Ossessioni letterarie: Irma Brandeis, una (l’unica) musa di Montale

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Un epistolario (quasi) monologico

Quando si analizza la produzione di Montale e, in particolare la parabola che dagli Ossi di seppia conduce a Satura e alle ultime raccolte, ci vengono incontro una serie di personaggi femminili, da cui si stagliano tre figure: Clizia, Mosca e Volpe, rispettivamente senhal di Irma Brandeis, Drusilla Tanzi e Maria Luisa Spaziani. Dopo che Luciano Rebay, nel 1982, ha identificato nella dedicataria delle Occasioni, nascosta sotto le iniziali I.B. la dantista americana figlia di Louis Brandeis, si sono moltiplicati gli studi vòlti a conoscere meglio questa donna enigmatica, ebrea di origini austriache, che rappresentò una presenza costante della vita di Montale negli anni Trenta, più nello specifico dal 1933 al 1939.

Luciano Rebay, immagine reperibile all’url https://vineyardgazette.com/news/2014/07/17/luciano-rebay-was-vineyard-treasure

Dalle Lettere a Clizia sentiamo la voce di un innamorato colpito da un thunderbolt, che rievoca per anni quella passeggiata a Piazzale Michelangelo, del 1933, l’inizio di una relazione amorosa che si rivelerà, alla fine, impossible, aggiungendo un tassello (amaro) alle four solutions prospettate nella terza lettera, del 7 agosto 1933:

1st: Irma Living in Europe

2nd: Arsenio ” ” U.S.A. (difficult!)

3rd: I. and A. meeting every summer in Europe (horrible winters!!)

4th: A. forgotten and blown to pieces (E. Montale, Lettera a Clizia, a cura di R. Bettarini, Mondadori, Milano 2024, p. 5)

Dalle lettere sentiamo però solo la voce di Montale, se si fa eccezione per le due missive poste alla conclusione di quelle del poeta ligure e tradotte da Anna Ravano: in quella del 21 febbraio 1935, Irma Brandeis si scaglia contro Mosca, definita come una «hysterical woman threatens to committ suicide and so holds two other people’s lives in suspense as long as she may live» (E. Montale, Lettere cit., p. 278); nell’epistola Al lettore, invece, dell’agosto 1979 (negli anni, quindi, in cui maturava il proposito di consegnare tutto il materiale al Gabinetto Viesseux) l’anziana donna rivela le motivazioni alla base della rottura con il poeta ligure:

Nel 1934 tornai a Firenze e per la prima volta venni a sapere dell’esistenza della Mosca. Lei, dal momento in cui seppe di me e della nostra intenzione di sposarci, fu implacabile. Giurò che si sarebbe uccisa. Il suo amore per lui non vedeva motivo per non torturarlo, e le torture ebbero inizio. Mi scrisse una lettera orribile che spero di aggiungere a queste. Lo costrinse a scrivermi una lettera di addio, cosa che lui fece, prevenendomene e chiedendomi di non tenerne conto, di considerarla come necessaria per impedire la sua morte. Gli strappò la promessa che non mi avrebbe più rivisto e lui nel 1938 l’avrebbe mantenuta, non fosse stato per l’intercessione di un amico comune (E. Montale, Lettere a Clizia cit., p. 279).

Un’amica e un critico letterario

La voce di una Irma Brandeis privata emerge con evidenza, però, in un volume uscito per le Edizioni Ulivo nel 2008, intitolato Irma Brandeis (1905-1990). Profilo di una musa di Montale, curato dall’amica ed esecutrice testamentaria Jean Cook e dall’italianista di stanza a Wellington, Marco Sonzogni. Si tratta di una chicca, difficilmente reperibile e che io stesso, novello Contini (!), ho comprato direttamente in Svizzera dalla casa editrice, in quanto fuori stampa; destinato ai cultori di Montale, è un’opera però preziosissima, specie se si intrecciano passi diaristici ed epistolari scritti da Irma Brandeis con quelli affidati al carteggio montaliano a cura di Bettarini.

Un “quaderno d’appunti” eterogeneo

Il libro si compone di 7 quaderni, attraverso i quali possiamo conoscere alcuni tratti di una giovanissima Irma: il suo desiderio di conoscenza e l’amore per la letteratura, le insicurezze da studentessa, la devozione verso i maestri del college, ma soprattutto l’amicizia e poi amore con Gino Bigongiari, presenza fissa in queste scritture private. Ma, ai fini della mia indagine, sono fondamentali le lettere che vanno dal luglio del 1933, in cui la parabola esistenziale di Irma si intreccia con quella del direttore del Gabinetto Viesseux, Eugenio Montale. Leggiamo quindi la lettera a Bigongiari inviata da Firenze il 20 luglio 1933:

Quando sono andata per la prima volta in biblioteca, mi sono armata di tutto il mio coraggio e ho chiesto di Eugenio Montale. Ricordi che ha scritto il libro di poesie Ossi di seppia, che adoro, ma che non sono riuscita a farti leggere. È il direttore del Vieusseux, ma al momento non era là. Certamente non avrei avuto la sfacciataggine di chiedere di nuovo; ma quando sono tornata il giorno dopo, l’impiegato mi ha riconosciuto e ha detto: «Se vuol vederlo, signorina, il direttore è qui, adesso».

Siamo diventati amici! Abbiamo parlato di Ezra Pound, di T.S. Eliot, del- l’Inghilterra, dell’America e dell’Italia. E il giorno successivo quando sono ritornata in biblioteca, è venuto fuori a cercarmi e così anche il giorno dopo. Mi ha prestato il miglior romanzo che abbia letto da molto tempo a questa parte, e mi ha compilato una lista di libri usciti da poco. Mi ha raccontato tutto delle visite che ha ricevuto da Peter Riccio, le sue opinioni su Dino Bigongiari. Si appoggiava allo schienale della sedia, con uno sguardo vagamente malizioso e piuttosto indolente, di fronte a un affresco ammuffito, ma piuttosto bello, sulla parete del suo ufficio, piatta e fredda. Un’enorme stanza sotterranea con una copertura a volta, dipinta, e una scrivania in stile moderno e libri recenti e un poeta dei giorni nostri, dal parlare elegante e vagamente affaticato, vestito con buon gusto.

Divento spaventosamente romantica a Firenze. Tu percepisci in me un desiderio tenuto accuratamente nascosto ma tuttavia presente di vendicare l’esilio e la morte di Dante su ogni persona che respira oggi a Firenze! Nient’altro da questa specie d’idiota, se non d’amore (p. 106).

Le lettere di Irma permettono quindi di vedere “Montale” attraverso gli occhi della sua amata; nelle missive a Bigongiari, il poeta ligure è definito «già vecchio a trentasette anni» (lettera del 26 luglio 1933, p. 106), più avanti «strano […], molto gentile, davvero semplice, alquanto brutto e spesso, persino, piatto» (lettera del 2 agosto 1933, p. 107). Tuttavia, la scintilla dell’amore scatta comunque e, in una nota, senza data, ma presumibilmente del 1934, Irma ammette di «essere innamorata da un anno sul lato opposto dell’Atlantico di un uomo conosciuto in carne e ossa per circa tre settimane» (p. 109).

Nell’estate del 1934, Cook trascrive solo un solo appunto, che però è significativo delle emozioni provate dalla giovane donna alla notizia della presenza di Drusilla Tanzi, la Mosca di Satura, qui (e anche nelle Lettere a Clizia) indicata con la X:

Estate 1934 – Italia Firenze con E.M. Venezia ovvero l’inizio della vita e la morte (ho saputo di X appena prima di andarci) Siena-Bocca di Magra- Genova. Congedo (Sottoripa e casa di Carlotta). Torino, da sola. Lo spaventoso, infernale viaggio a Parigi (p. 109).

Se nelle Lettere Montale denuncia l’inaridimento della vena poetica, lo stesso avviene a Irma, che si definisce incapace di scrivere romanzi e si strugge per la lontananza dall’amato, tanto che, alle 4 di mattina del 5 settembre 1937, ricorda il «quarto anniversario» del loro innamoramento (p. 127).

Nel 1938 le sue attenzioni si rivolgono anche alla politica, in particolare all’Austria, la madrepatria dei suoi antenati, che sta per essere annessa al Terzo Reich; leggiamo cosa scrive il 13 marzo del 1938:

I confini dell’Austria sono chiusi per chi intende fuggire dal paese. Migliaia sono scappati a piedi in Svizzera, dove il governo non li aiuterà e non darà loro asilo. Gli Ebrei sono arrestati e cacciati via dai loro posti. Anti-semitismo in Italia (p. 133).

Irma Brandeis segreta: le tesi di De Caro

Queste lettere, che mostrano l’interesse di Brandeis per la sorte degli Ebrei, hanno spinto Paolo de Caro a comporre un libro affascinante, intitolato Ma se ritorni non sei tu e altri scritti montaliani, in cui sviluppa la tesi (tutta da dimostrare) secondo cui i viaggi di Irma in Europa non fossero soltanto di studio o per incontrare Montale, quanto in favore dei migranti ebrei per gli USA o per la Palestina. Secondo De Caro, nell’estate del ’38, la Brandeis compì due viaggi misteriosi e apparentemente inspiegabili: nell’isola di Lussino in Croazia («un resort che passava anche come luogo d’intrighi internazionali») e a Parigi. È proprio in quelle circostanze che Irma potrebbe aver portato a termine l’«intermediazione» e l’«assistenza» (ad esempio alla famiglia Vivante, si veda la lirica Palio), le quali darebbero corpo al simbolo poetico e al désarroi di Montale: non soltanto il visiting angel, ma una «missionaria messianica» impegnata nella salvezza del suo popolo con l’indirizzamento di canali di fuga (si cita dalla bella recensione di A. Fraccacreta, Irma Brandeis missionaria messianica: un’ipotesi suggestiva, uscita su «Alias» del 17 marzo 2024)

Insomma, secondo De Caro l’uso da parte di Montale del sostantivo cristofora non sarebbe banale; «L’aggettivo era stato usato programmaticamente da suor Francesca Saverio Cabrini […]. Questa religiosa, fondatrice dell’ordine delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, svolse la sua opera in favore dei migranti poveri italiani – con profonda passione cristiana, con cuore cristico – soprattutto negli Stati Uniti: una destinazione che non poteva sfuggire alla sensibilità di Eugenio. (…) Questa sua dedizione al soccorso dell’emigrazione sventurata la chiamò a rappresentare la forma originaria che sostanzia la figura di Iride/Irma; cosicché non solo, nei confronti di Eugenio, la storia di Irma diventa la storia di una salvatrice “cristofora”». Quindi, i versi della Primavera hitleriana in cui Clizia si immola per tutti (v. 42) potrebbero essere trasportati dal piano poetico a quello politico-cristologico.

Francesca Saverio Cabrini, missionaria statunitense-italiana

Una lunga fedeltà

Nel 1939 la relazione tra Irma e Arsenio naufraga definitivamente, con «M. […] rimasto saldo nel suo proposito di non scrivere» e la donna che «sarà biasimata per questo» (p. 141), tuttavia, nel dicembre del 1939, Irma non esita a definire il poeta «la cosa più bella che abbia mai avuto» (p. 142) e a mantenersi stretta nel ricordo di quell’amore impossibile. Grazie alle cosiddette Annotazioni da altri quaderni, ovvero una selezione di appunti e lettere a tema montaliano, possiamo conoscere la “lunga fedeltà” di Irma all’amato, con un ricordo del compleanno (annotazione del 12 ottobre 1943), il desiderio di scrivere un romanzo sulla sua vita (annotazione del 1980), fino alla disperazione negli anni Ottanta, in cui è colpita dalla notizia della morte del Premio Nobel.

La vecchiaia smorza, almeno in Irma, il livore e l’amarezza, come confida all’amica Cook nel settembre del 1981:

In quella conversazione IB mi parlò della loro separazione e dei conseguenti stati d’animo – mancanza di speranza, disperazione- con rammarico, rimorso e sgomento. Mi disse di non aver mai accettato completamente che qualcosa avesse potuto separarli, ma sottolineò sempre che era stata lei a tagliare definitivamente il filo che li legava (p. 149).

Fu proprio l’orgoglio, «il mio povero, patetico orgoglio», come scrive nella nota del giugno 1983, a porre fine a questa relazione divenuta impossibile.

Una storia non destinata a finire: l’amuleto

La storia tra Montale e Irma Brandeis sembra quindi immortale e, grazie agli esegeti del poeta ligure, si arricchisce continuamente di nuovi tasselli; è merito di Marco Sonzogni, docente in Australia, la scoperta dell’amuleto spesso citato nelle Lettere; sentiamo quindi la voce del ricercatore in un’intervista recente (si cita da qui).

Immagine reperibile all’url: https://www.pangea.news/lamore-impossibile-immutato-marco-sonzogni-ha-scoperto-lamuleto-che-montale-ha-donato-a-clizia-dialogo-tra-pettegolezzo-e-poesia/

Nel mio ultimo soggiorno a stelle e strisce legato allo studio delle carte di Clizia, accanto ai faldoni – di varia grandezza e contenuto, già quasi tutti scrutinati – notai che c’era anche una piccola scatola, di quelle che si usano per spedizione postali, con «in testa» una scritta in inchiostro nero di pennarello: «Stationary», cioè «cancelleria». Sono sincero: l’idea che al suo interno potesse nascondersi l’amuleto o il talismano che Eugenio Montale, a più riprese, promette di inviare a Irma Brandeis fin dalle prime battute del loro scambio epistolare mi sfiorò subito. […] [questo] è un pendaglio in bronzo a forma di figura umana stilizzata che veniva utilizzato come strumento da toeletta: un cosiddetto «nettaunghie»”, d’epoca etrusca, inviato dal poeta a Irma tra il 1934 e il 1935, ora esposto al Museo civico archeologico ‘Isidoro Falchi’ di Vetulonia

Senhal rifiutati, lettere bruciate da Montale, missive inviate per ordine di Mosca, rimpianti tardivi della giovane americana, fedeltà post mortem: in questa storia d’amore c’è tutto e quindi mi sento un po’ giustificato in questa mia ossessione letteraria. Se condotto, infatti, con rigore filologico e con l’aderenza ai testi, credo che lo scavo nelle vite di letterati e delle loro muse sia un’operazione stimolante e avvincente. Uno dei motivi per continuare a rileggere i classici, sempre con occhi e chiavi di interpretazione nuove.

2 pensieri riguardo “Ossessioni letterarie: Irma Brandeis, una (l’unica) musa di Montale

  1. Egregio Professor Zenoni

    raramente ho letto uno scritto tanto interessante e tanto vicino alle mie ipotesi. La ringrazio molto e la seguo con vivo piacere.

    Paola Corrias

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  2. Bellissimo approfondimento, non sapevo di questa ipotesi interpretativa. Sarebbe sicuramente d’impatto presentare in questo modo la poetica di Montale in quinta liceo.

    La curatela di Jean Cook e Marco Sonzogni andrebbe ristampanta e fatta conoscere in modo più diffuso.

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