Angolazioni nuove sul classico del Novecento: “Montale” di Marini e Scaffai

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Una sfida controcorrente

Nei cantieri dell’italianistica, ambito disciplinare tra i più ramificati in ambito accademico, la ricerca si sta sempre più focalizzando sul nuovo, sull’inedito, mettendo progressivamente in secondo piano i classici: i progetti di dottorato vertono spesso su lettere private di scrittrici misconosciute, i convegni mirano a riscoprire autori collocati fuori dal canone, ai margini (come nel XXVIII Congresso dell’AdI, intitolato, appunto, Egemonie e margini), mentre i progetti di ricerca hanno come spesso come parole chiave gender, ecologia e inclusione. Sembrerebbe quindi che la lezione e l’approfondimento dei grandi classici sia in una fase di stallo, in attesa di tempi migliori.

Un’operazione controcorrente è invece quella che ha portato all’uscita, nel 2019, della monografia Montale (3^ ristampa nel 2023), a cura di Paolo Marini, docente di Filologia della letteratura italiana all’Università degli Studi della Tuscia e di Niccolò Scaffai, attualmente il più importante studioso di Montale in Italia, a cui ha dedicato un capitolo nella monografia giovanile Il poeta e il suo libro. Retorica e storia del libro di poesia nel Novecento, per proseguire con le edizioni commenta de La bufera e altro, con Ida Campeggiani, delle Prose narrative e della raccolta La farfalla di Dinard.

Nell’Introduzione, i curatori esordiscono ricordando che «La storia della poesia italiana del Novecento si divide tra un prima e un dopo Montale», dato che «l’autore di OS e OC è stato il termine di riferimento, lo spartiacque del secolo letterario, anche senza rovesciare vistosamente i canoni della poesia lirica; al contrario, la sua centralità è dovuta alla capacità di acquisire elementi tematici e formali della tradizione rielaborandoli in un linguaggio poetico nuovo», diventando emblema di un «classicismo moderno» (p. 13). Questo classicismo potrebbe portare a un ristagno della critica, dovuto allo scarso impegno civile del poeta ligure, su cui, «si è già detto e scritto troppo»; tuttavia Marini e Scaffai sottolineano (grassetto mio) che «la centralità di Montale non dipende solo dall’attenzione subito e sempre riservatagli dai critici più influenti, ma da una dote ineguagliata della sua poesia, quella cioè di rendere percepibili e dicibili lo spazio che realmente abitiamo e insieme le cose intorno a cui tentiamo di costruire un senso e una memoria» (p. 17)

Struttura e sottopartizioni

La caratteristica del volume è quella di radunare un’équipe di studiosi di primo livello, che si sono dedicati a singoli capitoli, forti delle loro competenze e di una “lunga fedeltà” con l’autore degli Ossi di seppia, come si può evincere dall’indice sottostante, che illustra la prima sezione della monografia, intitolata Opere.

La seconda sezione, invece, si intitola Questioni e, a mio avviso, risulta quella maggiormente interessante e produttiva in ottica pluridisciplinare. Qui critici letterari, filologi e storici dell’arte propongono affondi su aspetti specifici dell’opera montaliana: oltre all’analisi della metrica, del lessico e la presentazione della quaestio filologica relativa all’Opera in versi, sono inclusi capitoli brevi, ma incisivi, sui seguenti temi: il rapporto di Montale con Dante, ma anche con i moderni (italiani e stranieri), e soprattutto il legame tra il poeta e l’arte, oltre che, ovviamente, con la musica.

Opere

Tra i capitoli più riusciti di questa prima sezione c’è sicuramente Ossi di seppia di Gianfranca Lavezzi; la studiosa pavese, con uno stile di scrittura sorvegliato, ma che non indulge nello specialismo e nell’oscurità alla Contini, delinea un quadro esaustivo della prima raccolta, partendo dalle diverse edizioni e arrivando infine alla fortuna dell’opera, di cui si celebra quest’anno il centenario. Oltre alla preistoria del libro, è molto interessante il capitoletto sulle varianti, da cui si estrae questa citazione: «il lavoro variantistico si concentra per lo più in due momenti: nel passaggio dalla stampa in rivista alla princeps, e in quello dalla prima alla seconda edizione», con «eliminazione di ridondanze foniche e semantiche in vista di una maggiore concentrazione, attenuazione degli aulicismi, ricerca di una maggiore precisione lessicale, eliminazione delle ripetizioni, anche a distanza» (p. 37). Chiude il capitolo un approfondimento sulla fortuna della prima raccolta, con le recensioni dei contemporanei e le traduzioni di Mario Praz su «The Criterion», rivista di Thomas Stearn Eliot.

Di difficile lettura è invece la trattazione delle Occasioni da parte di Christian Genetelli, italianista di stanza a Friburgo, in Svizzera. Non si mettono in dubbio la competenza montaliana, che ho apprezzato in un articolo come Lontano da te non respiro (ma scrivo). Montale a Irma, tuttavia l’affastellarsi di citazioni e di riferimenti bibliografici, come se non si potesse scrivere senza far riferimento ad altri, rendono il capitolo piuttosto ostico. Apprezzabile è comunque la trattazione dei Mottetti facendo riferimento alle fondamentali Lettere a Clizia, che intercettano gli anni della seconda raccolta: l’epistolario illumina infatti momenti, date e personaggi che rimarrebbero altrimenti in un cono d’ombra: «Se rileggo i 3 Mottetti ci ritrovo una Miss Gatu che sia stata anche in un sanatorio dove si gioca a bridge: la verità biografica va a farsi f… ma la verità poetica no» (E. Montale, Lettere a Clizia, a cura di R. Bettarini, Milano, Mondadori 2006, p. 122).

Più piani sono i capitoli dedicati a La bufera e altro e a Satura, curati rispettivamente da Ida Campeggiani e Riccardo Castellana. Del primo va apprezzato il capitoletto dedicato a Sacro e profano, in cui la studiosa di stanza a Pisa evidenzia che «B è il libro di Clizia e insieme non lo è affatto. È vero che porta al culmine il processo di trasfigurazione iniziato con gli ultimi testi di OC. Ma i Madrigali privati celebrano tutt’altra figura, e sono ben ancorati all’esperienza quotidiana e persino erotica (prima di lasciare lo spazio alle due Conclusioni provvisorie)» (p. 89).

Riccardo Castellana si concentra invece sulla “svolta comica” e la pluralità dei generi contenuti nella quarta raccolta. Molto produttivo è il capitoletto Autocitazione e ironia: in Satura, infatti, «la furia distruttrice di S si abbatte pure sulla vecchia concezione della poesia come attesa del “miracolo” (anche quale epifania del negativo) o come celebrazione della donna-angelo dai poteri salvifici della cultura. Ecco perché l’autocitazione parodica dei primi tre libri è così frequente nel libro» (p. 110).

Alberto Bertoni e Niccolò Scaffai si soffermano invece sulle ultime raccolte poetiche (Quaderno di quattro anni, Diario del ’71 e del ’72) e sulla produzione narrativa: il primo delinea genesi, datazione e specificità dei libri di poesie degli anni Settanta, scritti in prossimità del Premio Nobel e a stretto contatto con critici e interpreti; l’ordinario di Siena, invece, analizza il cosiddetto «secondo mestiere», ponendo però attenzione al genere e allo stile della prose montaliane e indagando possibili modelli di riferimento.

Questioni

La sezione più interessante dell’opera è però, a mio avviso, quella che inizia dal capitolo settimo e include “affondi” su aspetti della produzione, quali metrica, lessico, variantistica, ma soprattutto sul rapporto che Montale ha avuto con i modelli, italiani e stranieri. Le “chicche” conclusive sono poi due capitoli brevi, ma da cui si possono dipartire spunti di ricerca interessanti, da sviluppare in classe. Per ragioni di sostenibilità (la lettura sul web è impaziente), mi focalizzerò però soltanto su tre capitoli, ovvero quello di Stefano Carrai, incentrato sul rapporto tra Dante e Montale, quello di Alessandro Del Puppo su Montale e le arti figurative e infine quello di Stefano Verdino, intitolato Montale e la musica.

Il Montale di Dante

Analizzare gli echi danteschi nel poeta ligure significa indagare un aspetto della fortuna del Sommo Poeta nel Novecento, presso l’autore che, più di tutti, ha cercato di continuarne la tradizione di poesia alta e metafisica. Gli echi danteschi, come evidenzia Carrai, si manifestano già nella prima lirica montaliana, Meriggiare pallido e assorto, del 1916, ordita «su un’insistita tramatura rimica ostentatamente dantesca, sintomo peraltro di un’ispirazione nient’altro ridotta a imitazione» (p. 193); il canto di riferimento è il XIII dell’Inferno, da cui si riprende l’atmosfera aspra e allucinata, ma anche la rima sterpi: serpi.

Un’incisione di Gustave Doré per Inferno XIII.

Secondo Carrai sono due elementi a condizionare il “dantismo” di Montale: da una parte l’amicizia con Gianfranco Contini, che nel 1939 aveva pubblicato una nuova edizione commentata delle Rime di Dante e il clima fiorentino, che metteva Eusebio in contatto con insigni dantisti come Michele Barbi, Mario Casella o Pio Rajna, «dantista pure lui e titolare in Q di una poesia montaliana, intitolata appunto A Pio Rajna, in cui si rievoca con deferenza la conoscenza avvenuta al Viesseux» (p. 197). Ma il secondo ruscello che alimenta il fiume dantesco montaliano è sicuramente Irma Brandeis, con cui intreccia una relazione impossibile tra il 1933 e il 1939: questa donna «rimarrà […] nell’immaginario montaliano musa e al tempo stesso esperta dantista, tanto che nel citato discorso del 1965, Montale menzionerà con parole lusinghiere il suo volume The Ladder of the Vision, e ancora in una poesia di AV, intitolata Rimuginando, si confronterà sia con Dante personaggio sia con Clizia stessa» (p. 199).

Carrai analizza quindi, per usare il titolo del capitoletto 9.3, questa “lunga fedeltà” nei confronti di Dante, specificando che, se gli echi dalla Commedia riconducono soprattutto all’Inferno, non mancano anche riprese dal Purgatorio e, in generale, di lessico e stilemi danteschi che, nell’ultimo Montale, si mescolano a termini di uso comune; nelle raccolte degli anni Settanta, «il dantismo rientra in un repertorio scontato, bagaglio di tutti, ed è proprio perciò adatto a suggellare il discorso poetico in stile umile dell’ultimo Montale» (p. 208).

Montale e l’arte: un rapporto complesso

Spetta ad Alessandro Del Puppo indagare invece il rapporto tra Montale e le arti figurative, mettendo subito in evidenza, nelle prime pagine del capitolo, le diverse stratificazioni di questa relazione; da una parte è necessario analizzare, in via preliminare, quali correnti pittoriche e quali artisti influenzarono il poeta ligure, per affiliazione diretta oppure per semplice suggestione; in secondo luogo va bilanciato quanta di questa cultura visiva di Montale «derivò in prosa e poesia». Infine, Del Puppo analizza «l’attività del poeta come critico e cronachista, tutt’altro che occasionale, d’arte» (p. 267), a cui aggiunge un paragrafo, davvero interessante, su Montale pittore.

Cinque terre, disegno di Montale. Immagine reperibile all’url: https://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/pittori-liguri-800-900/eugenio-montale-pittore/

Il capitolo si presta a una lettura approfondita (magari insieme al collega di storia dell’arte) perché foriero di spunti davvero pregevoli e, poco battuti, nella didattica. Del Puppo analizza gli incontri di Montale con pittori e scultori locali, come Carrà, De Pisis, Rosai, per poi soffermarsi sul rapporto, indiretto, e difficile, con l’opera di De Chirico, che si manifesta «nelle citazioni qua e là introdotte da Montale a richiamare i topoi della pittura di De Chirico, come le piazze delle città italiane […] e i manichini, […] e per il fatto che Montale possedette un importante dipinto della serie degli Archeologi» (p. 271).

Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia, 1950-51.

Dopo l’analisi di immagini pittoriche travasate in poesia, gli ultimi due capitoletti si incentrano sul Montale pittore e critico d’arte. Dell’Orto chiarisce che la fortuna del Montale pittore deriva, ovviamente, da quella di poeta; Montale, infatti, non fece mai «”quadri” veri e propri, con la tradizionale tecnica dell’olio su tela», perché «più spesso erano marine smagrite tracciate su supporti d’occasione; e poi roccoli, fiori secchi, farfalle, scriccioli e upupe […], con rara figure di pescatori o animali ridotti a chiazze insignificanti» (p. 277). Nella conclusione del capitolo, ci si sofferma sul contesto d’eccezione di cui partecipò negli anni del «Corriere della Sera», con viaggi in Europa che lo misero a contatto con l’arte moderna e contemporanea; quindi «cronache e prose presero […] la forma di una satira sdegnosa, che segnava un distacco scettico e amaro, di conclamata perplessità, quando non di aperta reazione borghese dinanzi a una cultura travolta dal flusso vorticoso dei tempi e delle mode» (p. 279).

Un baritono mancato

È Stefano Verdino a chiudere il volume, analizzando il rapporto tra Montale e la musica. Il capitolo segue quattro direttrici: anzitutto indaga la formazione giovanile di Montale, con le lezioni insieme al maestro Ernesto Sivori, ricordato anche nelle Lettere a Clizia; in seguito ci si focalizza sugli echi del melodramma nella produzione montaliana, specie in Ossi di seppia; il terzo snodo riguarda le cronache musicali, in particolare Prime alla Scala, con un focus sul rapporto tra Montale e la Callas; chiude un capitoletto sullo sferzante giudizio verso la musica contemporanea.

Immagine reperibile all’url: https://ilmanifesto.it/callas-piu-voci-ne-belle-ne-brutte-a-un-soffio-dallonnipotenza

Notevole è l’analisi dell’influenza dei libretti sulle opere montaliane; Verdino nota infatti che «il melodramma può occupare un tempo e uno spazio differenziati nella poesia di Montale: a) il livello delle citazioni inconsce; b) il livello delle citazioni ironiche e autobiografiche, frequentissime nei versi della vecchiaia; c) il livello delle allusioni “sublimi”, vale a dire le diverse connotazioni melodrammatiche relative al suo più alto mito, la donna-angelo, la cui voce nei Mottetti è assimilata a quella di un soprano leggero» (p. 286).

Verdino analizza anche come il titolo iniziale di Ossi di seppia fosse Accordi, riconducibile alla musica, ed elenca alcune riprese evidenti in liriche come Iris, Arsenio, La gondola che scivola in un forte, tutti testi che, senza conoscere il retroterra musicale di Montale avrebbero una lettura parziale.

Un libro necessario

La disamina del volume ha quindi mostrano l’ampio ventaglio di angolazioni da cui è analizzata l’opera di Montale, vero e proprio arcipelago che presenta sempre zone poco conosciute o battute. Destinato a studenti universitari ma, sottolineo io, anche ai migliori docenti di letteratura italiana, il volume costituisce una formazione che vale più di ore e ore davanti a inutili webinar; conoscere approfonditamente un autore, infatti, è il primo passo per poterne estrarre lezioni non solo complete, ma aperte a connessioni con arte, cinema, musica, perseguendo quella pluridisciplinarità soltanto ipotizzata, raramente realizzata.

Montale, però, è un cantiere sempre aperto: non è entrata nel volume, infatti, per ragioni di tempo, una delle scoperte più eccezionali degli ultimi anni, ovvero il ritrovamento della lirica I grattacieli, analizzata e pubblicata da Ida Duretto sui «Quaderni montaliani» del 2023 (per approfondire, clicca qui). Insomma, tutto lascia presagire che, nel giro di qualche anno, si dovrà aggiornare un volume già eccellente con aggiunte e approfondimenti degni di nota.

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