Insegnare latino valenziale in pandemia: un bilancio

Concluso questo infinito a.s. 2020-2021 tra didattica in presenza, a distanza e mista (in percentuali variabili), ho deciso di riflettere a mente fredda su questi due “cicli” di latino insegnato con il metodo valenziale nel mio piccolo liceo linguistico, cercando, se possibile, di stilare un primo bilancio di questa sperimentazione. Di sperimentazione si tratta, dal momento che insegnare e apprendere una lingua classica con metodo valenziale, in un contesto in cui questo è ancora poco penetrato (specie nel II ciclo) implica un ragionamento su punti di forza e di debolezza dell’esperienza e una riflessione se continuare o meno su questa strada, ancora “poco battuta” dai docenti italiani. Devo altresì ammettere che tale giudizio finale risulta inficiato dall’erogazione di tale insegnamento/apprendimento nelle difficili condizioni in cui docenti e studenti hanno operato: si potrebbe fare un bilancio cristallizzandolo al 20 febbraio 2020, ma forse è opportuno capire come tale metodologia abbia “retto” alla spinta digitale che la pandemia ha innescato e che mi porta a pensare che “nulla sarà più come prima” (per fortuna, forse).

Le classi su cui ho innestato il metodo valenziale sono state la 1A dell’a.s. 2018-2019 e la 1B dell’a.s. 2019-2020; in entrambe ho goduto di continuità didattica per l’intero biennio, ma mentre per la 1A ho avuto “lingua latina” abbinata a “lingua e letteratura italiana”, questo binomio si è realizzato per la 1B solo in classe seconda. Qui si innesca la mia prima riflessione: affinché la metodologia funzioni al meglio è auspicabile che il docente di Lettere abbia l’intera cattedra sulla classe per diversi motivi: in primo luogo si può portare avanti la riflessione linguistica in parallelo tra lingua madre (il latino) e lingua figlia (l’italiano); inoltre si possono ammortizzare le perdite di ore tra le due materie (e le ore di latino al liceo linguistico, 2 a settimana, sono molto preziose perché ridotte) ma anche compensarle nell’arco dei giorni e, non da ultimo, si può lavorare sulla schematizzazione grafica della frase (punto forte della metodologia) tanto in italiano, quanto in latino, in prima concentrandosi sulla sintassi della frase semplice e in seconda su quella della frase complessa, dando un “senso” al percorso di “grammatica” della scuola superiore, spesso “corpo avulso” rispetto all’educazione letteraria.

La più grande difficoltà è stata rappresentata dal libro di testo: il volume di grammatica di E. Daina e C. Savigliano, Il buon uso delle parole, oltre a non avere un’espansione online, seguiva un’impianto tradizionale e dedicava solo poche paginette alla valenza del verbo, subito liquidata negli esercizi che io chiamo scherzosamente “scova il complemento“; il manuale di latino di S. Dossi, F. Signoracci e M. Dossi, Donum, non conteneva alcun cenno alla valenza del verbo e quindi ho dovuto lavorare sulle consegne dei diversi esercizi. Se dovessi paragonare le due situazioni, credo che la problematica del manuale sia più difficile da fronteggiare in italiano, meno in latino, dove l’importante è avere dei brani di versione antologizzati e delle frasi campione su cui effettuare esercizi di manipolazione e di cui eventualmente modificare le richieste. L’avvento del digitale e la forte spinta alla creazione di esercizi correttivi online ha poi messo in secondo piano il problema del manuale: prima su Edmodo e poi su Moduli di Google innumerevoli sono stati i test creati per gli studenti con una personalizzazione credo assai efficace e rispondente a quanto fatto in classe. Si tratta di “mattoncini” che serviranno in futuro per costruire altre “case valenziali”.

Un ragionamento a parte merita anche la gestione del recupero: affinché esso possa essere efficace, è necessario che il docente delle classi parallele utilizzi anch’esso il metodo valenziale oppure lo conosca per venire incontro alle esigenze del gruppo di studenti a lui affidato. Questa condizione è, ahimé, molto difficile che si realizzi e porta a far sì che sia lo stesso docente curricolare a occuparsi della gestione delle carenze, facendo perdere la vera ricchezza dei percorsi di recupero e di riallineamento, ovvero l’interfacciarsi con un nuovo metodo e una nuova professionalità. Se il gruppo classe che apprende il latino con il metodo valenziale necessita di un “vocabolario” e di un metodo analogo anche nel recupero pomeridiano o mattutino, la situazione si ribalta invece per le classi che apprendono il latino con il metodo tradizionale, deduttivo e normativo. Vorrei soffermarmi, brevemente, su questa esperienza e ragionare sulle dinamiche che comporta.

Nel corso di questi ultimi tre anni, da quando, cioè insegno latino con il metodo valenziale, mi è capitato di seguire il recupero di classi o di alunni che studiavano latino con il metodo tradizionale. Ho trovato che gestire il recupero col metodo valenziale sia davvero efficace nei casi di mancata individuazione dei casi e di difficoltà nella gestione della frase: la centralità del verbo, la possibilità di fare previsioni sugli argomenti obbligatori, il “vedere la frase” e le relazioni al suo interno hanno davvero “aperto un mondo” per alunni abituati alla tiritera dei complementi, alla ripetizione a memoria di declinazioni e coniugazioni, ma incapaci di comprendere le dinamiche che attivava il verbo, attore principale del petit drame della frase secondo Lucien Tesnière. Si sa che la grammatica valenziale propone un approccio funzionale descrittivo che, spesso, risulta marginale nell’insegnamento tradizionale: è come uno “svelare” dinamiche che restano “sottintese” nella pratica di insegnamento consolidata da decenni e che invece vanno fatte emergere, anche per stimolare una riflessione grammaticale alla fine, forse, il vero obiettivo del mantenimento della lingua classica nel curricolo di studi, specie in indirizzi come il linguistico in cui rischia di diventare una “mosca bianca”. Così sono convinto che, anche se nei prossimi anni dovessi non avere classi di lingua latina, potrei utilizzare il metodo con efficacia nella gestione del recupero e del consolidamento degli apprendimenti.

Ho introdotto la questione del recupero per affrontare il tema delle valutazioni; devo ammettere che insegnare il latino con metodo valenziale ha comportato un calo fisiologico delle insufficienze nella disciplina, almeno così sembrava fino al 20 febbraio 2020 ed è stato confermato in questo ultimo anno e mezzo “a singhiozzo”. Credo che ciò sia dovuto alle diverse richieste inserite nelle prove e previste nella normale attività didattica: pretendere, come fanno gli insegnanti “vecchio stampo”, di forgiare provetti traduttori con 2h a settimana e applicare le strategie di insegnamento di un liceo classico o scientifico a studenti che si dedicano alla materia per un numero ridotto di ore e che la perderanno al triennio portava a un’emorragia di insufficienze difficilmente colmabili entro fine anno e condonate con la frase “mah sì, è un 5-5.5, portiamolo a 6 tanto lo perdono al triennio”. In questi due anni, in realtà, credo che la materia si sia riconfigurata e abbia acquistato, per i confronti con l’italiano e la lingua tedesca, una sua dignità; a fine anno scolastico, nei questionari di valutazione, una percentuale non risibile di studenti si rammaricava di non proseguire la disciplina al triennio per affrontare la letteratura della lingua su cui tanto si sono applicati in questi due anni.

Ma quindi usando il metodo valenziale non hai fatto tradurre?” Questa è una delle frasi-tipo che mi rivolgono i colleghi di lettere curiosi di provare tale metodologia, ma timorosi di un depotenziamento delle competenze di traduzione. In questi tre anni ho però capito che la traduzione non deve essere impostata come competenza base da promuovere e in ciò mi ha aiutato sicuramente il confronto con le lingue straniere: è come se il livello di inglese o tedesco venisse testato solo in base alla traduzione di frasi o brani più o meno lunghi, più o meno complessi. In primo luogo la traduzione va posta come punto di arrivo, e non di partenza, nell’analisi della frase: gli studenti sono abituati, ahimé, a tradurre per comprendere, quando in realtà la traduzione è il passo finale della riflessione linguistica sulla frase come “organismo vivente”; in secondo luogo tradurre è un’operazione molto complessa, che richiede delle competenze non solo nella lingua di partenza, ma pure in quella di arrivo e quindi non va posto tra i primi obiettivi nell’approccio a una lingua classica; in ultima battuta, richiedere agli studenti solo traduzioni porta alla tentazione di ricercarle in rete dove, ahimé, il 99% della versioni e frasi è già stato tradotto e, a differenza di quanto dicono alcuni colleghi, in modo sempre ottimale (gli svarioni ci sono, ma col tempo vengono eliminati!). Uno dei vantaggi, quindi, della metodologia valenziale è quella di stimolare l’autonomia degli studenti, la ricerca di soluzioni al “problema-versione” (analizzare una frase è davvero un esercizio di problem solving), all’individuazione delle valenze obbligatorie di ogni singolo verbo, senza avvalersi di scorciatoie fornite dal web (qui sotto un’immagine molto esemplificativa che non ha bisogno di commenti).

Imparare a tradurre efficacemente nell’era di internet…

Per chiudere, va rilevata una criticità: la rappresentazione delle frasi con stemmi (di vario tipo a seconda della complessità della frase) vero centro dell’insegnamento del latino con la verbo-dipendenza, come dimostrato dall’immagine di apertura, presuppone l’utilizzo, in didattica a distanza, di strumenti quali, molto banalmente, una pennina per disegnare schemi e alberi valenziali. Google Workspace for Education fornisce gratuitamente Jamboard, ma questa lavagna interattiva è davvero funzionale se si utilizza uno stilo, un tablet e si condivide lo schermo, mentre per gli studenti sprovvisti di tablet creare schemi condivisi col cursore del mouse porta a risultati disastrosi e “appiccicare etichette” sulla Jamboard stravolge il senso del lavoro. Personalmente, come esperto di iPad, ho usato molto applicativi come Explain Everything e Doceri, ma, in realtà, lo ammetto, in un’ottica di semplificazione degli apprendimenti e di riproduzione di dinamiche “in presenza” piuttosto che di collaborazione tra pari o tra docente e studenti. In prospettiva, ritornati in presenza, si potrebbero usare le potenzialità del laboratorio dei tablet per attività laboratoriali sulla schematizzazione della frase semplice e complessa: in questo casi si nota come la tecnologia sia davvero un discriminante per la buona riuscita di un metodo didattico.

Gli strumenti per il lavoro “a distanza”

Insomma, da questa breve disamina si può notare come l’approccio a una nuova metodologia crei sempre delle problematiche: è molto più semplice insegnare latino perpetuando il magistero dei nostri docenti di liceo che impegnarsi nella sperimentazione di metodologie nuove (penso alla verbo-valenza, ma le stesse considerazioni si posso fare per il metodo-natura, il metodo Ørberg per intenderci). Tuttavia credo che la “fuga” degli studenti dai corsi che mantengono questa disciplina lungo tutto il quinquennio (liceo classico e scientifico tradizionale) sia in parte dovuta al disamoramento verso una materia appresa ancora come lunghe liste di declinazioni e di coniugazioni da imparare a memoria, di eccezioni da ricordare; la frase, o peggio, la versione, viene vista dalla maggior parte degli studenti come un lungo “rompicapo” da risolvere… quanto di più lontano dall’orizzonte esperienziale della generazione Z, abituata all’immediatezza e alla velocità. La grammatica valenziale non credo sia la panacea di tutti i mali, ma forse può instillare curiosità per una lingua che, se va avanti così, sarà davvero morta.

5 pensieri riguardo “Insegnare latino valenziale in pandemia: un bilancio

  1. Gentile collega,
    anch’io ho insegnato latino in seconda linguistico (senza italiano però) e ho sperimentato molto, anche se in altra direzione. La grammatica valenziale non sono ancora riuscita ad applicarla in toto, ma ho trovato efficace ragionare in classe sull’idea di fondo, cioè che il verbo è il regista e il punto di partenza per la costruzione della frase-dramma. Condivido appieno il pensiero qui espresso sulla traduzione come altissimo punto d’arrivo e non certo di partenza. Sul mio blog sto per far uscire anch’io un breve scritto con un bilancio della sperimentazione in latino: avevo già preparato una bozza e vedere questo tuo (possiamo darci del tu? Siamo colleghi!) articolo mi ha spinto a terminarlo! Se ti va, vieni a fare un giro su robadaprof.blogspot.com! Siccome i docenti di liceo specialmente che hanno voglia di sperimentare e confrontarsi non sono così tanti, mi fa molto piacere quando mi imbatto in uno di loro, anche se solo virtualmente! Grazie per la condivisione! Angela

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  2. Gentile Angela,
    ti ringrazio. Io ho fatto un corso biennale con i Prof.ri Balestra e Scotti, autori del libro https://online.scuola.zanichelli.it/fervetopus/ che affronta l’apprendimento del latino anche al triennio col metodo valenziale: devo dire che non riuscirei più a insegnare latino con un metodo che non sia il valenziale. Del metodo mi piace tantisssimo la rappresentazione delle frasi, anche se dopo un anno adattando al latino il metodo Sabatini delle ellissi concentriche, ora sto usando questi stemmi (come nell’immagine che apre l’articolo), usando il volumetto di Seitz, Proverbio, “Fare latino”, del 1981, che ho trovato usato e conservo in una teca…
    Mi sono iscritto al tuo blog!
    Ora vado a sbirciare gli articoli

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    1. Io faccio un po’ fatica con gli schemi (all’università avevo studiato un po’ di valenziale con la prof.ssa Vanelli di Padova, ma passando alla pratica didattica ho avuto difficoltà), però credo che sia davvero giunta l’ora di cimentarsi con la valenziale: è un modello che ha più senso, e con il latino penso che davvero funzioni ancor di più! Grazie per le indicazioni bibliografiche: segno e studio! Poi mi farebbe piacere confrontarmi ancora con te! Intanto… Buona estate! Angela

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      1. Ciao Angela,
        Per gli schemi mi avvalgo della metodologia di Seitz-Proverbio debitamente adattata e semplificata. Applicare il modello di Sabatini Camodeca a frasi complesse per me risulta assai faticoso sia per i docenti sia per gli alunni…non trovi?

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      2. Esatto! Sono d’accordo! Per me è importante far capire il meccanismo della frase che è azionato dal verbo, senza diventare matti con gli schemi. Ti dirò che comunque io parlo di soggetto oggetto termine agente/causa efficiente come complementi fondamentali (anche in latino dico), poi mi fermo, ahimè però i libri di testo non aiutano…

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