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Educazione civica e moduli interdisciplinari
Tra i momenti più penosi dei consigli di classe di settembre e ottobre c’è sicuramente la programmazione dell’UDA interdisciplinare che si svilupperà nel corso dell’anno scolastico; inserito solitamente in coda all’ordine del giorno, dopo la compilazione di PDP BES, DSA, PEI e altre amenità, questo punto dà vita a scene da commedia, caratteristiche, d’altra parte, della scuola italiana. Tipicamente, in questa sede, si delineano due fazioni: da una parte ci sono i colleghi che, spinti da motivazioni didattiche o, secondo me, utilitaristiche, non sono minimamente interessati a contribuire al modulo comune; dall’altra parte c’è chi, invece, mosso dalla possibilità di collaborare su uno snodo tematico multidisciplinare, ha già completato la tabella predisposta preventivamente su piattaforma (Drive, Teams) dal malcapitato coordinatore di classe e, in sede di consiglio, si prodiga sempre in proposte operative e partecipa attivamente alla discussione.

Avrete capito leggendomi che io sono sempre nel partito dei cosiddetti “fessi”, o meglio, “idealisti“, e mi piace partecipare a moduli interdisciplinari e proporre UDA con prodotti finali che, solitamente, suggerisco ai colleghi; non si tratta di voler fare il secchione, quanto dimostrare come quella collaborazione che richiediamo sempre agli studenti tra le competenze di cittadinanza (adesso orientative) dovrebbe caratterizzare pure il nostro agire didattico. Per quanto concerne la letteratura italiana del triennio il gioco è per me facile, meno per la lingua e cultura latina, in cui bisogna ovviamente tenere in considerazione l’ostacolo linguistico e il livello di partenza della classe.
Così, negli ultimi anni, a causa di tali timori, non avevo proposto alcun contenuto nei moduli interdisciplinari o UDA (a volte la differenza è labile) del biennio, ma lo scorso anno, mosso dall’interessante tema dei rifiuti o del riciclo (che si lega all’Obiettivo 12 di Agenda 2030) ho pensato a un modulo di civiltà latina, contando nelle risorse della rete e ricordandomi, vagamente, in quella sede, della presenza di alcune riflessioni (moraliste) sull’invadenza dei rifiuti a Roma e sull’esaurimento delle risorse. Il Coordinatore di classe prima, felice della proposta, che permetteva anche di raggiungere le agognate 33 ore di Educazione Civica, mi ha chiesto il monte ore e io, baldanzoso, ho ipotizzato 6 ore per sviluppare questa tematica che prevedesse, dopo la presentazione storica, la lettura di testi in lingua latina, la loro analisi e attività allegate.

Una piacevole scoperta
Come ricordava il compianto Franco Gavazzeni, all’inizio «nessuno sa niente», e quindi a febbraio, dopo aver affrontato la terza declinazione e i tempi derivanti dal tema del perfectum, ho dovuto “mettere la testa” su questo modulo per me completamente nuovo, che ho deciso di intitolare “I Romani e i rifiuti”. L’obiettivo era di agganciarlo ad altre attività della classe, nello specifico la visita in un centro di raccolta e riciclo dei rifiuti e la partecipazione a un interessante laboratorio di Bergamo Scienza sul riutilizzo di scarti alimentari. Credo infatti sia importante promuovere nelle nuove generazioni comportamenti virtuosi per quanto riguarda i rifiuti, perché ne va della nostra casa comune, la Terra, che sta per essere letteralmente “seppellita” (vedi foto sotto) dalla mole di immondizia che produciamo ogni giorno.

La ricerca che poi ho effettuato in preparazione al modulo, al netto delle ore spese al PC a preparare presentazione e dispensa, è stata molto gratificante e mi ha consentito di conoscere testi e fonti a me ignote; questo tempo è sempre per me prezioso e mai buttato, dal momento che ogni docente dovrebbe avere come modus operandi quello di ricercare, selezionare il sapere, proporre attività sempre nuove, per non morire intellettualmente schiacciato dalla burocrazia e dalla modulistica soffocante che la scuola ci richiede, talvolta inutilmente (ne parlo qui)
Una premessa storica necessaria
Come sempre accade, la cultura latina, specie quella materiale, si lega alla storia e, nello specifico, ai contesti in cui si sviluppa. Così, prima di passare a testi epigrafici e letterari che analizzano il problema dei rifiuti e del loro riciclo nel mondo antico, è opportuno presentare, ahimé, frontalmente, la nascita del problema dello smaltimento dei rifiuti, partendo dall’Oriente, dal cruciale passaggio dall’uomo nomade a stanziale (con cenni), per poi passare all’antica Greca. A Roma, com’è noto, erano presenti emergenze ancora attuali: l’aria era spesso irrespirabile, l’acqua contaminata, i rifiuti si accatastavano ai bordi delle strade e la densità demografica era elevata, tanto che Orazio condannava la crescita di case private lussuose che avevano causato un disboscamento e la scomparsa delle terre coltivabili.
Un elemento interessante è quello della numismatica: i ragazzi sono sempre affascinati dalle monete e, in questo caso, dalla rappresentazione di divinità collegate alle questioni legate all’ambiente e ai rifiuti: solo per ricordarne alcune, Stercus era il dio protettore dell’immondizia e dello sterco, Crepitus proteggeva dalla flatulenza, mentre Venus Cloacina era la divinità protettrice delle fogne, delle latrine e dei luoghi di spurgo. Giova sempre ricordare, in questa sede, l’etimologia di lieto, che riconduce a laetamen, dal momento che il letame era visto come qualcosa di felice, che donava abbondanza ai raccolti e, quindi, anche all’uomo. Saturnus Sterculius era venerato dai Romani i 15 giugno, giorno in cui si dava vita a una processione particolare: a Roma portavano carri di sterco davanti al tempio di Vesta e lì si gettavano il contenuto in alcuni pozzi (i mundi).

La Roma antica veniva poi pulita dagli edili, magistrati dello Stato. Dal III secolo a.C. spettava loro coordinare il lavoro di alcuni funzionari pubblici addetti alla pulizia delle strade (gli stercorarii), che si avvalevano dei plostra stercoraria, carri destinati a raccogliere le immondizie (una loro parte organica veniva rivenduta come fertilizzante). Non tutte le aree, infatti, erano collegate con le fogne ed era necessario il loro intervento.
Le vecchie discariche dell’età Repubblicana, a Roma, erano i puticula. Qui venivano buttati resti di vasellame, rifiuti, carcasse di animali, corpi di schiavi e le vittime dei giochi. Erano, dunque, un misto tra una discarica e una fossa comune. Proprio questa criticità ambientale rendeva l’area irrespirabile. L’archeologo Rodolfo Lanciani ha trovato un scritta vicino a un cippo, con scritto: «Porta la sporcizia un poco più lontano; altrimenti sarai multato».
Non sono mancati i decreti pretorili su una puticula all’Esquilino che la precludevano alle sepolture e ne davano alcune regolamentazioni sanitarie. Dopo aver analizzato i casi del Testaccio, chiamato dai Romani Mons Testaceus, in quanto consisteva in 45 metri di testae (“cocci”) che erano state accumulate nei secoli dai trasporti delle merci che arrivarono all’Emporium, al porto di Ripa Grande, e della Cloaca Maxima (foto sotto), è opportuno passare, finalmente, ad alcune testimonianze epigrafiche e letterarie sul tema dei rifiuti.

Il CIL e le epigrafi pompeiane
Un argomento che colpisce sempre gli studenti è quello delle epigrafi latine, raccolte nel CIL, acronimo di Corpus Inscriptionum Latinarum; dopo aver esposto brevemente l’attività di catalogazione coordinata da Theodor Mommsen, è interessante far vedere ai ragazzi alcune epigrafi del Liber Quartus che, com’è noto, contiene le migliaia di iscrizioni di Ercolano, Pompei e Stabia, che raccontano la storia di queste città sepolte dalla lava nel 79 d.C. per l’eruzione del Vesuvio.
Una categoria di iscrizioni che si trovava di frequente lungo i muri che davano sulle strade è quella delle minacce nei confronti del cacator (scusate il francesismo, il “cagatore”), ovvero del passante che, non volendosi allontanare troppo dal ciglio della via, si liberava, per così dire, del proprio fardello dove gli faceva comodo, magari davanti alla porta di un’abitazione o presso una tomba. Qui una serie di iscrizioni tradotte (per altre, la fonte è questa).
CACATOR CAVE MALUM: “GUAI A TE CAGATORE!”*
TU CHE HAI INTENZIONE DI CAGARE QUI, POSSA AVERE FORZE SUFFICIENTI PER ANDARE A FARLA UN PO’ PIÙ LONTANO.
A Pompei ci sono poi diverse iscrizioni che disciplinavano lo smaltimento dei rifiuti, come questa, dell’edile Paolo Marco Aficio, che dispone così: «Se qualcuno volesse in questo luogo gettare sterco, sia avvertito che non è lecito farlo; se qualcuno contro questo comportamento fa delazione, i liberi versino un nummo destinato in dono e i servi siano puniti a frustate sul posto». Due iscrizioni interessanti sono legate allo smaltimento dei rifiuti, in questo caso organici.
Exemta stercora assubus IX > ““Escrementi portati via per 9 assi”
Eupremus stercus effundo et rotā > “Io Eupremo spargo letame con il carro”
Assaggi di letteratura e rifiuti
Ma la parte forse più interessante, anche in ottica triennio, è quella che analizza la tematica dei rifiuti e del loro smaltimento in autori canonici della letteratura latina. Ci sono infatti diversi riferimenti letterari che rimandano alla cura delle vie della città in età romana. Nella commedia Stichus di Plauto, Pinacio è in preda alle pulizie della strada e inizia a farlo così tanto che Gelasimo nota come «anche senza i voti del popolo» eserciti «le funzioni di edile». Marziale parla di cadaveri abbandonati lungo le strade e Svetonio del cavallo dell’imperatore Nerone che si impennò ex odore abiecti in via cadaveris.
Tappa obbligata di questo percorso è la frase latina pecunia non olet, di cui si mostrerà la derivazione da un passo, sempre di Svetonio, inserito nel De vita Caesarum; l’imperatore Vespasiano aveva infatti imposto una tassa (vectigal, vectigalis) sull’urina (urina, ae) raccolta nelle latrine private, perché da questa veniva ricavata l’ammoniaca la quale è fondamentale per la concia delle pelli.
Reprehendenti filio Tito, quod etiam urinae vectigal commentus esset, pecuniam ex prima pensione admovit ad nares, sciscitans num odore offenderetur; et illo negante: «Atqui, inquit, e lotio est».
Ma interessante è anche introdurre la figura di Giovenale, che nella terza satira racconta la pericolosità di aggirarsi per Roma di notte, a causa del pericolo di vedersi rovesciate le deiezioni notturne degli abitanti della strada:
Subiti casus inprovidus, ad cenam si
intestatus eas: adeo tot fata, quot illa
nocte patent vigiles te praetereunte fenestrae.
ergo optes votumque feras miserabile tecum,ut sint contentae patulas defundere pelues.
In questi pochi versi, da tradurre insieme all’insegnante, è interessante notare alcuni vocaboli: intestatus significa, letteralmente, “senza testamento”, mentre fata “le occasioni di morte” che possono capitare, te praetereunte fenestre, con un bell’ablativo assoluto, magari da introdurre en passant.
Dal riciclo alla sostenibilità
Ma per completare un modulo che, se basato unicamente sui rifiuti, potrebbe sembrare un po’ striminzito, è opportuno fare un affondo sul rapporto tra Romani e ambiente; il punto di riferimento è questo approfondimento di Hortus apertus, antologia edita da Cappelli (file qui), in cui sono presenti interessanti riferimenti letterari che certificano come, già in età romana, fossero evidenti gli abusi edilizi e, in generale, condotte volte a sfruttare la terra per il profitto umano.
Secondo l’Orazio (I secolo a.C.) dei Carmina, costruire palazzi sul mare, dopo averlo colmato con enormi massi, non è solo una stramberia tipica di un riccone che s’annoia di abitare sulla terraferma (terrae fastidiosus), ma rappresenta una violazione dell’ordine naturale.
Contracta pisces aequora sentiunt
iactis in altum molibus: huc frequens
caementa demittit redemptor
cum famulis dominusque terrae
fastidiosus…
Interessanti sono anche le considerazioni di Sallustio che, con un habitus da moralista, critica gli sperperi in abusi edilizi dei ricchi romani e il conseguente scempio dell’habitat naturale; egli si sofferma inoltre su uno degli aspetti che caratterizzano il mondo contemporaneo, ovvero le disuguaglianze economiche, oggetto di una recente report di Tortuga, think tank indipendente nato dall’iniziativa di giovani ricercatori e ricercatrici, studentesse e studenti di Economia e Scienze sociali (recupera la ricerca qui). Sentiamo quindi la voce dell’autore del Bellum Catilinae.
Etenim quis mortalium, quoi virile ingenium est, tolerare potest illis divitias superare, quas profundant in extruendo mari et montibus coaequandis, nobis rem familiarem etiam ad necessaria deesse? Illos binas aut amplius domos continuare, nobis larem familiarem nusquam ullum esse? (Cat. 20, 11)
Sallustio contrappone qui due tipi umani, quelli che spianano montagne e costruiscono ville sul mare e, dall’altro, i proletari, a cui mancano (deesse) anche le risorse per sopravvivere. Si tratta, ahimé, di una situazione che si sta perpetuando anche nell’Italia (e nel mondo) di oggi, dove una fetta ridotta di ricchi si contrappone a una stragrande maggioranza della popolazione che fatica ad arrivare a fine mese.

Il percorso si è poi chiuso con un passo tratto dal cap. XXXIII della Naturalis historia di Plinio il Vecchio, in cui si evidenzia la voracità dell’uomo di scavare sottoterra per trovare dei frutti e delle ricchezze che la terra darebbe spontaneamente. Lascio quindi la traduzione in italiano, su cui impostare un questionario:
Noi entriamo nelle viscere della terra, cerchiamo ricchezze nella sede dei Mani, come se poco fertile essa fosse, e poco benevola con noi, dove la calchiamo sotto i piedi. Fra queste cose che si cercano, il meno è per la medicina; chi infatti si mette a scavare per trovare medicinali? La terra che non è avara in nessuna sua parte, ma accondiscendente e cortese di tutto quanto ci sia utile, ci dà tali cose alla sua superficie. Noi invece ci sforziamo e ci spingiamo fino all’inferno per raggiungere quanto essa ha nascosto nel suo profondo, le cose che non nascono in breve tempo. La mente umana, che vola fino alle cose vane, pensi quale fine debba esserci di vuotarla per tutti i secoli, fino a qual punto l’umana avarizia dovrà penetrare. E d’altronde, quanto innocente, felice, delicata sarebbe la nostra vita, se non desiderasse altro che quello che sta alla superficie della terra, niente altro che quello che le sta accanto.
Verificare e valutare
A fine modulo, ho voluto verificare le conoscenze, le abilità e le competenze attraverso una prova scritta, che ho impostato in modo semistrutturato, con domande quindi a risposta chiusa e altre aperte; si tratta di una prova di verifica piuttosto standardizzata, ma che risulta sempre utile per valutare compiutamente (e in modo abbastanza oggettivo) l’acquisizione dei saperi del modulo. La strutturazione è la seguente:
- una batteria di domande V/F, con alcuni distrattori;
- una serie di termini latini caratterizzanti il modulo, da tradurre e spiegare;
- citazioni di testi letterarie e non da commentare;
- traduzione di lessico di base.
Per chi è riuscito ad arrivare (quasi) in fondo a questo articolo-mattone, il meritato premio, ovvero la prova da scaricare in word (clicca qui).
Un bilancio
Questo modulo per me ha rappresentato una sfida: non sono un esperto di civiltà latina, neppure di rifiuti e di riciclo, ma devo però ammettere che questo modulo di civiltà, inserito in un’UDA interdisciplinare complessa, ha dato dei risultati positivi, sia in termini di risultati (non si sono registrate insufficienze, dato anche il livello alto della classe) sia in termini di feedback da parte degli studenti, che hanno chiesto quali altri argomenti di civiltà verranno affrontati in seconda (spoiler: i Romani e il cibo).
Soprattutto l’elemento interessante è stato uscire, per qualche ora, già in prima liceo, dal recinto della grammatica e scoprire che declinazioni, coniugazioni, valenze del verbo, tempi verbali servono per leggere e tradurre una parte della nostra civiltà, che ci parla di tematiche ancora oggi attuali. Particolarmente proficuo, a mio avviso, è stato l’affondo su Plinio il Vecchio e, in generale, il parlare di scienza e di problemi ambientali attraverso la lingua latina. Nel Liceo scientifico, ahimé, il latino, nonostante le 3 ore settimanali per 5 anni e il monte ore maggiore di Scienze (!) ricopre ancora il ruolo di Cenerentola e, quindi, una strada percorribile sarebbe quella di cercare quanto più di curvare la disciplina all’indirizzo in cui è inserita (aspetto che ho notato anche nell’Esame d Stato al Liceo Mascheroni).

Quindi, all’atto pratico, è doveroso cercare di valorizzare testi di ambito scientifico e autori quali Catone, Lucrezio, Plinio il Vecchio, il Seneca delle Naturales Quaestiones, alcune lettere di Plinio il Giovane, per dare anche la possibilità di collegamenti interdisciplinari all’Esame, sperando, nel frattempo, che cambi la strutturazione del colloquio orale. Ne va, a latere di tutto, della sopravvivenza del latino in indirizzi che non siano il classico. Temo che, se non cerchiamo di curvarlo alla scuola in cui insegniamo, sarà visto sempre come un “corpo estraneo”, da evitare (ed eliminare).
come concili questo stupendo modulo con le indicazioni per l’educazione civica che non prevederebbero (sigh!) né lezione frontale né una verifica sommativa “classica”, bensì un prodotto reale? il liceo dove insegno quest’anno è stato categorico a riguardo… anzi il prodotto finale deve essere unico e comprendere tutte le materie
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come concili questo stupendo modulo con le indicazioni per l’educazione civica che non prevederebbero (sigh!) né lezione frontale né verifiche “classiche” bensì un prodotto finale unico che comprenda tutte le materie e che sia concreto/pratico/autentico?
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Questa indicazione non mi è mai arrivata, nel senso che questa è una valutazione in itinere di una uda ma non un prodotto finale…io faccio così da sempre se propongono delle attività di civica in un modulo interdisciplinare
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