma soprattutto i continui salti temporali tra la rievocazione della storia personale di Vladek negli anni Trenta e Quaranta, e la nuova condizione del dopoguerra, in cui Art Spiegelman, nel nuovo contesto americano ricco e pieno di prosperità, cerca di ricostruire con il padre quei momenti drammatici per ricavarne un fumetto, dal titolo Maus. Di conseguenza la tragicità della vicenda narrata nei flashback, ovvero le persecuzioni e il progressivo isolamento degli ebrei polacchi in ghetti con la successiva deportazione nei campi di sterminio, viene “mitigata” dalle continue interruzioni, rappresentate da momenti di riflessione sulla scrittura del fumetto, sul difficile rapporto tra padre e figlio o sulla relazione burrascosa tra Vladek e la nuova compagna, Mala. Si viene, quindi, immersi poco alla volta nell’universo della seconda guerra mondiale e dei lager, si riemerge dai continui flashback per tornare al presente del tempo della scrittura di Maus, per ritornare nel passato dell’era nazista e così per tutta la durata del fumetto, che ammonta a circa 300 pagine nell’edizione Stile Libero di Einaudi. Il lettore deve quindi mantenere la concentrazione ben salda, per distinguere i diversi livelli temporali su cui si snoda la narrazione.

Non sono un esperto di fumetto, ma la cosa che salta maggiormente all’occhio per i profani aprendo le pagine di Maus è proprio l’asciuttezza della resa grafica, il contrasto tra bianco e nero che immerge in un passato angosciante, a tinte scure; le strisce infatti ambientate ad Auschwitz e Dachau mostrano la prevalenza del nero, a evidenziare un universo concentrazionario in cui il bianco e la luce della speranza sono per il momento sospesi, rappresentano un vano miraggio.

La pagina conclusiva di Maus, con i deportati-topi che indossano l’uniforme

Come sottolinea Lo Bianco, in Maus scorre «un lungo rivolo di inchiostro nero, che non mostra curvature dolci, ma ha sempre spigolature ardite, gomiti nervosi, graffiature che stridono come unghie sulla lavagna». Il tratto di Spiegelman si assottiglia e si ispessisce, senza però mancare di realismo; al contrario, l’uso del bianco e del nero permette di non soffermarsi sul colore, ma di concentrarsi maggiormente sulle scene narrate e sulle parole che vengono inserite a corredo della grafica. Sono parole talvolta dure, che colpiscono ancora di più perché messe in bocca a due topini, come nella celebre battuta tra i due protagonisti: «Ahimé! Temo proprio di non capire». «Sì… Auschwitz nessuno può capire».

Le marce della morte in “Maus”

L’altro elemento degno di nota è sicuramente la lingua utilizzata da Vladek, come si può notare dalla striscia sottostante, paradigmatica del suo modo di esprimersi; una delle difficoltà infatti nella traduzione italiana del fumetto è stata quella di rendere la parlata del reduce che, come scrive Cristina Previtali nella Nota del traduttore, nella versione americana «racconta al figlio la sua storia esprimendosi in un inglese che ricalca le strutture sintattiche del polacco e che […] è colorito da alcuni elementi appartenenti alla lingua yiddish parlata dagli ebrei dell’Europa orientale». Dopo una serie di studi sulle conversazioni di persone linguisticamente affini a Vladek, ma residenti in Italia, si è giunti a creare un personaggio che parla un “italiano sgrammaticato”, con l’assenza di articoli, un uso non sempre corretto dei tempi verbali, l’abolizione dei pronomi personali e la ripetizione marcata del deittico “questo”. Anche se, come affermò Martin Heidegger, «ogni traduzione è un tradimento», in Maus questo non “penalizza” la lettura, ma crea la memorabilità del personaggio di cui, una volta terminata la lettura, si ricorderà sempre il modo di esprimersi stentato, a dimostrazione di come il linguaggio abbia difficoltà a esprimere l’inesprimibile, ovvero l’orrore della Shoah.

Perché quindi proporre Maus come lettura domestica preparazione alla Giornata della Memoria? Secondo me sono tre i motivi per assegnare questo romanzo a fumetti per il 27 gennaio.

Anzitutto il genere: per gli studenti, sempre più disaffezionati alla lettura di romanzi, specie quelli a tema Shoah, spesso visti come drammatici e “pesanti”, immergersi nelle pagine di Maus rappresenta una novità, ma anche la dimostrazione che il fumetto non rappresenta soltanto un genere di evasione, di intrattenimento, ma può anche essere usato per riflettere su una delle tematiche più strazianti della storia umana, ossia lo sterminio di 6 milioni di ebrei perpetrato dalla Germania nazista. Proporre un fumetto come lettura per la giornata della Memoria dimostra come non solo la letteratura tradizionale, ma anche altre forme d’arte (cinema, fotografia, teatro…) possono raccontare un momento tra i più bui della storia umana, in forme diverse, non necessariamente migliori di un libro, ma che sono in grado di offrire una chiave di lettura alternativa. Interessante è poi il confronto con alcuni dei temi conduttori della memorialistica sulla Shoah: le selezioni, la cerimonia delle scarpe, la condizione femminile, le marce della morte, che vengono affrontati in Maus in un’ottica nuova, ma con un senso critico che non indulge nel patetismo, quanto nel realismo di chi in quelle condizioni aveva un solo obiettivo: resistere.

In secondo luogo il tono e la commistione tra invenzione e realtà: Spiegelman rappresenta nel suo fumetto gli Ebrei come dei topi, ricevendo delle critiche dall’intellighenzia ebraica, che vedeva questi disegni come irrispettosi nei confronti dei sei milioni di morti. In verità il fumettista non avrebbe potuto scegliere un animale più adatto, più “realistico”: i nazisti vedevano infatti gli ebrei come un virus, una piaga da debellare e cancellare: bisognava disinfestare l’Europa dagli ebrei, così come si disinfesta un appartamento dai roditori . Quando i nazisti ammazzavano tutti gli ebrei dicevano che il territorio era Judenrein “pulito”, “puro dagli ebrei”. Tuttavia, a differenza di romanzi come La notte o Il fumo di Birkenau, l’angoscia in questo romanzo viene sostituita, a mio avviso, da una maggiore consapevolezza e la componente razionale si sostituisce a quella patetica e tragica, su cui spesso indulgono i racconti dei reduci. Se si assegna questa lettura in classe quinta, proficue sono le connessioni con Animal Farm di George Orwell e la possibilità di lavorare su echi e interconnessioni tra “letteratura alta” e fumetto.

Da ultimo, uno dei motivi principali per leggere Maus consiste nel personaggio di Vladek, padre del fumettista, Artie: nel suo racconto, egli non si sofferma su particolari strazianti, a volte contraddice le testimonianze sui campi di sterminio (si pensi a quando riferisce di non aver sentito alcuna orchestrina suonare ad Auschwitz), ci dimostra come gli ebrei non siano “tutti da santificare” né considerabili come “modelli martiri”: il personaggio è scorbutico, avarissimo, intrattabile, con derive razziste.

La famiglia Spiegelman, immagine reperibile all’url https://metropolitanmagazine.it/maus-il-racconto-di-un-sopravvisuto/

Il sopravvissuto è quindi un tipo umano con cui è facile identificarsi, mantiene un realismo che lo fanno davvero sembrare una persona della porta accanto (lo stesso non si può dire, per esempio, di Elie Wiesel e di Primo Levi, dei “giganti” con un’aura quasi di mito). Ciò fa sicuramente riflettere i lettori (e gli studenti) sullo statuto del sopravvissuto e, in generale, sulle ferite indelebili che un evento come la deportazione nel campo di sterminio può lasciare. E ci fa comprendere che il ricordo, anche se frammentario, tutto da ricostruire, personale e talvolta contradditorio deve essere sempre un mònito affinché la Shoah resti “storia” e non si ripresenti, magari in forme nuove, nel XXI secolo.

2 pensieri riguardo “Letture per la Giornata della Memoria: “Maus”

  1. Interessante sguardo su qualcosa che ai giovani non interessa più, purtroppo. Li trovo disinteressati a tutto: al dolore, alla lotta, alla morte provocata, alle torture, alla libertà ritrovata per i sopravvissuti.

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  2. Ottima analisi del testo cult di Spiegelman, Matteo, un testo che mi ha fatto scoprire alcuni anni fa la mia tutor durante l’anno di prova. In effetti è doveroso soffermarsi sulla Shoah nel giorno della memoria, ma spesso non si riesce a entrare nei cuori degli studenti e lasciare un ricordo significativo. Penso non si debba puntare troppo alto (proponendo testi come Il lungo viaggio di Jorge Semprun, Modernità e Olocausto di Bauman, o film d’essai come Il figlio di Saul), ma nemmeno riciclare le solite attività. Vedere La vita è bella, Un sacchetto di biglie o Lezioni di persiano può essere un modo per venire incontro al target delle nuove generazioni, ma il fumetto è un medium con dei pregi indiscutibili. Da lettore di manga posso dire che il b/n è una tecnica icastica come poche, Maus una volta letto resta impresso nella memoria proprio per la sua estetica scabra e diretta. Fai bene anche a sottolineare l’aspetto straniante, postmoderno e metaletterario dell’opera, non è facile fruirne ma in questo sta la vera sfida. Interessante la lettura che dai dell’idioletto di Vladek, una lingua zoppa che sta a indicare la difficile verbalizzazione di quanto vissuto nei campi di sterminio… Quasi quasi mi procuro l’edizione del trentennale.

    Ps ci sono anche altri bei testi a fumetti, penso a Gli ultimi giorni di Pompeo di Andrea Pazienza ma anche a quelli di Zerocalcare, attualmente diventato famoso dopo la serie tv su Netflix Strappare lungo i bordi.

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