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Giugno 2018. Nella scheda dei desiderata per le classi dell’anno scolastico successivo scrivo: «avere una classe prima con italiano e latino per sperimentare il metodo valenziale appreso nel corso d’aggiornamento biennale all’Università di Bergamo». Ha avuto così inizio la mia “avventura” con la grammatica valenziale, che mi ha portato, grazie alla disponibilità del Dirigente Scolastico del mio istituto, a promuovere una didattica del latino “nuova” (anche se in realtà vecchia di cinquant’anni, dato che Fare latino è del 1983…) in tre classi, per tre bienni consecutivi: con la classe 1A dell’anno scolastico 2018-2019, la 1B dell’anno successivo e la 1A del 2020-2021.
In realtà questa sperimentazione è stata condizionata in modo decisivo, per lunghi tratti, dalla pandemia, che ha colpito il primo ciclo quando si stava per intraprendere il percorso sulle subordinate; il secondo biennio ha visto un’alternarsi di didattica in presenza, poi a distanza e decurtamento del monte ore in prima (le lezioni online si sono ridotte nel II quadrimestre dell’a.s. 2019-2020 a 45 minuti sincroni a settimana) che ha avuto ripercussioni negative su un apprendimento continuativo, mentre per la prima volta concludo un biennio con una classe che ha effettuato un percorso netto, senza interruzioni o modifiche nella didattica. Così è interessante, nell’avvicinarsi della fine, fare un bilancio, per vedere se la grammatica valenziale è riuscita a superare, per usare un termine dell’ambito finanziario, lo stress test del liceo linguistico.
Partiamo, anzitutto, dalla peculiarità della disciplina in questo indirizzo di studi: dopo la scellerata riforma Gelmini (quella che ha partorito, tra le altre cose, il mostro mitologico della Geostoria) il latino rimane in questo indirizzo al solo biennio, per 2 ore settimanali: il monte ore è quindi di 66 ore annuali, 132 ore totali. Questi sono i numeri, da cui ovviamente partire per ogni riflessione, anche teorica. Il legislatore però, nello stendere le Indicazioni nazionali, non ha tenuto in grande considerazione questi presupposti. Nelle Linee generali e competenze, infatti, si scrive che «Al termine del primo biennio lo studente conosce i fondamenti della lingua latina ed è in grado di riflettere metalinguisticamente su di essi attraverso la traduzione di testi d’autore non troppo impegnativi e debitamente annotati», ma poi, negli Obiettivi specifici di apprendimento (OSA), si sottolinea che «nella sintassi ci si limiterà ad alcuni costrutti più notevoli: funzioni del participio e ablativo assoluto, sintassi delle infinitive, valori delle congiunzioni cum e ut». Nelle righe precedenti le Indicazioni puntualizzano che nella morfologia sarebbe sufficiente lo studio delle prime tre declinazioni, dell’aggettivo di grado positivo e dei principali pronomi…ma come si può accedere a testi d’autore provvisti di un così scarno bagaglio grammaticale e lessicale? Il legislatore conclude gli OSA così: «In vista di un precoce accostamento ai testi, un’interessante alternativa allo studio tradizionale della grammatica normativa è offerta dal cosiddetto “latino naturale” (metodo natura), che consente un apprendimento sintetico della lingua, a partire proprio dai testi»; tuttavia chi ha sfogliato Familia Romana di Hans Ørberg sa benissimo che i testi qui proposti non sono d’autore e che solo in Roma Aeterna si iniziano a leggere dei brani adattati, dopo un lunghissimo apprendistato ripetitivo e, talvolta, stucchevole.

Ma, a questo punto, cosa si può fare con questo monte ore applicando il metodo della grammatica valenziale? Dal mio punto di vista utilizzare, debitamente semplificato, aggiornato e didattizzato, il metodo illustrato da Fare latino, di Seitz, Proverbio, mio Vangelo, può dare dei risultati anche migliori del metodo natura, anzitutto in termini di scientificità, ma anche di snellimento di argomenti che, tanto con un modello tradizionale quanto con il metodo Ørberg, occuperebbero un monte-ore eccessivo, sfociando alla fine in un apprendimento monotono e poco stimolante per gli studenti, specie del XXI secolo, abituati a contenuti insegnati in modo sintetico e incisivo.
Tra gli elementi più innovativi, per esempio, di Fare latino, c’è l’anticipazione nelle prime lezioni delle infinitive; com’è noto, il manuale di Seitz e Proverbio apre ogni “lezione” con un brano dell’Ab urbe condita con testo a fronte; segue un box lessicale per rendere intellegibile il brano e delle note grammaticali, corredate da schemi grafici valenziali.

Nella Lezione 3, partendo dalla frase Aeneam apud Latinum fuisse in hospitio tradunt, gli autori, dopo aver spiegato che la subordinata è l’oggetto di tradunt (la cui valenza 1 è l’insieme vuoto in quanto non saturata da un nominativo), chiariscono che «In latino tali oggettive non si realizzano con una frase introdotta da una congiunzione, ma con l’accusativo e l’infinito». Se infatti facciamo ragionare i nostri studenti (che, ricordiamolo, sono iscritti a un liceo linguistico) sulla lingua, risulta evidente che le subordinate di questo tipo possono essere anticipate anche al primo anno, dal momento che quando sono soggettive svolgono la stessa funzione del soggetto, mentre se sono oggettive dell’oggetto diretto. Basta spiegare i tempi e gli usi dell’infinito latino per introdurre, addirittura già in prima, un costrutto presente in quei testi d’autore che dovrebbero essere il fine a cui arrivare con l’insegnamento della lingua classica.

Nell’insegnamento del latino al liceo linguistico, a mio avviso, questi continui passaggi dalla sintassi della frase semplice a quella della frase complessa sono essenziali: da una parte chiariscono meglio la natura della frase come «véritable petit drame», in cui un attore può travestirsi da sostantivo o da subordinata; dall’altra consentono di snellire molto la sintassi, perché in pochi minuti, con uno schema grafico o una trasformazione, si può spiegare un argomento che, nella grammatica tradizionale, presuppone lunghi preamboli teorici e morfologici. E si ritorna quindi al problema del monte-ore e alla necessità, per accostarsi davvero nel II quadrimestre della seconda a testi di una certa complessità, di “asciugare” la trattazione della sintassi e virare verso una trattazione parallela di sintassi della frase semplice e complessa.

Le infinitive spiegate con metodo valenziale sono solo un esempio delle potenzialità, al liceo linguistico, di questo modello che, ahimé, risulta ancora di nicchia, come ho potuto appurare in un corso di Didattica del latino in Università, a cui sono stato invitato per tenere un seminario sul modello di Tesnière. Le 132 ore a disposizione per arrivare a trattare dei testi latini “quasi d’autore” impongono, a mio avviso, senza perdere di scientificità, uno snellimento delle eccezioni, della tiritera dei complementi e la necessità di impostare dei traguardi intermedi, come si può notare dalla tabella che segue, sorta di bussola per chi ha una cattedra di latino al liceo linguistico.
Traguardi primo anno | Traguardi secondo anno (fino a marzo) |
Le prime tre declinazioni Aggettivi della prima e seconda classe Tempi derivati dal tema dell’infectum Subordinate temporali e causali con l’indicativo Principali circostanti del nome e del verbo, espansioni di tempo e luogo | Completamento delle declinazioni Tempi derivati dal tema del perfectum e del supino Il participio L’ablativo assoluto L’infinito e le infinitive Il cum historicum Il congiuntivo e le subordinate finali e completive |
I contenuti sopra delineati sembrerebbero impossibili da affrontare con sole 2 ore settimanali, specie se si considera il tempo da dedicare a prove orali, correzione dei compiti e verifiche varie, ma è il metodo valenziale stesso a permettere continui passaggi dalla sintassi della frase semplice a quella della frase complessa. In classe prima, poi, argomenti che nel metodo tradizionale vengono affrontati con capitoli dedicati (penso ai “complementi” di mezzo, modo, materia, causa, ma anche alle subordinate temporali e causali), possono essere spiegati lavorando solo sull’espansione della frase nucleare, come mostra bene questo schema grafico in cui, dopo aver chiarito i tre modi per esprimere il “complemento” di causa, introduco la circostanziale causale.


Credo, d’altra parte, che se si imposta, in prima, un rigoroso impianto grammaticale in cui l’italiano dialoga con il latino (ecco quindi la mia esigenza di avere la cattedra configurata nelle modalità esposte in apertura di articolo), la trattazione degli argomenti del secondo anno possano essere svolti con scioltezza, preoccupandosi solo della morfologia, dei nuovi tempi verbali e della particolare resa in traduzione di costrutti polivalenti. Se si è spiegata bene la differenza tra subordinate circostanziali, completive e attributive, si può asciugare tantissimo la trattazione di monstra quali l’ablativo assoluto, le infinitive e altri. Infatti, da una “prospettiva valenziale”:
- l’ablativo assoluto corrisponde a un costrutto particolare, volto a ottenere la brevitas, e in cui l’argomento 1 è un sostantivo in ablativo, unito (spesso) a un altro participio; corrisponde quindi a una circostanziale con sfumatura tra il causale e il temporale, a seconda del contesto.
- le infinitive sono catalogabili come completive e dunque si legano alla reggente, senza però alcuna congiunzione subordinante (come l’ablativo assoluto, anche lui indicato negli schemi grafici con la X) e con la particolarità del soggetto in accusativo. Nello specifico, le infinitive soggettive (rette da verbi come decet, interest, necesse est, constat, oportet o dal verbo sum e un aggettivo neutro) svolgono la stessa funzione, nella frase, dell’argomento 1 nominativo, mentre le infinitive oggettive (rette da verba dicendi, sentiendi, declarandi etc.) la stessa funzione dell’argomento 2 accusativo.
- le relative proprie sono delle attributive e quindi corrispondono a un attributo; si possono infatti proporre degli esercizi di manipolazione linguistica passando dall’attributo (ma anche dal participio usato in funzione attributiva) alla relativa e viceversa.
- il cum historicum ha gli stessi valori dell’ablativo assoluto e corrisponde a una subordinata circostanziale; l’unica differenza consiste nella presenza della congiunzione subordinante cum e del soggetto espresso.
- le completive volitive con l’ut corrispondono a un argomento obbligatorio e sono necessarie affinché la frase risulti completa; la grammatica valenziale spiega anche bene la differenza tra l’ut finale e completivo, perché il primo introduce una subordinata circostanziale, accessoria, mentre il secondo una necessaria al completamento semantico della frase.
Se il docente ha familiarità con le tecnologie digitali, si può utilizzare la metodologia della flipped classroom per alcune lezioni frontali o per consolidare alcune operazioni che, in classe, porterebbero via molto tempo. Questa è una videolezione sull’analisi e rappresentazione grafica delle infinitive. Si noti l’uso della nomenclatura valenziale.
Risparmiato tempo sulla lezione frontale, si possono dedicare spazi alla didattica laboratoriale, a piccoli gruppi e a coppie. In questi momenti il metodo valenziale si configura come una palestra di lingua e di pensiero, come dimostra questa fotografia in cui gli studenti, a partire da semplici frasi, disegnano lo schema grafico e attuano trasformazioni dell’ablativo assoluto in temporali all’indicativo e, nelle settimane successive, in cum e congiuntivo.

Ma affinché lo stress test funzioni, è necessario interrogarsi se, apprendendo il latino con il metodo valenziale, lo studente sia davvero in grado «di riflettere metalinguisticamente sui fondamenti della lingua latina attraverso la traduzione di testi d’autore non troppo impegnativi e debitamente annotati» (Indicazioni Nazionali, Allegato D).
La risposta è sì, ma con qualche precisazione: non tutti gli autori sono accessibili per gli studenti del Liceo Linguistico, neanche debitamente annotati (espressione che vuol dire tutto e niente), ma credo che Cesare, Livio e Catullo possano essere tre valide “conclusioni” del percorso di latino del biennio, da proporre nella parte conclusiva del secondo anno, per dare un “senso” al faticoso apprendistato linguistico effettuato.
Ho sperimentato ciò, mio malgrado, nel corso dell’a.s. 2019-2020, quando la pandemia ha costretto le scuole a rimodulare il monte ore (latino è stato ridotto a un’ora sincrona) e a concludere l’anno scolastico in DaD. Il latino, ahimè, è stata una delle discipline tra le più penalizzate perché, come tutti sanno, ogni frase degli autori (e non solo) è tradotta sul sito Splash latino; ho scoperto, addirittura, che su alcuni siti, se si inserisce in un motore di ricerca il manuale e la pagina, sono presenti le soluzioni anche di esercizi di morfologia e sintassi. Sulla base di queste premesse, ho quindi proposto, come prova finale di classe seconda, una verifica che presentasse il testo latino, la mia traduzione a lato, con la richiesta di stendere un commento grammaticale e stilistico sul brano. Nelle settimane precedenti avevo introdotto la figura di Cesare come storico e scrittore e, al netto di inevitabili copiature, tale prova ha confermato le competenze degli studenti nella lingua dei Romani. Si tratta di un esercizio fruttuoso e interessante anche nella didattica ordinaria del latino, che sta sempre più andando verso la comprensione rispetto alla traduzione, come dimostra la recente istituzione delle Certificazioni di Lingua latina.

Per questo ultimo ciclo di latino valenziale, ho invece proposto un percorso sulla figura di Catullo, che ho affiancato a quello di poesia, iniziato in Italiano nel secondo quadrimestre; sono consapevole che la proposta non è originale, ma credo che se affrontata unendo letteratura e riflessione grammaticale, possa ancora avere un senso e non solo rappresentare un “salvagente” per far arrivare alla sufficienza gli studenti più zoppicanti nella grammatica. Il lessico di Catullo è solitamente piano e, se si imposta una dispensa con traduzione e fronte o da completare con la tecnica del cloze, la trattazione può acquistare un senso anche per una classe che non farà più latino al triennio (mi censuro).
Questo, a uso dei miei lettori, è un esercizio che ho proposto in classe durante il percorso catulliano: https://docs.google.com/document/d/1Eo51-qovjsze_wGp92Vp-Hu2Sl5IQBms/edit?usp=share_link&ouid=103034384390376789289&rtpof=true&sd=true. Come si può notare si richiede di completare la traduzione e di rispondere a un questionario di comprensione e analisi del testo.
La soddisfazione più grande credo sia negli occhi di di alcuni studenti, tanto appassionati dalla storia amorosa tra Catullo e Lesbia quanto sconvolti da alcune nugae un po’ spinte, che hanno affermato: «Ma perché non ci sono due ore di latino anche al triennio al posto di Fisica?».

Concludendo, non so se il latino insegnato con metodo valenziale abbia superato completamente lo stress test del liceo linguistico ma, lavorando in questo indirizzo da ben 13 anni, posso affermare che la materia ha acquistato più dignità di quando la dovevo affrontare con il modello tradizionale, ripetendo allo sfinimento regole grammaticali e facendo esercitare su frasi stucchevoli e che non portavano a niente. Con il modello valenziale il latino è tornato a essere centrale nell’educazione linguistica globale dell’allievo del biennio liceale e credo che questo sia un obiettivo a cui tendere per una disciplina che, purtroppo, è confinata ai soli primi due anni e rischia di ridursi già, all’inizio del secondo, a una barzelletta…
Penso che l’insegnamento del latino al biennio linguistico sia lo spazio perfetto per sperimentare, viste le acrobazie che si devono fare, per dare dignità a questa disciplina. Due domande: sai se in altri linguistici hanno usato il metodo valenziale? Hai fornito tu il materiale su cui lavorare, o hai utilizzato dei libri di testo? Grazie, come sempre, degli spunti di riflessione.
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No, non sono a conoscenza di utilizzo del metodo in altri linguistici dove, a mio avviso, prevale la didattica breve-eclettica oppure si propone il metodo Ørberg proprio per le affinità con l’apprendimento delle lingue straniere, che predilige il canale comunicativo. Per la seconda domanda sì, propongo io del materiale (solitamente PPT, schemi, videolezioni) e attingo da “Fare latino” o da “Ratio”. Mi propongo comunque come formatore, se volete sperimentare nelle vostre scuole (…)
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