Travolti dalle “scartoffie”: essere insegnanti oggi

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Un inizio shock

L’inizio di anno scolastico rappresenta sempre un banco di prova per gli insegnanti, specie per quelli che razzolano nel cortile della scuola da un po’ di tempo; nel corso del tempo ho capito che si tratta, in realtà, di una prova di resistenza, una sorta di crash-test, superato il quale si diventa idonei a concludere l’anno che, come dice un mio collega, si avvia alla sua conclusione già dopo la campanella che chiude il primo giorno di scuola…

Con ancora i segni dell’abbronzatura e i ricordi di una lunga (…) estate di riposo, veniamo catapultati in collegi docenti infiniti, nel mezzo di riunioni di indirizzo dadaiste, in classi nuove in cui ci viene richiesto di ricordare tempo zero i cognomi dei malcapitati alunni pena essere considerati affetti da Alzheimer precoce; siamo travolti da comunicazioni su comunicazioni (mediamente 3/4 al giorno) che intasano la Bacheca di quell’ambiente infernale che è il registro elettronico Spaggiari, non a caso rosso come una bolgia infernale.

Ma il bello deve ancora venire: i consigli di classe del primo periodo rappresentano, a mio avviso, molto bene, lo scadimento di una professione che dovrebbe essere di cura e intellettuale, a mero burocrate, cui è richiesto di compilare scartoffie, riempire moduli, essere aggiornato sulla normativa vigente e piegarsi a quel carrozzone (o frullatore) che è la scuola italiana, tra PCTO, Orientamento, Educazioni varie, in una marginalizzazione senza fine delle discipline.

L’insegnante di lettere: intellettuale o miglior burocrate possibile?

Con 6 o 7 ore a disposizione (financo 9 o 10 al biennio), il professore di lettere si trova poi spesso a diventare il Coordinatore della Classe; vedere gli studenti per un monte-ore così elevato permette, infatti, di indagare bene le dinamiche interne, prevenire episodi di bullismo, prendersi cura degli studenti più fragili e, in generale, di “avere il polso” della classe. In certe scuole vige ancora la (brutta) consuetudine di somministrare tracce di temi “personali”, vero e proprio sfogatoio versato sul malcapitato docente, che però riesce a conoscere aspetti e pieghe dei suoi studenti sconosciuti ai colleghi del consiglio di classe. Se questo è un compito, diciamo, nobile, ben diverso è quello che si riversa sul docente di lettere nel ruolo di coordinatore: una mole di moduli da compilare che ne fanno, per riprendere le parole della mia collega Emanuela Bandini, una sorta di Amministratore Delegato di un’azienda, ma con il terzo dello stipendio.

Ricordo ancora con angoscia gli anni da Coordinatore al Liceo Linguistico, specie in classe quarta; alla modulistica che già travolge in classi ordinarie, si aggiunge quella degli studenti che frequentano l’anno all’estero, tra contatti con tutor scolastici, validazione dei piani di studio, riconversione dei crediti al rientro, colloqui di riallineamento. E chi meglio del docente di Lettere per gestire tutta questa modulistica e burocrazia? Si sa, ha a che fare con l’italiano e i testi: svolgerà il suo ruolo in modo impeccabile.

Moduli, moduli, moduli (con sottofondo di Mina)

Liceo linguistico a parte, un qualsiasi docente di scuola superiore, a ogni latitudine, deve gestire nei primi mesi dell’anno una mole di documenti e di burocrazia debordante e in continuo aumento ogni anno. Provo quindi a delinearla, sperando di non dimenticarmi qualcosa:

  • programmazione individuale (per tutti)
  • piano di lavoro di classe (se coordinatore)
  • progettazione di unità comuni / unità di apprendimento (per tutti, ma perfezionate dal coordinatore)
  • presentazione di progetti per l’arricchimento dell’offerta formativa (vuoi non farli?)
  • predisposizione di PDP o PFP (per studenti sportivi di alto livello) (se coordinatore, ma compito di tutto il consiglio di classe)
  • modulo di disponibilità (o non disponibilità) per sportelli di recupero (per tutti)
  • compilazione tabelle di Educazione Civica (docenti e coordinatore)
  • compilazione tabelle per l’Orientamento (docenti e coordinatore)
  • presentazione modelli per viaggi d’istruzione o visite didattiche (se organizzatore o coordinatore)
  • presentazione candidature per commissioni o funzione strumentale

Potrei aver omesso qualche modulo, ma questi sicuramente circolano in tutte le scuole italiane e mi sembra siano già troppi per non distrarci dal vero centro del nostro lavoro: la relazione educativa con gli studenti e la progettazione disciplinare.

Le parole di Luperini

Quando penso al tempo che ci viene sottratto (e non ditemi che l’AI può stendere questa modulistica perché non è possibile data la specificità di tali forms), ripenso sempre alla visione dell’insegnante che Luperini aveva espresso nel volume Il professore come intellettuale e nell’intervento intitolato Lettera agli insegnanti, pubblicato nel febbraio del 2023, sul blog che dirige, laletteraturaenoi.it

L’articolo (recuperalo qui) è quasi commovente nelle parole e, soprattutto nei toni con cui il Professore si rivolge agli insegnanti per elevarli dalla condizioni di burocrati a quella di promotori di democrazia, mediatori culturali:

Lo studio della letteratura insomma è anche educazione civile, insegnamento di democrazia: a tutti è data la possibilità di parlare liberamente e di interpretare un testo, ma prima ognuno deve sapere ciò di cui si parla, conoscere l’argomento su cui prende la parola. La classe come “comunità ermeneutica” presuppone questa partecipazione collettiva interpretante e questa scuola democratica.

Per annullare o ridurre questa funzione democratica sempre più si tende a trasformarvi in tecnici dell’insegnamento, in impiegati che hanno smarrito o devono comunque smarrire la funzione intellettuale di interpreti di testi e di mediatori culturali. È un vero e proprio declassamento non solo del vostro ruolo, ma della cultura e della stessa letteratura.

Sono concetti, d’altra parte, ricorrenti nella riflessione luperiniana e presenti già nel volume, per me imprescindibile, intitolato Insegnare la letteratura oggi; nel cap. 2, scrive: «Al posto del docente intellettuale si sta affermando il docente burocrate impegnato senza fine in prove di verifica iniziali, in itinere, conclusive; al posto del rigore ermeneutico dilaga l’intrattenimento che trasforma l’insegnante di italiano in un dilettante di musica, di teatro, di cinema, di sessuologia, di storia dell’arte…Non possiamo non chiederci come sia potuta verificarsi tale pericolosa deriva. Essa è stata ovviamente favorita da esigenze politiche volte a subordinare la scuola a criteri economici trasformandola in una sorta di attività manageriale e di supermarket» (R. Luperini, Insegnare la letteratura oggi. Quinta edizione ampliata, Manni, Lecce 2013, p. 24).

Non oso però immaginare cosa potrebbe scrivere Luperini dopo essere entrato in questi anni in una qualsiasi aula scolastica o partecipando, magari da uditore, ai consigli di classe…

Spazi di resistenza da mantenere?

Esistono, però, come afferma Luperini, «degli spazi di libertà, sempre più marginali»; lo spazio di resistenza, a mio avviso, è la dimensione della classe, l’incontro con gli studenti, la discussione dei testi letterari, la ricerca di un senso e di un’attivazione dei cervelli, cercando di non affidarsi, ciecamente, a quel web a cui dovremmo educare.

Il problema è che nella scuola attuale, molti docenti, e li capisco, stanno progressivamente abdicando al loro ruolo, consegnandosi, forse per stanchezza o per frustrazione, alla fabbrica dei progetti, all’adesione indiscriminata a ogni iniziativa piovuta dall’alto (Regione, USP, Università, Carabinieri, Polizia, Alpini e potrei andare oltre), alla rinuncia alle discipline. Se però pensiamo che il nostro ruolo possa essere sostituito da un webinar o dall’incontro con un esperto di turno, possiamo tranquillamente, a mio avviso, chiudere le scuole, dato il valore nullo che attribuiamo alla nostra professionalità.

Ricordo ancora una discussione avuta negli scorsi anni con un collega che stava facendo approvare al consiglio di classe l’ennesimo progetto di PCTO, che si sarebbe scagliato, come una mannaia, sul monte-ore delle mie discipline; nella mia ingenuità, gli dissi: «Ma a te non dà fastidio perdere ore di lezione? Come possiamo promuovere competenze disciplinari se alla fine smettiamo di insegnare e ci affidiamo sempre di più all’esterno di turno?».

I contenuti disciplinari: chiamiamo “Chi l’ha visto?”

Mi capita spesso di riflettere anche su questo aspetto: «Ma perché a scuola non si parla più di letteratura, di storia, di attualità, di arte, ma solo della scuola stessa?». E ancora: «Da quando i docenti non sono più partecipi del dibattito intellettuale, ma si sono ridotti a burocrati compila registro e modulistica varia, rigorosamente online?».

Un colpo grosso, a mio avviso, è stato inferto dall’introduzione, in questi ultimi anni, dell’ex ASL (“Alternanza scuola lavoro”), ora PCTO (“Percorsi per le competenze trasversali e l’Orientamento”) e dell’Orientamento (mi taccio sull’Educazione Civica, non per le modalità “da minestrone” con cui viene gestita, ma perché riesce a stimolare la mia creatività e ha fatto meno danni di altre “Educazioni”). Oltre alla modulistica che ricade sul povero coordinatore e sul tutor di classe, si è rinforzata l’idea che, alla fine, le discipline (e, quindi, i docenti) non servano a nulla e si possa tranquillamente asciugare tutto per dare spazio alle esperienze davvero importanti: gli stage in azienda, il Carabiniere di turno che viene a scuola e gli incontri con esperti dei percorsi post-diploma. Nel corso OrientaMenti, d’altra parte, si ribadiva incessantemente che (cito) «le discipline vanno attraversate», perché, cito di nuovo, «non hanno valore in sé», ma per la capacità di stimolare riflessioni dello studente su sé stesso e il mondo che lo circonda. Lascio al lettore ogni giudizio, perché ogni mia riflessione sarebbe superflua.

Ricorderò sempre uno sbotto della collega di Storia che, all’ennesimo progetto proposto sulla classe, si mise a polemizzare dicendo: «Va bene, però poi non chiedetemi di spiegare il Fascismo in due ore»; erodere i contenuti, come si sta facendo nella scuola attuale, è un attentato alle democrazia, alla creazione di menti pensanti, che siano dotati di strumenti per comprendere la realtà che li circonda. A queste menti stiamo sempre più offrendo un omogeneizzato, con le conseguenze che vediamo tuttora dai dati sulla comprensione del testo e dall’analfabetismo di ritorno.

In quale sala insegnanti si discute dell’ultimo libro letto? In quale scuola, davanti alle macchinette del caffè, si condivide l’ultima mostra visitata o l’articolo letto su «Internazionale»? In quale consiglio di classe si progetta sui contenuti, si crea sinergia sui saperi disciplinari? Siamo tutti occupati nel compilare moduli ed essere ligi al dovere (io stesso lo sono, lo ammetto), che perdiamo di vista il centro del nostro lavoro, anzi i due centri: l’incontro con adolescenti in formazione e la presentazione di contenuti disciplinari, aggiornati, precisi, dettagliati. Tuttavia, a mio avviso, venendo meno l’approfondimento di questi ultimi, la qualità dell’istruzione cala notevolmente: un docente che non si forma, che non legge, che passa i pomeriggi a compilare moduli non è il docente ideale per i suoi studenti: lo è forse per la macchina-scuola, ma non per gli utenti della scuola stessa.

Fare scuola di qualità costa e (forse) non serve

Venerdì 26 settembre era la mia mattinata libera (non uso, volutamente, giorno libero, perché, come ricordava la mia Vicepreside, non esiste) e l’ho dedicata, nella prima parte, alla compilazione di diversi moduli, dal momento che sono coordinatore di una classe quinta, che esige la stesura di piano di classe e di varia modulistica, relativa a PCTO e Orientamento. Dalle 11, però, terminata questa burocrazia (che svolgo con cura per rispetto dell’Istituzione per cui lavoro e per agevolare i colleghi che ricoprono le due funzioni strumentali), mi sono potuto finalmente dedicare ai leggiadri studi e ad approfondire l’operetta morale di Leopardi Il Copernico, sviluppando, secondo la mia fissazione di “anticipare il Novecento”, una connessione con Pirandello. In ciò vedo il senso del mio lavoro e, d’altra parte, quello per cui ho studiato: attraverso la letteratura far esplorare mondi, scoprire sé stessi, la relazione con gli altri, interrogarsi sui temi dell’attualità. Non da ultimo, lo ripeto sempre, abbiamo il compito di trasmettere un patrimonio culturale che ci deve far essere orgogliosi di essere italiani: possiamo farlo studiando la letteratura, i testi, la storia, non sicuramente assistendo alla conferenza dei Vigili del Fuoco o della Guardia Forestale, o spendendo ore e ore in insulsi webinar della Camera di Commercio.

Ma, tornando ai saperi, chi ormai ha tempo per formarsi sui contenuti e dedicarsi allo studio, specie nelle nostre materie umanistiche, che richiederebbero di padroneggiare TUTTA la letteratura italiana, TUTTA la letteratura latina, TUTTA la grammatica italiana, TUTTA la grammatica latina, TUTTA la storia e, ovviamente, conoscere anche la storia dell’arte, la filosofia e le letterature straniere? Credo nessuno, specie se i pomeriggi senza riunioni (sempre meno) vengono passati, variamente, in questo modo:

  • compilazione registro e gestione della classe virtuale
  • predisposizione delle verifiche
  • correzione dei compiti
  • risposta a e-mail di ogni tipo e a chat varie su classi virtuali
  • compilazione di moduli vari
  • lettura della Bacheca del registro elettronico (con una media di 6-7 comunicazioni al giorno)

Personaggi sveviani

A trentacinque anni si ritrovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza. La carriera di Emilio Brentani era più complicata perché intanto si componeva di due occupazioni e due scopi ben distinti. Da un impieguccio di poca importanza presso una società di assicurazioni, egli traeva giusto il denaro di cui la famigliuola abbisognava.

In un romanzo per me cult, Senilità, Svevo racconta la parabola esistenziale di Emilio Brentani, impiegato in una società di assicurazioni, che conduce una vita grigia con la sorella Amalia, sorta di suo doppio; le storie della letteratura definiscono questa tipologia di personaggio inetto, ma a mio parere questa etichetta, quasi scherzosa, non rende abbastanza il disagio esistenziale e il dramma di chi si limita a esistere, invece che vivere. L’impiegato è schiavo di un lavoro ripetitivo, di mansioni sempre uguali e, alla lunga, logoranti.

Quando ho scelto di fare l’insegnante, nel lontano agosto del 2010, due erano le motivazioni che mi spingevano verso una scelta difficile e una professione che sarebbe diventata totalizzante: l’amore per le discipline letterarie e la possibilità di rimanere sempre a contatto con i giovani. Certamente non pensavo che avrei passato metà del mio tempo a riempire moduli, compilare tabelle e interfacciarmi quasi di più con la segreteria che con i miei colleghi.

Fortunatamente, ho delle reti professionali extra scholam e delle passioni che mi tengono in vita e alimentano ancora il desiderio di leggere, studiare, approfondire, ma temo che, quando ciò verrà meno, potrei diventare un burocrate imbrattacarte. Alla fine, credo che tutto dipenda da noi, dal rivendicare il nostro ruolo e la dignità di, non dico intellettuale, ma di persone di cultura, in un mondo che va verso una degradazione preoccupante (si veda la percentuale di spesa italiana nel settore dell’istruzione).

Cerchiamo quindi di far rimanere la scuola presidio di cultura e democrazia e non un ambiente simile a uno sportello di posta.

2 pensieri riguardo “Travolti dalle “scartoffie”: essere insegnanti oggi

  1. Hai detto tutto tu, Matteo, inclusa la citazone di Svevo (ma poteva esserci anche Kafka). Il punto è come sopravvivere a una simile mole di lavoro burocratico e vivere una vita sana, curando anche le relazioni familiari e ritagliando almeno un’ora al giorno per la lettura e l’approfondimento personale. Dovrebbe essere diritto di tutti farlo. Una proposta sensata sarebbe quella di fare i coordinatori a turno ogni anno, a livello di cdc, dipartimento, commissioni, ecc… ma prevale lo status quo purtroppo.

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