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La caduta delle illusioni
Insegnare latino in un liceo che non sia il classico è una sfida quotidiana: far appassionare alla lingua dei Romani studenti che se la ritrovano, è proprio il caso di dirlo, nel piano di studi con 2-3 ore a settimana e che, in molti casi, ne avrebbero fatto volentieri a meno, comporta la messa in atto di strategie didattiche volte a suscitare interesse verso una disciplina, a mio avviso, unica per complessità e profondità.
Complessità è la parola chiave di tutto questo discorso: nel primo quadrimestre della classe prima, tra ancillae devote alla matrona, equi che stanno rigorosamente sotto l’umbra di un fagus, versioncine al presente e all’imperfetto, anche lo studente più svogliato, arrabattandosi alla bella meglio, trova una via d’uscita nell’approccio con la lingua dei Romani; il gioco si fa duro, invece, dal secondo periodo della classe prima e, soprattutto in seconda dove, per gli studenti che han deciso di proseguire con il percorso ordinamentale e non trasferirsi alle scienze applicate, il menù del latino comincia a diventare indigesto. Dopo il completamento della morfologia nominale, con la quarta e quinta declinazione (in alcuni manuali, giustamente anticipate come particolarità di seconda e terza), il congiuntivo, le subordinate con ut, le infinitive, il cum narrativo e quel monstrum inspiegabile dei verbi deponenti e semideponenti affollano gli incubi degli studenti che, nel migliore dei casi, incalzano il docente con interrogativi quali: «Ma quando si inizia a fare letteratura latina?».
Il libro di testo: risorsa oppure ostacolo?
Ho voluto mettere, provocatoriamente, come immagine dell’articolo, il manuale che ha accompagnato me e gli studenti della sezione B del Liceo Scientifico “Andrea Fantoni” di Clusone in questo viaggio durato due anni nella grammatica latina: il “Tantucci”, ora nella versione del XXI secolo chiamata Quae manent, con inserti di civiltà, educazione civica, versioni interattive e prove per la certificazione linguistica, ha rappresentato una vera e propria croce che ha scandito le nostre 3 ore settimanali, equamente distribuite tra martedì, giovedì e sabato.

Quae manent è un manuale che parte da un intento nobile e, a mio avviso, sensato: mettere subito gli studenti di fronte alla complessità del latino ed evitare il trauma dello stacco biennio-triennio, proponendo quindi già, nel primo volume, brani d’autore e di un livello alto; il manuale, però, è pensato per un liceo classico, con un monte ore di 5 ore, mentre, adottato allo scientifico (ma anche al liceo delle scienze umane) sortisce l’effetto opposto di demotivare in primis gli studenti e, ahimé, anche i docenti. La spiegazione e il laboratorio in classe sono continuamente scanditi da incitamenti del tipo «Non preoccuparti che ti aiuto io», oppure risoluzioni che suonano più o meno così «Questa frase è troppo complessa, dai la saltiamo». Viene meno, soprattutto, la gradualità degli esercizi e delle proposte di traduzione: con Quae manent o sai il latino perfettamente oppure sei condannato a imparare tutto a memoria e salvarti con la teoria!
Razionalizzazione come criterio base
Ma, come spiegato più volte, il manuale non deve diventare castrante per il docente: la creatività dovrebbe essere una delle doti del bravo insegnante, così come la capacità di adattare il suo metodo alla classe, distillando i contenuti e cercando di promuovere attività quanto più varie e laboratoriali. Il percorso di latino di classe seconda è sicuramente ostico e complesso (specie se si ha la zavorra del Tantucci sulle spalle), ma credo che si debbano, a mio avviso, isolare dei contenuti-chiave, su cui soffermarsi magari anche diverse settimane, sacrificando i mille verbi anomali che affollano le pagine di ogni grammatica latina (come dimenticarsi, d’altra parte, le millemila unità del Flocchini su verbi atematici che spuntano come funghi?)
In questa tabella, indico quelli che per me sono gli snodi più importanti del percorso di seconda, proponendo anche strategie per apprenderli con maggiore rapidità, ma allo stesso tempo efficacia.
| Argomento | Strategia |
| Finali-volitive | Apprenderle in coppia, per far vedere come le prime siano circostanziali e le seconde completive |
| Completive di fatto-consecutive | Analizzare i verbi introduttori delle completive di fatto e ragionare sugli antecedenti nelle consecutive |
| Ablativo assoluto – cum e congiuntivo | Studiarli in coppia, proponendo degli esercizi di trasformazione |
| Infinitive | Introdurle già dopo la terza declinazione, proponendo esercizi di trasformazione infinitiva > sostantivo in nominativo o accusativo |
| Relative proprie e improprie | Ragionare sulla funzione logica del relativo |
La valenza…oltre l’alberello
Quando si parla di modello valenziale, si pensa subito alla tiritera dei verbi zerovalenti, bivalenti e trivalenti, ma anche alla rappresentazione grafica, bollata dai detrattori (sempre in numero considerevole) come un inutile e stucchevole disegno di alberelli, con una nota di malcelato disprezzo. Non è mia intenzione ragionare di nuovo sulla schematizzazione grafica, per cui rimando a un articolo cult di questo blog (qui), quanto dimostrare come essa sia davvero uno strumento fondamentale per dirimere la differenza tra finali e volitive, tra completive di fatto e consecutive, ma anche per comprendere meglio la funzione delle infinitive e notare la differenza tra ablativo assoluto e cum e congiuntivo: insomma, un bel salvagente nel mare tempestoso della sintassi del secondo anno. Vediamo quindi due esempi.
Per far capire meglio agli studenti la differenza tra subordinate finali e volitive lo schema grafico è fondamentale: le prime, circostanziali, svolgono, nella frase complessa, la stessa funzione di un complemento di fine e sono quindi accessorie; le seconde, invece, catalogabili come completive, svolgono la medesima funzione di un argomento del verbo. Si prendano, per esempio, questi due esempi di Cesare, che ho proposto in una scheda di metodo del nuovo manuale Vivida Mente di Angelo Diotti e Maria Pia Ciuffarella, edito da Sanoma.
- Caesar finitimis imperavit ut ab iniuria et maleficio se suosque prohiberent.
- Helvetii legatos ad Dumnorigem Haeduum mittunt, ut itineris viam a Sequanis impetrarent.
Anche se non ci si avvale del modello valenziale, è importante far lavorare gli studenti sul verbo della frase principale: impero vuole come terzo argomento qualcosa che si ordina, mentre mitto ha le sue valenze saturate già nella principale; ne deriva che il primo ut è completivo, il secondo circostanziale. Inoltre il primo è legato al verbo da una linea continua, mentre il secondo da una linea tratteggiata.


Un discorso simile può essere fatto per le infinitive, uno degli argomenti più ostici da interiorizzare per gli studenti ma che, a mio avviso, spiegato in termini valenziali risulta chiaro e di facile memorizzazione. Partiamo quindi da due esempi d’autore (a dimostrazione del fatto che il modello valenziale non funziona bene solo con frasi create in vitro):
- Minime decet iuventutem nostram adsuefacĕre libidini praetorum (Livio)
- Per exploratores Caesar cognovit Helvetios castra movisse (Cesare)
Nella frase di Livio, la principale è priva di soggetto e, per non risultare monca, necessita di una subordinata completiva, ovvero l’infinitiva soggettiva. La divisione in proposizioni è così delineata:
Principale: Minime decet
Infinitiva: iuventutem nostram adsuefacĕre libidini praetorum.
L’infinitiva è soggettiva, perché corrisponde a un argomento in nominativo. Essa è il soggetto del verbo decet che, insieme all’argomento libero minime, compone la principale: tutto quanto contiene l’infinitiva è identificabile come il soggetto del verbo decet. L’infinitiva corrisponderebbe quindi all’espressione iuventutis nostri adsuetudo libidini praetorum. Schematizzata graficamente la frase ha questa configurazione:

Vediamo ora un’infinitiva oggettiva che, ragionando con gli studenti di seconda sempre in termini valenziali, rappresenta la seconda valenza di un verbo bivalente. La frase Per exploratores Caesar cognovit Helvetios castra movisse si compone di due proposizioni, una principale e una subordinata infinitiva. La principale ha il soggetto espresso, Caesar, in nominativo, ma, per non risultare monca, necessita di una subordinata completiva, ovvero l’infinitiva oggettiva, che corrisponde all’oggetto diretto di una frase semplice.
La divisione in proposizioni è così delineata:
Principale: Per exploratores Caesar cognovit
Infinitiva: Helvetios castra movisse
In questo caso l’infinitiva oggettiva equivarrebbe quindi alla seguente espressione: ab Helvetiis castrōrum motum. Ma è la rappresentazione grafica che chiarisce ogni dubbio, portando a vedere nell’infinitiva l’argomento 2 del verbo cognoscere.

Il lessico: il punto dolente
Spiegare latino con metodo valenziale sembrerebbe semplificare di molto il percorso di apprendimento del secondo anno, ma il condizionale è, ovviamente, d’obbligo, visto che manca un presupposto, a mio avviso fondamentale: la padronanza lessicale.
Le mie paternali in seconda scientifico sono ormai ricorrenti e prevedono, oltre a una laudatio temporis acti mista a commiserazione, la solita riflessione sul fatto che il latino non è una grammatica, ma una lingua, con un suo stile, lessico; nella versione conclusiva del secondo anno (scaricala, se ti interessa, qui), in cui erano presenti tutte le subordinate studiate, gli studenti hanno dovuto ancora cercare sul dizionario termini come peto, obsides, ius, venio, puer. C’è quindi qualcosa che non va nella didattica del latino, che mi suggerisce, forse, che sarebbe necessario ripensarla, aprendola anche alle suggestioni del metodo induttivo-contestuale, senza sfociare in alcuni atteggiamenti talebani che, a mio avviso, hanno solo ricadute negative sulla lingua classica.

Come fare quindi di fronte a studenti che si ostinano, pervicacemente, a ignorare il lessico e a cercare ogni parola sul dizionario? La didattica del lessico propone una serie di attività sicuramente utili, che possono suggerire una serie di strategie didattiche (ne elenco tre):
- apprendimento di termini in base a campi semantici: la famiglia, la guerra, la religione e via dicendo;
- introduzione di prove senza dizionario, con un solo box lessicale, come faceva la mia insegnante di TFA, obbligando quindi gli studenti ad apprenderlo obtorto collo;
- test di verifica pesati (50%) sul lessico di determinate unità;
- innesti di metodo induttivo-contestuale nel percorso, anche con prodotti creati ex-novo dagli studenti (fumetti, video in latino, podcast).
Forse il digitale, tanto osteggiato, potrebbe venirci in aiuto nello studio del lessico, accogliendo le sollecitazioni del bel volumetto di Maria-Pace Pieri, intitolato La didattica del latino. Perché e come studiare lingua e civiltà dei Romani, edito da Carocci. Il capitolo 2 di questo manuale destinato ai corsi di Didattica del latino dell’Università è infatti interamente dedicato al lessico; la studiosa propone, anziché lo studio di box lessicali preconfezionati, di far creare agli studenti stessi delle schede, di cui fornisce dei modelli come questo sottostante dedicato a vir.

Di queste schede, «il riquadro in alto a sinistra è destinato ad accogliere la radice […]. Ancora più a sinistra, lo spazio più ampio è riservato per le parole appartenenti a una medesima famiglia […]. L’ultima sezione, intitolata Attenzione, è pensata invece per accogliere particolarità varie, prima morfologiche, […] poi sintattiche e altre ancora» (M-P. Pieri, op. cit., p. 42).

La studiosa fiorentina sottolinea che «durante i primi tempi non si dovrebbe aver fretta di giungere a un prodotto finito, magari correndo il pericolo che, una volta confezionata in ogni sua parte, la scheda venga rapidamente consegnata all’oblio» (p. 43); l’intento è quello di fornire uno strumento sempre aggiornato, collaborativo (si potrebbe pensare di assegnare un termine o un verbo a studente per un intero quadrimestre), che mira a studiare il lessico in modo critico, suggerendo errori ricorrenti da non ripetere e parole su cui soffermare l’attenzione della classe.
Ripercorrendo il mio anno in seconda, forse sarebbe stato utile lavorare sul lessico della guerra, della religione, compilando schede su parole come bellum, fides, peto, rogo e via dicendo dato che alla data del 22 maggio, dopo 198 ore di latino, queste parole devono essere ancora ricercate sul dizionario!
Un bilancio
L’a.s. 2024-2025 è stato per me il primo anno, da quando insegno, in cui ho potuto concludere un biennio di latino in un liceo in cui la lingua dei Romani è studiata per l’intero quinquennio; rispetto a un liceo linguistico, quindi, nonostante gli argomenti, all’incirca, rimangano gli stessi, è cambiata la profondità e, soprattutto, la finalità con cui si propongono.
L’obiettivo del secondo anno dovrebbe essere, a mio avviso, l’acquisizione di un metodo di lavoro nei confronti di testi a complessità crescente, che consentano di frequentare un triennio senza evitare di imparare, sin dalla terza, interi brani d’autore a memoria.
La riduzione del monte ore allo scientifico post riforma Gelmini e, aggiungo io, la desuetudine di molti studenti a uno studio preciso e rigoroso, pregiudicano, a mio avviso, i risultati, che spesso sono sotto le aspettative, nonostante le buone capacità e le spiegazioni chiare, meticolose e, aggiungo, ripetute del docente.
Forse andrebbe rivisto completamente l’apprendimento del latino negli indirizzi che non sono il liceo classico, perché riprodurre le strategie di insegnamento modellate su quelle del classico a indirizzi in cui la lingua latina non è disciplina di indirizzo compromette la motivazione; d’altra parte è anche vero che nel liceo scientifico (e delle scienze umane) il triennio è dedicato alla lettura degli autori, impossibile da affrontare dopo un biennio semiserio.
Forse i manuali potrebbero aiutarci, così come la creazione di reti di buone pratiche, lo sviluppo di piattaforme online free di recupero e consolidamento; va anche sottolineato che non è corretto assolutizzare l’esperienza di una classe, composta da studenti particolari, ricavandone considerazioni generali. Ma si tratta di una spia, come quelle che si accendono talvolta sul cruscotto dell’auto e, quindi, urge un controllo da parte di un meccanico…in questo caso di una condivisione con colleghi di altre scuole.
Vi aspetto, quindi, nei commenti!
Ciao Matteo, grazie, come sempre, per le tue riflessioni ricche di spunti e di stimoli per lavorare. Condivido tutte le criticità che hai osservato. IL metodo di latino che risolva tutti i problemi didattici non esiste, ma sta all’insegnante trovare un equilibrio tra le varie metodologie per approdare a risultati soddisfacenti, soprattutto al liceo scientifico, come d’altronde emerge anche dal tuo post.
Penso anche che in questo tipo di scuola occorra ripensare seriamente anche il momento della verifica: in questo ambito il format delle certificazioni linguistiche, con i dovuti adattamenti, credo possa costituire una valida alternativa alle prove – che utilizzo prevalentemente anche io – imperniate su traduzione + analisi delle strutture. Ecco, questo è un ambito che vorrei approfondire e su cui mi piacerebbe avere un confronto con i colleghi.
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