Sul concetto di “distanza”

Tra gli slogan che in questa estate 2021 hanno occupato giornali, televisioni, radio e social credo che il più ricorrente sia stato “stiamo lavorando per portare tutti gli studenti da settembre in presenza”. Il Ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi, erede della malcapitata Lucia Azzolina, purtroppo ricordata solo per i “banchi a rotelle”, ne ha fatto l’unico punto del suo programma, insieme all’obbligo del greenpass per il personale scolastico e una serie di iniziative volte a incentivare la vaccinazione degli over 12.

Non voglio scrivere l’ennesimo articolo sulla Didattica a distanza, perché credo siamo tutti concordi nel ritenere che la didattica in presenza sia qualcosa di diverso, per la possibilità della presenza fisica in un unico ambiente, la creazione di un contatto più stretto tra docente e discenti, un monitoraggio più incisivo dei processi di apprendimento, un’inclusione maggiore e tanti altri aspetti che non vado a elencare per non sconfinare nell’ovvio, nel banale, nel già detto o scritto. Nelle classi del I ciclo poi, la scarsa dimestichezza degli alunni col mezzo informatico, per ovvie ragioni d’età e il carente accesso alla rete in aree difficili, hanno creato delle lacune che si colmeranno nel giro di qualche anno, oltre a disturbi psicologici che dovranno richiedere l’intervento di specialisti, in questo caso a tutti i livelli di istruzione.

Nello scorso anno, poi, una costante dei colloqui coi genitori degli studenti con fragilità sono state le geremiadi sulla didattica a distanza, causa di tutti i mali e che ha pregiudicato il raggiungimento degli alti livelli prestazionali (…) pre-pandemia. Ovviamente dopo più di 10 anni di insegnamento ho imparato a “pesare” le parole dei genitori e a cercare di mediare, consapevole delle aspettative che essi ripongono nei figli e del desiderio di una loro crescita armonica, senza insuccessi scolastici che la DaD, è innegabile, ha talvolta creato, con atteggiamenti come scoraggiamento, indifferenza verso lo studio, apatia e via dicendo.

Più che parlare di Didattica a Distanza vorrei però riflettere sulla “distanza”: siamo davvero sicuri che in questo anno e mezzo siamo stati distanti dagli studenti? Riflettendo con un po’ di pacatezza e di equilibrio, vorrei lanciare la provocazione che in questo periodo pandemico nessuno sia stato vicino agli adolescenti quanto i loro insegnanti, tanto che, a mio avviso, questo eccesso di “presenza”, virtuale s’intende, ha creato delle relazioni non sempre sane per l’uno e l’altro degli attori in gioco.

Pensiamo alle classi virtuali e al monitoraggio del processo di apprendimento online: prima della pandemia, si faceva sì uso di classi su Edmodo, Google Classroom, iTunesU, ma solitamente queste iniziative erano promosse dai docenti del team digitale e dell’innovazione o dai colleghi che avevano dimestichezza con le piattaforme informatiche. Ora, dal marzo del 2020, la classe virtuale, entrata a pieno diritto nei Piani della Didattica Digitale Integrata (qui le linee guida del 7 agosto 2020), è diventata uno strumento usato dall’intero (o quasi) corpo insegnanti, tanto che chi non lo fa è visto come un fannullone che si limita a caricare i file delle lezioni sul registro elettronico o su Drive. In realtà questo ha sicuramente limitato la “distanza”, ma ha caricato docenti e studenti di molto lavoro: i primi devono o iscrivere la classe alle piattaforme delle case editrici dei libri in adozione (p.e. MyZanichelli), oppure (e credo sia l’opzione prevalente), inventarsi di continuo materiali autocorrettivi o prove da correggere online. Dall’altro lato gli studenti si trovano un “banchetto imbandito” da tutte le discipline, con esercizi, compiti di scrittura o rielaborazioni da postare online. Io stesso, guardando la pagina di Classroom dei miei studenti, mi sono quasi “spaventato” vedendo i compiti o quiz in scadenza e gli alert dei nuovi materiali….Gli orari di consegna dei compiti sono indicativi di questo “sovraccarico”: anche prima probabilmente lo studente stendeva il riassunto di italiano alle 2 di notte o completava l’esercizio di matematica in tarda serata, ma nessuno lo sapeva; ora, semplicemente osservando gli orari di restituzione dei compiti, si rimane sorpresi dal numero ridotto di alunni che terminano il lavoro in orari “umani”. Ecco, la classe virtuale ha sicuramente reso evidente delle modalità di apprendimento forse non sane, su cui sarebbe opportuno lavorare a livello di gestione del tempo, del materiale di lavoro e via dicendo.

Veniamo ora alla distanza legata ai rapporti con la componente genitore: mai come in pandemia e nell’anno scolastico 2020-2021 i rapporti con le famiglie sono stati forti, frequenti e significativi. Si è partiti dalla primavera del 2020, con le prime telefonate ai genitori rappresentanti per informarli dell’avvio della Didattica a Distanza, per poi proseguire, nell’anno appena trascorso, con i colloqui a distanza perché i protocolli di sicurezza non ne permettevano l’ingresso a scuola. La distanza, anche qui, si è azzerata: genitori che negli anni precedenti non si erano mai fatti vedere a scuola hanno iniziato a prendere appuntamento online (su Meet, Zoom, Teams) collegandosi dalla macchina, dal ristorante in pausa pranzo, dal corridoio dell’ufficio pur di avere informazioni sulla creatura. Ovviamente la riduzione della distanza e la possibilità di collegarsi con un semplice smartphone per avere rassicurazioni sull’andamento del figlio o della figlia rappresenta una bellissima novità, che ha consentito di conciliare lavoro e scuola, ma dal lato docente ciò si è tradotto, a mio avviso, in un sovraccarico ulteriore, con anche delle ripercussioni sulla privacy (chi ci rassicura che tali colloqui non siano stati registrati o che ci sia stato qualcuno dietro lo schermo ad ascoltare)? Taccio sugli orari di ricevimento pomeridiani, che da una parte hanno agevolato i genitori lavoratori, ma dall’altro lato hanno ancora di più impegnato gli insegnanti, non permettendo, a mio avviso, uno stacco completo col lavoro. Si potrebbe aprire poi un discorso sul diritto alla disconnessione, che meriterebbe, però, un articolo a parte.

Così credo che la distanza maggiore sia stata quella con i colleghi, proprio a livello di empatia, di chiacchierate informali in sala professori o davanti alle macchinette del caffè, di condivisioni di impressioni su studenti, classi, dinamiche relazionali. E’ vero che lo scambio di e-mail si è quintoplicato, ma si tratta, il più delle volte, di modi di comunicazione formali, freddi, in cui il mezzo inibisce certe affermazioni. Anche le riunioni online, a mio avviso, depauperano molto lo scambio di opinioni e la dialettica; sgomberiamo subito il campo: in alcuni casi risultano assai funzionali specie se i docenti vivono lontano da scuola e tali riunioni si concludono in serata, ma i consigli di classe in presenza degli anni passati rappresentavano un momento nodale del team educativo che nessuna videochiamata su Meet potrà sostituire.

Il rischio, ahimé, è che ci si abitui alla distanza: da docente ho apprezzato tantissimo le iniziative di case editrici, enti di ricerca che hanno proposto corsi e seminari online da tutti Italia e per tutta Italia, così come non posso negare che finire il consiglio di classe alle 19 ed essere a tavola alle 19.15 mi ha agevolato la vita, ma il rischio è che, nei prossimi anni, la sindrome da “ciabatta” ci porti a disertare tutti quei momenti di condivisione, di scambio tra professionisti che sono, insieme all’aggiornamento e al contatto con i ragazzi, la linfa, per me, del nostro lavoro.

5 pensieri riguardo “Sul concetto di “distanza”

  1. Quello che dici, Matteo, circa gli orari assurdi di consegna dei compiti è vero, così anche il tuo discorso su quanto può diventare “totalizzante” e ipertrofico l’uso di Classroom. Non hai toccato, però, un altro dei tasti dolenti, gli orari improponibili per le uscite scaglionate. Spiegare dalle 14:00 alle 15:00 ha dell’incredibile! Se prima o poi si tornerà al 2019, rivaluteremo la sesta ora, sembrerà una passeggiata.

    ps sulla sindrome da ciabatta non sarei troppo pessimista, per ora si possono fare i cdc in presenza e i collegi docenti e altre riunioni a distanza, è un buon compromesso.

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  2. Concordo pienamente. La distanza maggiore è quella tra docenti: chi ha cambiato scuola, come me, ha avuto enormi difficoltà di ambientamento perché sono state azzerate tutte quelle occasioni di conoscere i nuovi colleghi. Quanto al distanziamento tra studenti, esso era già in atto e la DAD lo ha ampliato: basta osservare come più della metà degli studenti trascorre la ricreazione, con gli occhi fissi sullo smartphone. Credo che i ragazzi, poi, abbiano colto gli aspetti positivi della DAD più di noi docenti, dall’effetto “Farinata” con pigiama e ciabatte nella parte non su schermo alla dilatazione dei tempi di lavoro (oltre alla riduzione dell’orario effettivo del tempo scuola).

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    1. Sì, sono considerazioni condivisibili, anche se in realtà anche prima del 2019 gli intervalli erano passati spesso con gli occhi sui social. Ma d’altra parte siamo nel mezzo di un cambiamento radicale e forse il “virtuale” sta diventando più “reale” del reale? Ti ringrazio di aver letto e commentato.

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